Nel linguaggio comune il termine “valore” assume due significati che seppur diversi possono essere utilizzati in maniera interscambiabile. Il primo rimanda all’identificazione del valore con tutto ciò che può essere ritenuto oggettivamente importante o soggettivamente desiderato. Il secondo si allontana dall’oggetto di interesse focalizzando il valore come il criterio dell’attività valutativa e il principio generale che consente di approvare o disapprovare una certa azione. In questo senso è possibile sostenere che il valore assume una connotazione normativa, un dover essere e non può essere semplicemente (o solamente) inteso come l’oggetto di una preferenza, qualcosa di desiderato o un ideale astratto sganciato da scelte effettive. Gli studi sul concetto di valore portano a sostenere che questo si snoda in tre dimensioni: affettiva (indica il desiderabile), in questo caso il valore diventa elemento interiorizzato dall’individuo; cognitiva (indica il conosciuto, il sapere) in questo caso il valore implica la credenza che una determinata cosa rivesta una certa importanza; selettiva (indica la capacità di scelta e l’orientamento dell’agire sociale) in questo caso il valore prescrive un certo atteggiamento nei confronti di una certa cosa.
Bibliografia di riferimento
Kluckhohn C. (1979), Lo specchio dell’uomo, Garzanti
Strauss C., Quinn N. (2000), Un’antropologia cognitivo culturale, in Borofsky R. ( a cura di), L’antropologia culturale oggi, Meltempi, Roma
Zimmerman M.J. (2001), The Nature of Instrinsic Value, Lanham M.D. Rowman and Littlefield