Valorizzare i saperi degli attori organizzativi

a cura di di Valentina Mucciarelli

Nell’ultimo ventennio nel panorama internazionale ha avuto luogo una significativa svolta epistemologica che ha sottolineato la necessità di adottare un diverso approccio allo studio degli eventi e dei fenomeni sociali. Parallelamente si sono affermate linee di ricerca su oggetti trasversali quali i contesti lavorativi, le rappresentazione e le pratiche professionali, i processi di costruzione di conoscenza. Questi studi condividono un marcato interesse metodologico, un’indagine naturalistica dei contesti e, insieme, la necessità di studiare oggetti situati (Denzin, 2011).

È infatti a partire dagli anni ’80 che si è sviluppata una crescente attenzione sui modi in cui i professionisti producono conoscenze definendo nuove epistemologie professionali che identificano la pratica come luogo generatore di sapere. In questa prospettiva, la pratica viene riconosciuta come quel contesto sociale e fisico in cui si compie l’apprendimento e il lavoro. Molti settori d’indagine riconoscendo l’importanza della pratica, hanno legittimato il professionista come colui che apprende da ciò che fa, ossia diviene in grado di interpretare le situazioni in cui si trova e di produrre saperi che lo aiutino a risolvere i problemi che incontra quotidianamente nel suo lavoro (Schön, 1993). All’interno di questa analisi è possibile individuare un preciso piano di ricerca, secondo cui il sapere professionale si costruisce in un contesto di pratica ed è riconosciuto come luogo complesso da esaminare, esplorare e indagare (Fabbri, 2007).

È in tale quadro di riferimento che si inseriscono gli studi di Schön (1993) che consentono, in particolare, di attribuire all’esperienza lavorativa una specifica rilevanza come fonte e campo di approfondimento pedagogico, dove i saperi pratici si riconoscono come modo di conoscere in azione. Sotto questa lente, se pur riduttivamente, possono essere ricondotti alcuni contributi che hanno fatto dei processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza il proprio focus d’indagine e che ne hanno messo in evidenza le specificità, le dinamiche, le variabili determinanti privilegiando un punto di vista che interpreta tali processi nell’ottica del soggetto. Una delle origini teoriche di questa linea di interpretazione del fenomeno di apprendimento è riconducibile alla tradizione pedagogica e alle esperienze educative ispirate dalla matrice deweyana (1973). Da tale riflessione si recupera infatti l’idea che il soggetto apprende grazie all’attivazione di un processo di riflessione e ricostruzione dell’esperienza di tipo indagativo.

L’attività conoscitiva dell’essere umano è fondata su di un processo d’indagine continuo tramite cui il soggetto riporta una situazione problematica ad una situazione conosciuta e risolvibile attraverso l’attivazione di specifiche strategie cognitive e programmi di azione. L’indagine secondo Dewey è interpretabile come attività euristica, generatrice di conoscenze attraverso una continua conversazione con l’esperienza.

Il contributo di questa ipotesi è rilevante poiché pone l’accento sul ruolo attivo del soggetto e sull’intrinseca problematicità dell’esperienza che sollecita il pensiero a continue azioni di destrutturazioni e ristrutturazioni delle variabili in gioco. Il paradigma sopra esposto, che vede i processi di apprendimento dal punto di vista del soggetto e delle azioni che questo compie sul mondo per trasformarlo, comprenderlo, conoscerlo, ha trovato una sua prima formulazione in una serie di studi tra i quali quelli di epistemologia genetica (Fabbri, Formenti, Munari, 1992) dove si recupera inoltre il concetto di “soggetto epistemico” ossia di soggetto attivo nell’apprendimento.

Sembra così emergere un rinnovato interesse per tutte quelle metodologie formative e approcci di ricerca, come ad esempio la ricerca-azione o ricerca-intervento, capaci di valorizzare le risorse informali (Lave, Wenger, 2006), gli apprendimenti impliciti (Fabbri, 2007), le conoscenze sedimentate nelle comunità di pratica (Wenger, 1998). Inoltre, è possibile annotare un ulteriore spostamento di prospettiva in cui il lavoro educativo e formativo viene studiato e interpretato come “fenomeno situato e sociale” (Lave, Wenger, 1991; Fabbri, 2007). Valorizzare i saperi degli attori organizzativi significa allora favorire processi di: 1) scambio di conoscenze; 2) validazione dei saperi; 3) costruzione di repertori condivisi.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Denzin, N.K., Lincoln, Y.S. (2011). The SAGE Handbook of Qualitative Research. Thousand Oaks, CA: SAGE.
Dewey, J. (1973). Logica. Teoria dell’indagine. trad. it., Einaudi, Torino.
Fabbri, D., Formenti, L., Munari, A. (1992). “Moving into cognitives moves”. In Cultural Dynamics. 5, 2, pp. 141-155.
Fabbri, L. (2007). Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata. Roma: Carocci.
Lave, J., Wenger, E. (1991). Situated learning: legitimate peripheral participation. Cambridge: Cambridge University Press.
Schön, D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Per una epistemologia della pratica professionale. trad. it., Edizioni Dedalo. Bari.
Wenger, E. (1998). Communities of practice: learning, meaning, and identity. New York: Cambridge University Press.


PER L’APPROFONDIMENTO E LA RICERCA

Bruni, A., Gherardi, S. (2007). Studiare le pratiche lavorative. Bologna: il Mulino.
Wenger, E., McDermott, R., Snyder, W.M. (2007). Coltivare comunità di pratiche. Prospettive ed esperienze di gestione della conoscenza. Milano: Guerini e Associati.