Pedagogia istituzionale

La prima ricaduta del paradigma della complessità sulla riflessione didattica, riguarda la nuova attenzione al contesto, nelle sue espressioni organizzativo-istituzionali, socio-relazionali e comunicative. Per lungo tempo il contesto è stato considerato “ciò che sta intorno all’individuo”, senza tenere conto della “tessitura delle parti”, delle relazioni che si sono stabilite con  e fra tutti gli altri elementi del sistema: sono queste relazioni ne costituiscono la caratteristica fondamentale, la “qualità emergente” di cui parla Bateson, che dà significato ai singoli elementi, ai singoli soggetti, alle singole azioni.

Per poter conoscere, comprendere e dunque progettare e condurre consapevolmente l’evento educativo e – più specificamente – l’azione didattica, è necessario collocarli e analizzarli in relazione ad uno “sfondo integratore, un “contesto di significati”, una rappresentazione di senso che dà significato a gesti, parole, fatti”, dove il contesto può essere definito un insieme di norme e relazioni che ne regolano il funzionamento e danno significato agli atti comunicativi e ai comportamenti che si esplicano al suo interno.

“Gli insegnanti e gli allievi non producono semplici comportamenti di reazione reciproca, né semplici attività materiali, ma elaborano condotte che assumono significati per coloro che le producono e per coloro ai quali sono dirette; le relazioni fra di esse e i rispettivi significati si concretizzano in luoghi e tempi che sono caratterizzati nei termini del sistema culturale dell’istituzione scolastica” .

Già Dewey aveva sancito il rapporto irrinunciabile fra scuola e contesto sociale, affermando che l’apprendimento dell’individuo avviene all’interno e grazie al gruppo di cui fa parte e che il sistema scolastico non poteva essere deputato solo alla trasmissione dei contenuti disciplinari, ma doveva veicolare i valori democratici della società da cui riceveva il suo mandato educativo.
Lewin, con la sua teoria di campo afferma che si possono ottenere e/o incrementare i risultati di un processo sociale e/o educativo, operando sullo spazio vitale dell’individuo, ossia predisponendo strutture e contesti adeguati agli interventi di insegnamento-apprendimento: secondo questa teoria, il processo di apprendimento è condizionato dal mondo esperienziale del soggetto, dai precedenti condizionamenti educativi e dai fenomeni adattivi con cui il soggetto integra i nuovi input conoscitivi nel mondo precedentemente elaborato e interiorizzato mentalmente.

Per Foucault “ogni epoca ha il suo épistémé, la radice silenziosa ma reale che sostiene il suo linguaggio, che organizza la vita dei soggetti, sia dal punto di vista sociale che culturale, contribuendo a costruire un orizzonte di senso, un continuum sensoriale, affettivo-pratico, socio-culturale e istituzionale entro cui collocare, classificare, spiegare, interpretare i fenomeni biologici, sociali umani”. In questo senso, si ricollega agli studi antropologici avviati da Levy Strass, Benedict, Mead, sviluppati poi dall’antropologia interpretativa di Geertz, secondo cui i processi conoscitivi e dello sviluppo avvengono in riferimento al contesto culturale di appartenenza, ossia al codice di interpretazione della realtà del gruppo di cui si fa parte.

Goffman, attraverso lo studio delle istituzioni totali (manicomi, istituti per minori abbandonati,…) evidenzia come l’organizzazione dei sistemi istituzionali determinano le relazioni, i ruoli, le posizioni e le ‘facce’ (identità) dei soggetti che vi fanno parte, connotando di significato metacomunicativo gesti , parole, azioni e comportamenti. Secondo questo autore, ogni soggetto di un certo sistema/contesto è allo stesso tempo osservatore e attore, che ‘recita’ le proprie parti/facce, i propri ruoli, in base alla rete di norme e regole del sistema e in base alla  rappresentazione che si è costruito della propria identità e di quella altrui. Ogni soggetto cerca al tempo stesso di essere all’altezza delle norme sociali e morali esplicite e implicite, molto spesso ambigue, che gli vengono imposte, pur cercando di rimanere fedele al suo personaggio e alle sue qualità positive, cioè cercando di non perdere la sua ‘faccia’.
E’ attraverso il reale simbolizzato che gli esseri umani entrano in contatto e si costruiscono un sistema di riferimento che permette di discutere, scegliere e modificare i propri comportamenti.  L’interazionismo simbolico di Mead analizza, in specifico, il rapporto fra organizzazione del connettivo sociale – nei suoi aspetti relativi all’eventuale condivisione dei comportamenti, dei codici di interpretazioni culturali, dei valori e degli stili di vita – e costruzione dell’identità personale, ricollegandosi in parte all’analisi istituzionale che verrà qui illustrata.

Analizzando invece queste tematiche dal punto di vista dei processi metacognitivi, si rivelano interessanti – come approfondiremo più avanti – le ricerche di Rogoff che prendono in esame il rapporto fra contesto, conoscenze e teorie della mente.

Collocandosi in questo paradigma culturale, lo psicologo dello sviluppo Urie Bronfebrenner parla di ecologia dello sviluppo per indicare come lo sviluppo del bambino non possa essere considerato un processo unicamente biologico, innato o psicogenetico, e nemmeno possa essere pensato come il risultato deterministico di interventi educativi e didattici predefiniti; lo sviluppo cognitivo e psicologico si definirà proprio in relazione al sistema di riferimento simbolico, culturale, relazionale e istituzionale dei contesti di riferimento del bambino. Più specificamente lo sviluppo del bambino risentirà e sarà determinato dalla complessa interconnessione fra i diversi sistemi di cui il soggetto fa parte: i microsistemi, ossia i contesti relazionali con cui entra direttamente in contatto (la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari,…); l’esosistema, i contesti con cui non ha diretto contatto, ma di cui fanno parte i genitori ( ad esempio il contesto lavorativo dei genitori); il macrosistema ( il codice culturale di interpretazione della realtà dominante (ad esempio, la cultura occidentale dei paesi industrializzati); il mesosistema (le transazioni fra i diversi sottosistemi: ad esempio, il rapporto fra la scuola e la famiglia, o la famiglia e il gruppo di pari.

In base a questo approccio ecologico e contestualistico, l’azione didattica non potrà limitarsi a pensare ai contenuti disciplinari o, nei casi più avvertiti, alle attività, alle strategie o agli strumenti con cui proporli; per garantire a tutti i bambini il conseguimento di risultati soddisfacenti e permettere uno sviluppo equilibrato l’insegnante dovrà tener conto, di volta in volta, dell’influenza del gruppo generazionale, della famiglia, del mondo rappresentazionale e simbolico entro cui il bambino filtra e interpreta le conoscenze proposte, negoziando le strategie educative con la famiglia. Bronfebrenner, però, non descrive queste connessioni sistemiche di cui il docente dovrà tener conto come processi lineari-causali che, se considerati, assicurano risultati positivi; piuttosto il responsabile del processo di insegnamento potrà muoversi all’interno del loro complesso intreccio, senza però trascurare il ruolo del caso, dell’evento inaspettato, di quegli ‘attesi imprevisti’ di cui parla Perticari, che costellano e costruiscono la storia delle relazioni educative e delle azioni didattiche, così come di ogni atto umano. “La didattica dell’inatteso” non si fonda “sull’uso tranquillizzante delle metodiche oggettivanti e sulla riduzione a codici standardizzati”, ignorando “tutti quegli aspetti non conformi agli schemi precostituiti”. Secondo l’epistemologia della complessità, l’inatteso è “un segnale irrinunciabile di informazione su ciò che sta accadendo nell’interazione reale”, così come le regolarità relazionali, organizzativo-istituzionali, che caratterizzano il contesto educativo e didattico.

Il gioco di mediazione fra l’accadere casuale, storico e contingente degli avvenimenti in classe e a scuola da un lato e le connessioni e, dall’altro lato,  le previsioni teoriche che il docente deduce scientificamente e sensatamente, costituisce la trama caratteristica di ogni evento educativo e didattico, il punto di partenza e di arrivo di ogni intervento didattico. Meglio, rappresenta il compito principale dell’insegnante.  Proprio per prepararsi ad accogliere e gestire l’imprevisto, il caso, la storia didattica come essa si svolge, il docente dovrà predisporre contesti spazio-temporali, organizzativo-istituzionali e socio-culturali pensati e realizzati in modo sufficientemente variegato, articolato e flessibile da valorizzare le risorse individuali e collettive presenti e, al tempo stesso, far fronte a vincoli, ostacoli, imprevisti non desiderabili.
L’ambito culturale in cui sono state elaborate le proposte più adeguate per poter attuare questa mediazione istituzionale e relazionale è quello della psicologia istituzionale (per quanto riguarda più specificamente il campo scolastico) e della pedagogia istituzionale (relativamente soprattutto al campo dei servizi extrascolastici). Questa scuola di pensiero fa riferimento alle esperienze maturate nell’ambito dell’educazione attiva, alle ricerche relative alle dinamiche dei gruppi (Lewin, Moreno e Bion), all’analisi della dialettica fra organizzazione, gruppi e identità individuali condotti nell’ambito della fenomenologia, nonché al concetto di educazione indiretta rintracciabile già in Rousseau e nella Montessori e ripreso poi dalla psicologia non direttiva di Rogers.

La scuola istituzionale si è sviluppata soprattutto in Francia, dove può essere ricollegata soprattutto ai nomi di Vasquez, Oury e Tosquelles; anche in ambito anglosassone, però, possono esser rintracciati alcuni interessanti studi, come ad esempio il classico studio di Lortie sulle rappresentazioni degli insegnanti oppure l’analisi del contesto scolastico statunitense attuato da Goodlad, che prende in esame la mappa dei valori e delle aspettative sociali e culturali, le risorse umane e amministrative, il quadro normativo, il panorama delle conoscenze degli allievi e i loro bisogni, l’organizzazione di spazi, tempi e modalità didattiche, nonché degli stili comunicativi, di insegnamento e di valutazione del sistema scolastico statunitense.

La pedagogia istituzionale “tende a sostituire l’azione permanente e l’intervento diretto del maestro con un sistema di attività, di mediazioni diverse, di istituzioni che assicuri in maniera continua l’obbligo della reciprocità e degli scambi nel e fuori dal gruppo. In base ad una idea dell’istituzione scolastica in termini di “sistema di costanti spazio-temporali, relazionali e valoriali che permettono gli scambi in un gruppo sociale”, la finalità ultima dell’evento educativo e didattico, secondo la pedagogia istituzionale, è quella di rendere ogni soggetto il più possibile protagonista del processo di cui fa parte: secondo questo approccio, dunque, solo la conoscenza da parte di tutti membri del contesto istituzionale, dell’organizzazione e delle regole che strutturano gli scambi nel gruppo garantisce il rispetto delle singole individualità.

A questo scopo, come sintetizza Emanuela Cocever, per guidare e gestire l’azione didattica in modo efficace e rispettoso delle individualità, è necessario porsi tre quesiti:

  • quali sono le funzioni di un certo gruppo, nell’ambito del quale di svolge l’azione didattica stessa
  • quali sono i fattori esterni e interni, individuali e collettivi che ne determinano il funzionamento
  • quali interventi, strategie, strumenti favoriscano l’adeguamento dell’azione educativa e didattica del gruppo agli scopi prefissati e condivisi.

Questa analisi, più in dettaglio, prevede che si prendano in esame e si indirizzino in maniera consapevole l’organizzazione degli spazi, la scansione e la gestione dei tempi, la progettazione finalizzata ed equilibrata di attività che vedano protagonisti i vari membri del gruppo, così l’organizzazione dei gruppi e delle relazioni, e la scelta e condivisione delle norme che ne regolano la convivenza  e il lavoro.
Come già evidenziato da Goffman e Foucault, e come prenderemo in esame nella seconda parte del testo, l’organizzazione degli spazi assume una funzione simbolica e di controllo, che veicola significati relazionali e distinzioni di ruoli, così come la predisposizione di spazi e materiali può costituire un elemento di stimolo all’azione e all’apprendimento, promuovendo, di volta in volta, autonomia o dipendenza. Allo stesso modo, come studiato dalle ricerche che si sono concentrate sugli stili comunicativi e di insegnamento, i ruoli, le relazioni e il sistema di controllo educativo sono determinati dai modi con cui l’insegnante distribuisce i tempi dedicati alle varie attività, agli interventi verbali di adulti e ragazzi, così come dalle modalità con cui modula e alterna la comunicazione di tipo burocratico o di tipo personale. A questi risultati raggiunti dalla pedagogia e dalla psicologia istituzionale si ricollegano  le ricerche relative al rapporto fra risultati scolastici e analisi del contesto didattico e istituzionale: alcuni esempi illustri sono rappresentati dalla ormai classica ricerca delle 15000 ore degli psicologi inglesi Rutter e Mortimer, così come dagli studi sul conflitto di Deutsch e Goodlad negli Stati Uniti, che prenderemo in esame nei prossimi capitoli. Queste ricerche e questa nuova prospettiva contestualistica conducono anche agli studi di Levy dell’Unesco, alle indicazioni dell’OECD del 1992 sulla riforma del curricolo, in funzione di una nuova attenzione al contesto culturale e alla necessità di pluralismo in questo settore; in Italia alle ricerche di Carugati e alle proposte di Canevaro. In quest’ottica, usando le parole di L. Galliani, l’azione didattica  verrebbe  intesa come “organizzazione sistemica delle azioni formative dell’insegnare” finalizzate “all’ottimizzazione dei processi di apprendimento”.

In questo senso, l’attenzione al contesto e, in particolare, il contributo della pedagogia e della psicologia istituzionale ribaltano la logica della didattica trasmissiva, che si fonda sulla centralità dell’insegnante, del libro di testo, di contenuti e saperi formali o, nei casi più aggiornati, sugli strumenti e sui sussidi didattici; al tempo stesso si superano anche i limiti di un certo attivismo ingenuo, basato sulla centralità assoluto dell’allievo, del puer (puerocentrismo), sul fare e sulla spontaneità fini a se stessi, che sembrano inseguire spasmodicamente non bene identificati interessi e curiosità degli allievi. Si passa così, dunque, a quella didattica “problematica e critica” di cui parlano Frabboni e Bertolini, che individua come unità d’analisi e di intervento la relazione o, meglio, la complessa rete di relazioni, di processi di mediazione socio-cognitiva e istituzionale che caratterizzano un certo contesto didattico e, quindi ologrammaticamente, anche l’azione didattica che vi si svolge.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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