a cura di Stefano Oliverio
La nozione di contesto va sottratta a due fraintendimenti che, nell’apparente opposizione, condividono un medesimo presupposto di fondo: da una parte, gli approcci ‘deterministici’, che enfatizzano il ruolo del contesto come fattore determinante (addirittura unico) di trasformazione dei soggetti; dall’altra, gli approcci ‘idealisti’ che tendono a sottovalutare la rilevanza del contesto al fine di esaltare la libertà dei soggetti, non riducibili a pedine di agenti a loro esterni. Il presupposto condiviso – sia pure mai adeguatamente tematizzato ed esaminato – è che contesto e soggetto siano poli di un’interazione, per adoperare il vocabolario di Dewey (cfr. la voce ‘Transazione’ nel presente lessico), ossia elementi fra loro separati, che entrano in un’interconnessione causale. Che siffatta relazione causale venga in un caso valorizzata e in un altro no non elimina l’accordo di fondo.
Rispetto a siffatte prospettive, in una logica non interazionista bensì transazionale, si devono considerare contesto e soggetto non separatamente ma come fasi di un medesimo processo di sviluppo. È la posizione avanzata dal contestualismo evolutivo. Il contesto non è, dunque, un décor, lo sfondo fisso dell’agire formativo né è un mero contenitore, e il processo formativo dei soggetti non accade semplicemente nei ma attraverso i contesti, anzi è strutturalmente intrecciato a essi. Quando si parla di contesti si deve pensare a complessi pluridimensionali che abbracciano ambienti fisici, relazioni sociali, linguaggi, media, dispositivi tecnologici, artefatti, prodotti immateriali della cultura (idioetnemi) etc.
In un suo saggio del 1930 John Dewey individuava due fallacie che derivano dal trascurare il contesto, in questa accezione transazionale, come fattore connesso strutturalmente al pensiero, alla conoscenza e all’educazione: la fallacia analitica consiste nello scomporre il contesto nei suoi elementi, senza considerare che solo all’interno del contesto hanno pienamente senso. Ne consegue che si assolutizzano gli ‘oggetti’ della situazione (ossia gli aspetti di essa astratti dalla totalità) invece di considerare la situazione nella sua specifica qualità (cfr. la voce ‘Situazione’ del presente lessico). È il procedimento tipico della razionalità tecnica (cfr. voce corrispondente in questo lessico) che ritiene di operare su problemi già determinati. Più in generale, la fallacia analitica, individuando componenti separate di contesti unitari e dando loro ‘autonomia ontologica’, e immaginando la relazione fra queste componenti come qualcosa di secondario e ‘sopravvenuto’, impedisce di pensare il processo di sviluppo di una situazione e privilegia un approccio dominato da una causalità lineare e dalla ricerca di soluzioni tecniche, pre-definite.
La seconda fallacia individuata da Dewey è quella dell’universalizzazione, per cui non si tiene conto di come pensiero e conoscenza siano sempre storicamente situati e risentono del particolare tenore della costellazione situazionale in cui si sviluppano. La fallacia universalizzante è alla base di un’altra tendenza propria della razionalità tecnica, quella di invocare categorie standardizzate per la gestione delle situazioni problematiche, ridotte così a semplici casi di regole generali e non riconosciute invece come ‘uniche’.
Per esemplificare che cosa implichi nell’agire didattico una valorizzazione del contesto e una sua lettura in termini transazionali, si pensi a una persona non-vedente per spiegare alla quale un teorema di geometria si adoperi il piano gommato: sarebbe illegittimo sostenere che questo artefatto sia un’occorrenza estrinseca rispetto all’evento educativo. Il piano gommato è parte di quel contesto unitario di cui sono componenti complanari anche il docente, gli strumenti che usa per le sue dimostrazioni, lo studente, l’ambiente in cui si svolge la lezione etc. Il contesto educativo globale evolve in e attraverso tutte le sue dimensioni e il processo di apprendimento dello studente non si sviluppa nella sola sua mente ma è qualcosa per abbraccia anche i congegni di cui dispone.
Autori come Perkins hanno, a questo proposito, invitato ad abbandonare la prospettiva person-solo, per cui l’apprendimento è considerato solo come qualcosa che accade nel soggetto e accogliere invece una prospettiva person-plus per cui l’apprendimento accade nel soggetto considerato insieme a tutto ciò che lo circonda e che funge da risorsa della conoscenza. Il piano gommato è, dunque, parte del soggetto che conosce e parte del contesto, ma lo è nella misura in cui la stessa distinzione ontologica di soggetto e contesto, quasi fossero due entità scisse che entrano ‘successivamente’ in relazione, è un retaggio di una concezione che l’approccio transazionale invita a superare.
Un approccio contestualista, inoltre, enfatizzando le trame di relazioni sociali che co-costituiscono (insieme ai soggetti, agli ambienti fisici etc.) il contesto, consente di valorizzare l’educazione come pratica sociale (cfr. la voce ‘Pratica’ del presente lessico), sottraendola alle tendenze individualistiche che immaginano un soggetto a-cosmico impegnato nei propri apprendimenti in una sorta di vuoto sociale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
R.M. Lerner, “Changing Organism-Context Relations as the Basic Process of Development: A Developmental Contextual Perspective”, in Developmental Psychology, 27, 1991, pp. 27-32; R.M. Lerner, “Human Development: A Developmental Contextual Perspective”, in S.C. Hayes, L.J. Hayes, H.W. Reese, T.R. Sarbin, Varieties of Scientific Contextualism Reno: Context Press, 1993.
J. Dewey, “Context and Thought”, in The Later Works, 1925-1953, vol. 6 (1931-1932), edited by J. A. Boydston, Carbondale: Southern Illinois University Press, 1985
D.N. Perkins “Person-plus, A Distributed View of Thinking and Learning”, in G. Salomon (ed.), Distributed Cognitions. Psychological and Educational Considerations, Cambridge: Cambridge University Press, 1993, pp. 88-100. Cfr., nello stesso volume, anche il saggio di T. Hatch, H. Gardner, “Finding Cognition in the Classroom: An Expanded View of Human Intelligence”.