Per artefatto si intende generalmente un oggetto realizzato o modificato dall’uomo al fine di potersene servire nel raggiungimento di uno scopo: con il termine artefatti, quindi, si fa riferimento a quegli “oggetti” che servono ad aumentare l’efficacia di un’azione al fine di ottenere un determinato risultato.
Possono essere definiti artefatti, quindi, quegli oggetti progettati e costruiti intenzionalmente per raggiungere uno o più scopi; essi sono il risultato di azioni intenzionali, piuttosto che involontarie o opportunistiche: la caratteristica peculiare degli artefatti è data, proprio, dall’intenzionalità.
Per artefatto cognitivo si intende un oggetto, una configurazione o un processo mentale che permette di estendere l’acquisizione e la gestione della conoscenza umana; un “oggetto di confine” che permette di transitare da un mondo, con una propria prospettiva, ad un altro.
Secondo Donald Norman, per artefatto cognitivo si intende un dispositivo artificiale (un oggetto reale, ma anche un insieme di ordini, codici e procedure che permettono la descrizione di una realtà) ideato dall’uomo per agire sull’informazione, in particolare per conservarla, presentarla ed operare su di essa, espandendo, in tal modo, le proprie capacità cognitive: un dispositivo artificiale concepito per conservare l’informazione, presentarla o trattarla al fine di assicurare una funzione rappresentativa e influire sull’attività cognitiva umana. Per Norman gli artefatti non amplificano semplicemente le potenzialità dell’uomo, ma guidano l’attività mentale e possono modificare l’esecuzione di un compito.
La mente per apprendere ha bisogno di costruire oggetti e dispositivi reali o che rappresentino la realtà, anche se frammentaria (attraverso una serie di tentativi di rappresentazione del mondo che ci circonda), attraverso un processo di codifica di essa. L’apprendimento si sviluppa quindi con la discussione, l’analisi, il confronto, l’esposizione, il sondaggio, l’ammirazione, la costruzione e lo smontaggio e la ricostruzione degli artefatti cognitivi: «Esistono differenti mondi, ciascuno con una propria prospettiva. Tra questi mondi occorre stabilire dei ponti e disporre di strumenti per favorire l’interazione. Tutto ciò richiede artefatti cognitivi, i boundary object, oggetti di confine che transitano da un mondo all’altro; ogni mondo ne esamina alcune sfaccettature, ne produce una propria interpretazione, ne modifica alcuni aspetti, prima di condividerlo di nuovo con altri. Molto spesso i boundary object sono frammenti di mondo, lessie (Barthes, 1973) con cui costruire artefatti caleidoscopici grazie a processi combinatori».
L’uso di un artefatto cognitivo trasforma la conoscenza stessa per la quale è stato progettato: tale trasformazione riguarda sia la riorganizzazione delle modalità percettivo-motorie di interazione con l’ambiente, sia il modo di pensare e le modalità di pianificazione delle azioni e delle relazioni sociali; infatti, nello svolgere in maniera più efficiente delle funzioni solitamente affidate alla mente dell’uomo, esso mette a disposizione dispositivi o supporti che esternalizzano operazioni meccaniche e in tal modo libera la mente e permette di affinare nuove e più complesse abilità.
Alla comparsa di un nuovo artefatto, si accompagna generalmente per l’uomo la perdita di una capacità funzionale, in quanto la funzione viene spostata all’esterno, sull’artefatto: ad esempio, alla comparsa di artefatti che hanno permesso la memorizzazione di grandi quantità di informazioni su supporti in grado di conservarla si è accompagnata per l’uomo una perdita della capacità mnemonica: grazie a questo spostamento, per la mente, alleggerita dal carico cognitivo mnemonico, si aprono spazi nuovi e possibilità insondate, la cognizione si trasforma, acquisisce nuove funzioni.
Per questo motivo gli artefatti cognitivi hanno implicazioni di tipo ecologico, nel senso che mutano radicalmente il mondo, l’approccio al mondo, i modi di acquisire la conoscenza, di funzionare del pensiero e, di conseguenza, portano con sé una nuova domanda educativa con la conseguente necessità di ripensare le modalità didattiche.
Internet, per esempio, con la sua possibilità di contenere volumi infiniti informazione, aumenta la nostra capacità cognitiva perché consente, come già è avvenuto per l’invenzione della scrittura o per l’introduzione della stampa a caratteri mobili, di “esternalizzare” informazioni; allo stesso modo, per esempio, il web 2.0 potrebbe garantire a più soggetti la possibilità di collaborare e di costruire artefatti composti da frammenti, ognuno dei quali mantiene la propria autonomia e identità, ma che, essendo inseriti in un sistema condiviso, possono dialogare.
BIBLIOGRAFIA
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D.A. Norman, Things that make us smart, Perseus Books, Cambridge, MA, 1993, trad. It., Le cose che ci fanno intelligenti, Feltrinelli, 1995.
La matematica e la scrittura sono esempi di artefatti cognitivi: attraverso di esse possono essere rappresentate realtà esistenti che vengono descritte con codici e simboli che, grazie ad un apparato di convenzioni condiviso, richiamano quanto si vuole indicare.
P.G. Rossi, L. Giannandrea, P. Magnoler, Mediazione, dispositivi ed eterotopia. Dal situated learning al post-costruttivismo, Education Sciences & Society, Armando, Roma, Anno 1, 1, 101-116.
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