Ontologia complessa

a cura di Silvia Fioretti

Il paradigma della complessità investe tutti i campi del sapere, anche i più tradizionalmente immuni dal dubbio e dall’incertezza, ed esige nuove chiavi di lettura, contemporaneamente naturali e storico/sociali. Il pensiero complesso rifiuta la semplificazione unilaterale che frammenta e riduce la complessità del reale basandosi su nuovi principi: il concetto di realtà complessa, il ricongiungimento del soggetto conoscitore all’oggetto conosciuto, il riconoscimento dell’incertezza nell’attività del conoscere. Da tutto ciò scaturisce un nuovo pensiero, articolato e complesso, fondato su strumenti razionali al contempo critici e autocritici e sul ricorso all’esperienza.

Veniamo agli strumenti che ci consentiranno di conoscere l’universo complesso. Questi strumenti sono evidentemente di natura razionale. Solo che, anche qui occorre fare una complessa autocritica alla nozione di ragione.

La ragione corrisponde a una volontà di avere una visione coerente dei fenomeni, delle cose e dell’universo. La ragione ha un aspetto incontestabilmente logico. Ma, anche qui, possiamo distinguere tra razionalità e razionalizzazione.

La razionalità è il gioco, è il dialogo incessante tra la nostra mente che crea delle strutture logiche, che le applica al mondo, e questo mondo reale. Quando questo mondo non è d’accordo con il nostro sistema logico, bisogna ammettere che il nostro sistema logico è insufficiente, che incontra solo una parte del reale. La razionalità, in qualche modo, non ha mai la pretesa di esaurire in un sistema logico la totalità del reale: ha la volontà di dialogare con ciò che le resiste. Come già diceva Shakespeare: “Ci sono più cose nel mondo che in tutta la nostra filosofia”. L’universo è molto più ricco di quanto possano immaginare le strutture del nostro cervello, per quanto sviluppato esso sia.

Che cos’è la razionalizzazione? Razionalizzazione, una parola usata molto appropriatamente in patologia da Freud e da molti psichiatri. La razionalizzazione consiste nel voler rinchiudere la realtà in un sistema coerente. E tutto ciò che, nella realtà, contraddice quel sistema coerente viene scartato, dimenticato, messo da parte, visto come illusione o apparenza.

Ci rendiamo conto qui che razionalità e razionalizzazione hanno esattamente la stessa origine, ma che sviluppandosi diventano nemiche l’una dell’altra. È molto difficile riconoscere il momento in cui passiamo dalla razionalità alla razionalizzazione; non esiste una frontiere; non esiste un segnale d’allarme. Abbiamo tutti una tendenza inconsapevole ad allontanare dalla nostra mente ciò che si prepara a contraddirla, in politica come in filosofia. Siamo pronti a minimizzare o a respingere gli argomenti contrari. Avremo un’attenzione selettiva verso ciò che favorisce la nostra idea e una disattenzione selettiva verso ciò che la sfavorisce. Spesso la razionalizzazione si sviluppa addirittura nella mente degli scienziati.

La paranoia è una forma classica di razionalizzazione delirante. Per esempio vedete voi qualcuno che vi guarda in modo strano e, se avete tendenze un po’ maniacali, inizierete a supporre che sia una spia incaricata di seguirvi. Allora guardate le persone sospettandole di essere delle spie, e quelle persone, vedendo il vostro sguardo strano, via guardano in modo sempre più strano, e voi vi vedete sempre più razionalmente circondati da un numero sempre maggiore di spie.

Tra la paranoia, la razionalizzazione e la razionalità non ci sono frontiere nette. Dobbiamo stare sempre attenti. I filosofi del XVIII secolo, in nome della ragione, avevano un quadro ben poco razionale di cosa fossero i miti e di cosa fosse la religione. Credevano che le religioni e gli dei fossero stati inventati dai preti per ingannare la gente. Non si rendevano conto della profondità e della realtà della sensibilità religiosa e mitologica nell’essere umano. Ed ecco che erano scivolati nella razionalizzazione, vale a dire nella spiegazione semplicistica di ciò che la loro ragione non riusciva a capire. Ci sono voluti nuovi sviluppi della ragione per cominciare a capire il mito. È stato necessario, per questo, che la ragione critica diventasse autocritica. Dobbiamo incessantemente lottare contro la deificazione della Ragione che è peraltro il nostro solo strumento di conoscenza affidabile, a patto che non sia solo critica ma autocritica.

Vogliamo sottolineare l’importanza di una cosa: all’inizio del secolo gli antropologi occidentali, come Lévy-Bruhl in Francia, studiavano le società che loro credevano “primitive”, (e che noi oggi chiamiamo più appropriatamente “società di cacciatori e raccoglitori”), e che hanno fatto la preistoria umana, quelle società di poche centinaia di individui che, per decine di migliaia di anni, hanno costituito in qualche modo l’umanità. Lévy-Bruhl vedeva questi cosiddetti primitivi, secondo l’idea dominante a quell’epoca nella ragione occidental-centrica cui faceva riferimento, come creature infantili e irrazionali.

Non si poneva la domanda che si è posto Wittgenstein quando, leggendo Il ramo d’oro di Frazer, si chiedeva: “Com’è che tutti quei selvaggi che passano il tempo a fare riti di stregoneria, riti propiziatori, incantesimi, disegni, ecc., non dimenticano di fare delle frecce reali, con strategie reali?”. In effetti, quelle società dette primitive hanno una grandissima razionalità, effettivamente diffusa in tutte le loro pratiche, nella loro conoscenza del mondo, diffusa e mescolata con qualcosa d’altro che è la magia, la religione, la credenza negli spiriti, ecc. Noi stessi, che viviamo in una cultura che ha sviluppato certi settori di razionalità come la filosofia o come la scienza, viviamo altrettanto impregnati di miti, altrettanto impregnati di magia, ma di un altro tipo, di un altro genere. Abbiamo dunque bisogno di una razionalità autocritica, di una razionalità che eserciti un commercio ininterrotto con il mondo empirico, unico correttivo al delirio logico.

L’uomo conosce due tipi di delirio. Uno ovviamente è molto visibile, è quello dell’incoerenza assoluta, delle onomatopee, delle parole pronunciate a caso. L’altro è meno visibile, è il delirio della coerenza assoluta. Contro questo secondo delirio, la risorsa è nella razionalità autocritica e nel ricorso all’esperienza. Mai la filosofia avrebbe potuto concepire questa straordinaria complessità dell’universo attuale, quale lo abbiamo potuto osservare con i quanti, le quasar, i buchi neri, con la sua origine incredibile e il suo avvenire incerto. Mai nessun pensatore avrebbe potuto immaginare che un batterio fosse una creatura di una complessità così estrema. C’è bisogno del dialogo permanente con la scoperta. La risorsa della scienza che le impedisce di sprofondare nel delirio è il continuo sopraggiungere di dati nuovi che la portano a modificare la sua visione delle cose e le sue idee.

[Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano, 1993, pp. 69-72]