Epistemologia naturalizzata

a cura di Silvia Fioretti

Lo scopo dell’epistemologia naturalizzata è dare risposta a tutte le questioni sostanziali della conoscenza e del significato utilizzando metodi e strumenti delle scienze naturali. In questo modo l’epistemologia naturalizzata intende ricostruire i complessi concetti scientifici a partire dagli strumenti e dai processi conoscitivi direttamente impiegati nella ricerca.

L’epistemologia naturalizzata, secondo Quine, può essere riconsiderata come parte della psicologia per dirci come effettivamente perveniamo alla formazione delle nostre vere credenze.

Ma io penso che a questo punto possa essere più utile dire piuttosto che l’epistemologia va ancora avanti sebbene in un nuovo scenario e in una condizione purificata. L’epistemologia, o qualcosa di simile, trova il suo posto come capitolo della psicologia e quindi della scienza naturale. Essa studia un fenomeno naturale cioè un soggetto umano fisico. A questo soggetto umano è dato un certo input sperimentalmente controllato – certi modelli di irradiazione di frequenze assortite, per esempio – e a tempo opportuno quel soggetto libera come output una descrizione del mondo esterno tridimensionale e della sua storia. La relazione tra quel magro input e quell’output torrenziale è una relazione che siamo spinti a studiare per alquanto le medesime ragioni che sempre ci spinsero all’epistemologia, vale a dire per vedere come l’evidenza abbia rapporto con la teoria e in quali modi la teoria della natura trascenda qualunque evidenza disponibile.

Tale studio potrebbe ancora includere persino qualcosa di simile alla vecchia ricostruzione razionale, fino a qualunque grado tale ricostruzione sia praticabile; perché le costruzioni fantasiose possono dare degli accenni dei processi psicologici effettivi pressappoco nelle modo delle simulazioni meccaniche. Ma una differenza notevole tra la vecchia epistemologia e l’impresa epistemologica in questo nuovo scenario psicologico è che ora possiamo fare libero uso della vecchia psicologia empirica.

La vecchia epistemologia aspirava a contenere, in un certo senso, la scienza naturale; la voleva costruire in qualche modo a partire dai dati sensoriali. L’epistemologia nel suo nuovo scenario, viceversa, è contenuta nella scienza naturale come un capitolo della psicologia. Ma anche l vecchio contenimento resta valido a suo modo. Stiamo studiando come il soggetto umano del nostro studio ponga i corpi e progetti la sua fisica a partire dai suoi dati e ci rendiamo conto che la nostra posizione nel mondo è proprio analoga alla sua. La nostra stessa impresa epistemologica, allora, e la psicologia di cui è un capitolo componente e l’intera scienza naturale di cui la psicologia è un libro componente – tutto questo è nostra costruzione o nostra proiezione a partire da stimolazioni analoghe a quelle che assegnavamo al nostro soggetto epistemologico. C’è così un contenimento reciproco, quantunque contenimento in sensi diversi: l’epistemologia nella scienza naturale e la scienza naturale nell’epistemologia.

Questa interazione richiama alla mente di nuovo la vecchia minaccia di circolarità, ma è tutto a posto ora che abbiamo smesso di sognare di dedurre la scienza dai dati sensoriali. Miriamo alla comprensione della scienza come istituzione o processo nel mondo senza pretendere che questa comprensione sia migliore di quella scienza che è il suo oggetto. Questo atteggiamento è in verità un atteggiamento che Neurath già raccomandava ai tempi del circolo di Vienna con la sua parabola del marinaio che doveva ricostruire la sua nave stando su di essa in mare.

Un effetto del considerare l’epistemologia in uno scenario psicologico è quello di risolvere un vecchio enigma ostinato di priorità epistemologica. Le nostre retine vengono irradiate in due dimensioni, tuttavia vediamo le cose come tridimensionali senza inferenza cosciente. Quale deve contare come osservazione: la ricezione bidimensionale inconscia o l’apprensione tridimensionale cosciente? Nel vecchio contesto epistemologico la forma cosciente aveva la priorità perché cercavamo di giustificare la nostra conoscenza del mondo esterno mediante la ricostruzione razionale e ciò richiede la consapevolezza. La consapevolezza cessò di essere richiesta quando smettemmo di tentare di giustificare la nostra conoscenza del mondo esterno mediante la ricostruzione razionale. Che cosa contare come osservazione può ora venir stabilito in termini di stimolazione dei ricettori sensoriali, cada la coscienza dove può.

La sfida da parte degli psicologi gestaltisti all’atomismo sensoriale, che sembrò così pertinente all’epistemologia quarant’anni fa, è del pari resa innocua. Senza badare a se siano gli atomi sensoriali o le Gestalten ciò che favorisce la prima linea della nostra coscienza, sono semplicemente le stimolazioni dei nostri recettori sensoriali che sono meglio considerate come l’input del nostro meccanismo conoscitivo. I vecchi paradossi circa i dati inconsci e l’inferenza, i vecchi problemi circa le catene d’inferenza che avrebbero dovuto venir completate troppo in fretta – tutto questo non ha più importanza.

[W.V. O. Quine, L’epistemologia naturalizzata in Id., La relatività ontologica ed altri saggi, Armando, Roma, 1986, pp. 106-108.]