a cura di Silvia Fioretti
L’epistemologia critica conserva un carattere formale ma lascia spazio anche agli strumenti delle ricerche empiriche. In particolare la scienza è, per Banfi, un sapere critico composto di teoremi e prassi, di riflessione logico-metodologica e di sviluppo tecnico. Per realizzarsi compiutamente è necessario che la scienza realizzi adeguatamente la propria ‘idea’, facendosi più rigorosa in senso critico-metodologico. In tal senso la dimensione critica comporta il rifiuto di qualsiasi posizione che pretenda di fornire una definizione o una soluzione esaustiva della problematicità del processo educativo.
Là infine dove le vie del sapere si differenziano e in ciascuna la forma della ricerca e il problema teoretico appaiono diversi, complessi, mutevoli, dove alla varietà dei campi di sapere corrisponde varietà di metodi; e questi vengono specificandosi all’estremo in una adattabilità elastica ai propri concreti contenuti e alle loro esigenze, la coscienza metodologica assume un altro significato. essa è la coscienza del problema teoretico così come si articola nelle infinite direzioni della ricerca e preme e, per così dire, si incarna in tutti i suoi elementi. Si tratta qui del momento critico della metodologia. La metodologia in senso critico non ha funzione né didattica né normativa, ma puramente comprensiva. Essa tende a riconoscere nella legge teoretica della ricerca in generale il criterio determinante di ogni particolare procedimento, e, mentre garantisce a questo piena indipendenza di posizione e di sviluppo, ne illumina il senso teoretico e dà rilievo alla sua integrazione con gli altri procedimenti. Essa non presuppone né la scrittura di un sapere costituito, né l’affermarsi di una nuova direzione costitutiva del sapere, ma è piuttosto la coscienza del costituirsi in generale del sapere, del suo sviluppo produttivo come ricerca. In essa perciò i due momenti precedenti vengono teoreticamente risolti e integrati; le direzioni metodiche più varie ricondotte non a schema, ma a legge unitaria; da essa sola può trarre origine quella storia della metodologia in generale a cui si è precedentemente accennato.
[…] Solo una metodologia critica, in quanto presuppone l’infinito aperto orizzonte del sapere e l’infinità delle sue direzioni, e quindi dei suoi procedimenti, ha vera e propria funzione teoretica. Essa si fonda sul rilievo del problema teoretico in generale e si sviluppa nella analisi delle sue forme fenomenologiche, quali nei vari metodi si esprimono.
[…] In una teoria della ragione può trovare il proprio centro di riferimento, insieme con una metodologia critica, una sistematica critica del sapere o una epistemologia generale e una teoria della struttura formale dell’obbiettività teoretica, ossia una logica come dottrina formale delle relazioni. In esse il limite dogmatico che caratterizza il momento normativo e didattico della coscienza metodologica – la parzialità di una direzione scientifica e la determinatezza di un’obbiettività teoretica – viene risolto e le ricerche logiche, epistemologiche e metodologiche, senza perdere nulla della loro libertà, anzi garantendosi da ogni inceppo e limitazione, trovano la loro unità in una teoria critica del razionale, da cui, come ripeto, è assente ogni presupposto d’ordine metafisico.
[Banfi A., Appunti per una metodologia critica, in Id., La ricerca della realtà, Vol. I, Sansoni, Firenze, 1957, pp. 193-195.]