a cura di Carlo Orefice [1]
Il carattere prassico e complesso dell’educazione, contraddistinta sia da elementi quantitativi che qualitativi, rinvia a un sapere, la pedagogia, in grado non solo di misurare i fenomeni, ma anche di interpretarli (Zannini, 2015). I costrutti attraverso i quali “leggiamo” la realtà sono infatti delle categorie interpretative: costituiscono cioè il punto-di-vista del soggetto conoscente. Se la realtà ha dunque una natura “costruttiva” ed è strettamente interconnessa alle forme di attività concreta in cui le persone sono coinvolte, la riflessione critica sul processo formativo implica necessariamente, per costruire nuove condizioni educative, una capacità di destrutturare tali significati e tali relazioni.
In tal ottica, il dilemma relativo al perché, al cosa e a quali condizioni siamo formati (Federighi, 1997) richiede che gli individui siano accompagnati a comprendere il valore costruttivo del proprio pensiero sulla realtà (dimensione epistemica), a riconoscere le matrici e le variazioni dei propri ragionamenti (dimensione metacognitiva), a contestualizzare il proprio agire (dimensione pragmatica) (de Mennato, 2014).
Uno dei temi centrali della riflessione sull’apprendimento riflessivo appare dunque il superamento della tradizionale scissione tra il pensare e l’agire, sapere e fare, decidere e attuare, così come promosso da Donald A. Schön (1993): attraverso la riflessione, gli individui mettono in discussione i presupposti di determinate conoscenze/realtà trasformando se stessi e quelle stesse realtà (Mezirow, 2003); sono aiutati a comprendere come e perché essi stessi e gli altri con cui si relazionano hanno acquisito particolari habitus di pensiero, punti di vista, presupposizioni tacite (Fabbri, nel testo).
Evidenziato questo, la sfida prodotta da un’educazione alla pratica riflessiva impone allora che il soggetto non si faccia tentare dalla riproduzione di schemi automatici; che impari a riconoscere che i sistemi cognitivi che utilizza possono mutare e che egli è chiamato a riorientarsi anche nel corso dell’azione stessa; che riconosca che il suo punto di vista è un prodotto culturale, un sistema simbolico, la somma cioè di linguaggi e di convinzioni spesso “tacite” (Wenger, 2006). Ecco dunque che l’esperienza quotidiana degli individui, se ricondotta alle sue “matrici”, viene privata del suo carattere occasionale, tacito e informale permettendo così che l’apprendimento venga costruito grazie a confronti, valutazioni e rielaborazioni di quei paradigmi interpretativi e schemi di riferimento che hanno reso quella stessa esperienza possibile.
In definitiva, come anticipato, la pedagogia può essere considerata un sapere ermeneutico, incerto e con uno “statuto riflessivo” proprio perché il lavoro educativo che ne sta alla base appare come un agire non solo e non tanto finalizzato a fornire informazioni o capacità, ma come un processo in cui il soggetto costruisce in modo attivo saperi e competenze a partire da sé e dalle sue esperienze, dalle proprie strutture cognitive e modalità di comportamento. L’interrogativo formativo cui l’apprendimento riflessivo rimanda non appare dunque legato solo alla capacità di veicolare esperienze né ad aiutare a farle emergere e a comprenderle, ma è tale se può confrontarsi con schemi di riferimento teorici e teoretici. Nell’imporre ai suoi co-protagonisti di mettersi in gioco, esso mira ad una formazione non puntiforme, non-lineare, progettuale e strategica, capace di gestire la complessità di processi che come abbiamo detto sono singolari e sociali, complementari e contraddittori.
BIBLIOGRAFIA
P. de Mennato, Presentazione. Mai smettere di farsi domande: muoversi nella realtà, in Corbi E., Perillo P., La formazione e il “carattere pratico della realtà”. Scenari e contesti di una pedagogia in situazione, Pensa MultiMedia, Lecce 2014, pp. 7-11.
L. Fabbri, 2016, nel testo.
P. Federighi, Le teorie critiche sui processi formativi in età adulta: tendenze e aspetti problematici nei principali orientamenti contemporanei. In Orefice P., Formazione e processo formativo, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 29-58.
J. Mezirow, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina, Milano 2003.
D.A. Schön, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari 1993.
E. Wenger, Comunità di pratica, Raffaello Cortina, Milano 2006.
L. Zannini, Fare formazione nei contesti di prevenzione e cura. Modelli, strumenti, narrazioni, Pensa MultiMedia, Lecce 2015.
[1] Carlo Orefice, professore associato di Pedagogia Generale e Sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Scienze Umane e della Comunicazione Interculturale dell’Università di Siena.