Schwartz e Hartman – Quadro concettuale

a cura di Elisa Motta [1]


Il video è sempre più utilizzato nella formazione, sia essa rivolta agli studenti o agli insegnanti. Diverse innovazioni tecnologiche lo accompagnano costantemente, rendendolo più flessibile ed economico. La digitalizzazione dei video, per esempio, ha permesso la condivisione tra le persone coinvolte nel processo di apprendimento ed anche una collaborazione online. Il video, dunque, se utilizzato in modo efficace, è uno strumento davvero potente per l’apprendimento. Gli autori Schwartz e Hartman (2007) propongono un modello circolare (Figura 1): esso prevede la presenza di tre anelli concentrici che si susseguono attorno ad un corpo centrale ove sono racchiusi i risultati dell’apprendimento perseguibili attraverso l’utilizzo del video, espressi come classi generali di obiettivi da raggiungere. L’anello interno (2) riconduce ogni risultato dell’apprendimento agli approcci adottabili per raggiungere i risultati (per esempio essere in grado di “dire” fornendo alle persone fatti o spiegazioni). L’anello successivo (3) mostra i tipi di valutazione che si possono mettere in atto per validare l’efficacia del video. È questo in realtà l’obiettivo per cui gli autori avevano scritto inizialmente questo contributo. Infine, l’anello più esterno (4) indica i diversi generi di video utilizzabili per ogni risultato dell’apprendimento.

Le classi principali di obiettivi di apprendimento (1) sono quattro: 1. vedere, 2. dire, 3. fare, 4. motivare.

 

Figura 1 Lo spazio di apprendimento per l’uso di designed video.
Figura 1 Lo spazio di apprendimento per l’uso di designed video.

 

  1. Vedere. Attraverso il video è possibile aiutare le persone a cogliere quegli aspetti che prima non riuscivano a vedere, e al tempo stesso rendere tali aspetti visibili. Si può parlare di un continuum, ai cui estremi si collocano due approcci: un approccio familiare, che implica il sapere riconoscere le immagini video e/o avvicinarsi a fenomeni mai conosciuti, e un approccio di discernimento, che concerne il percepire dettagli altrimenti trascurati o il valutare la pratica corretta mostrata. L’educazione alla percezione è fondamentale: le persone tendono, infatti, ad assimilare ciò che è familiare piuttosto che cogliere delle nuove sottigliezze. Al tempo stesso, il professionista è in grado di notare dettagli che al neofita passano inosservati.
  2. Dire. Il sapere dichiarativo può essere raggiunto mediante diversi media ed il video si dimostra come un buon strumento anche in questo ambito. Una prima tipologia di risultati verbali riguarda l’acquisizione di fatti che include, per esempio, la conoscenza puramente dichiarativa delle cose più disparate, ad esempio i nomi di animali o la temperatura del sole. Un seconda tipologia di sapere verbale è la spiegazione (rispondere alle domande “perché” e “come”): la sfida per chi progetta un video per l’apprendimento consiste nel creare dei video che rendano i processi e le spiegazioni trasparenti.
  3. Fare. Il video è lo strumento ideale per mostrare i comportamenti umani. Si possono distinguere due tipologie di risultati in questa categoria (doing outcomes): quelli che riguardano le attitudini (Bandura, 1986) e quelli che riguardano l’acquisizione di abilità/competenze (sforzo pratico intenzionale da parte del discente). Sarà così possibile acquisire delle abilità (skills) imitando i comportamenti mostrati in un video: replaying, zooming, e slowing motion sono in questo caso strumenti particolarmente utili per le procedure più complicate.
  4. Motivare/coinvolgere: La motivazione può essere definita come “la spinta” che conduce le persone verso una situazione/un argomento e che le mantiene coinvolte. La motivazione, dunque, crea il contesto mentale che prepara le persone ad apprendere. Il video, anche se non contiene solo o semplicemente le informazioni che le persone dovrebbero imparare, può aiutare ad individuare ciò che è rilevante ed accrescere l’interesse.

In sintesi, il potenziale del video per l’apprendimento, l’istruzione e la ricerca è unico e rilevante: è importante fare fruttare tale potenzialità mediante la realizzazione di video adeguati ed il loro utilizzo, soprattutto all’interno di scenari pedagogici che ne sfruttino appieno l’efficacia.

Anche se datato, il modello di Schwartz e Hartman, è ancora utilizzato, ma letteratura sull’argomento è in espansione e mira anche ad approfondire la comparazione di diverse tecniche di realizzazione e di implementazione dei video in scenari didattici.


 

BIBLIOGRAFIA

Bandura, A. (1986). Social foundation of thought and action. A social cognitive theory. Upper Saddle River, NJ: Prentice-Hall.
Lepper, M. R., & Greene, D. (Eds.). (1978). The hidden cost of reward: New perspectives on the psychology of human motivation. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.
Schwartz, D.L., & Hartman, K. (2007). It’s not Video Anymore: Designing Digital Video for Learning and Assessment. In R. Goldman, R. Pea, B. Barron, and S.J. Derry (Eds.), Video Research in the Learning Sciences (pp. 335-348). New York: Erlbaum.

 

[1] Elisa Motta, PhD, Ricercatrice junior presso l’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale IUFFP, Svizzera.