Pedagogia dei ragazzi difficili di Bertolini

a cura di Stefania Massaro

 

La Pedagogia dei ragazzi difficili rappresenta una sapere pedagogico critico e rigorosamente fondato ed una particolare area di pratiche sociali di tipo educativo che riguarda i minori la cui esistenza e i cui comportamenti sono considerati inadeguati, a partire dall’idea che la pedagogia abbia il dovere di orientare i ragazzi difficili. Chi sono i “ragazzi difficili”? Sono ragazzi che abbandonano la scuola, che tentano il suicidio, che commettono reati e, quindi, i cui comportamenti sono percepiti come dissonanti rispetto a un certo modello condiviso di competenza sociale e che, per questo, marcano la diversità di chi li compie rispetto agli altri.

All’interno di un paradigma fenomenologico interagente con problematiche educative, la riflessione e l’intervento pedagogico si indirizzano verso l’esplicitazione e la risoluzione di quelle difficoltà a strutturare una visione adattiva di sé-nel mondo-con gli altri, che, a monte di ogni differenza di comportamento, contraddistingue ogni esperienza educativa, con un invito alla individualizzazione della prassi educativa rappresentato dall’attenzione alla specificità e originalità dell’individuo e dei suoi modi di tradurre in comportamento tale difficoltà. L’attenzione pedagogica si sposta dal comportamento visibile alle motivazioni e ai profili biografici in cui si situano schemi di relazione disfunzionali per cogliere il significato che l’azione e la situazione hanno per chi vi è coinvolto, la sua visione del mondo. I ragazzi difficili sono accomunati da una strutturazione debole o disadattiva di una visione del mondo e di sé-nel-mondo con gli altri. I ragazzi solitamente definiti “a rischio” “disadattati” “delinquenti” sulla base del loro comportamento sono di fatti semplicemente accomunabili sulla base di tale strutturazione debole o disadattiva. Dalla storia in cui si collocano i comportamenti emergono profili biografici costellati di difficoltà, interruzioni o cortocircuiti nel processo di costruzione di sé come soggetto, schemi di relazione con il mondo e con gli altri disfunzionali.

Compito dell’agire educativo è assumere le potenzialità evolutive e personali del soggetto e uno sguardo capace di cogliere la complessità del caso singolo: cioè capace di ricostruire non solo l’azione ma, soprattutto, i significati di quell’azione individuabili come “difficoltà esistenziali”. Dietro ogni atto vi è una biografia, una visione del mondo ed è qui rintracciabile il punto di partenza per un progetto educativo che riesca ad assumere queste “storie di vita” per proiettarsi oltre. Il paradigma teoretico di una pedagogia dei ragazzi difficili assume pertanto la centralità del soggetto e dei processi attraverso i quali egli percepisce, fa proprie, investe o svuota di senso le sue condizioni di esistenza. Esso individua dunque un oggetto specifico di riflessione e intervento pedagogico: il contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo, nella consapevolezza che la proposta di interpretazioni e formule esplicative non orientate agli attori  può condurre al fallimento della prassi rieducativa.

Se lo sviluppo del soggetto è legato al tipo di rapporto che instaura col mondo e all’attività intenzionale della coscienza protagonista di questa relazione, il disadattamento – lacerazione più o meno profonda del rapporto tra soggetto e mondo – può essere considerato il prodotto di un mancato o alterato funzionamento della coscienza intenzionale, secondo un principio di assenza di intenzionalità o distorsione dell’intenzionalità.

 

 

Assenza di intenzionalità:

Incapacità del soggetto di situarsi nel mondo come donatore di senso e origine di ogni investimento di significato, che si sente assolutamente determinato  dalle situazioni e circostanze esterne. Il significato delle cose si esaurisce nella loro attualità annullando qualunque istanza di progettualità e generando: dispersione nell’immediato, scetticismo acritico e fatalismo devastante.

Comportamenti antisociali che ne derivano:

– Ricerca esclusiva della soddisfazione immediata frutto non di un agire consapevole e ragionato ma di una adeguazione di sé al mondo, che non si risolve mai in un appagamento del bisogno. Anche il genitore o l’amico sono presenze esterne pronte ad essere sfruttate ed in cui il ragazzo non si sente implicato.

– Fuga da sé, sfiducia in se stesso, volontà di alienazione e desiderio di diventare altro che non riesce a tradursi in percorso, dipendenza verso sostanze o persone cui viene delegata l’attribuzione di un senso alla propria esistenza o messa in atto di azioni volte a dimostrare la propria radicale nullità.

-Svalorizzazione consapevole di sé: dalla consapevolezza della propria incapacità a vivere in modo autentico scaturisce nel soggetto una totale autosvalutazione, in quanto non riesce a trovare il modo per superarsi e proiettarsi in un futuro valido. Il ragazzo può attutire momentaneamente quel senso di nullità con gesti quali il teppismo o di autoannullamento fino al suicidio.

 

 

Distorsione dell’intenzionalità:

Il mondo delle cose è un universo da fagocitare, l’altro non esiste se non ridotto allo stato di oggetto anche lui, il soggetto non riconosce i limiti impostigli dalle cose e dall’essere parte di una realtà intersoggettiva.

I comportamenti sono centrati su manifestazioni di disobbedienza fino alla ribellione, di aggressività fino alla violenza, di assenza di responsabilità e autocontrollo. Vi è una incapacità di riconoscere la soggettività dell’altro.

Ma poiché la realtà contraddice l’onnipotenza e la baldanza si trasforma in disorientamento, piuttosto se il ragazzo ha scarso slancio vitale si genera disperazione esistenziale, se il ragazzo è ricco di vitalità si generano comportamenti sempre più reattivi in una spirale che rischia di portare a comportamenti delinquenziali.

 

Rieducare significa quindi procedere ad una trasformazione della visione del mondo del ragazzo: del suo modo di intendere se stesso, gli altri e le cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà e di procedere quindi nella scelta dei suoi atteggiamenti e comportamenti, secondo il principio per cui “l’uomo o lo si trasforma per intero o non se ne fa niente”. Una tensione verso la radicalità guida l’approccio rieducativo prospettando una direzione, un orizzonte in sé inadeguabile ma capace di indirizzare l’intervento.

 

 

Educazione – rieducazione

Analogie:

– ogni esperienza educativa deve preoccuparsi di affinare la capacità soggettiva di conferire senso e valore al mondo, di sollecitare la consapevolezza del proprio specifico e ineliminabile contributo nella costruzione della realtà e di sviluppare la capacità di negoziare con l’altro le interpretazioni e i significati attribuiti al mondo;

– ogni evento educativo è centrato sulla dimensione temporale del futuro in quanto è volto a favorire nel ragazzo una progressiva e consapevole appropriazione del materiale di esperienza e a sollecitare la sua capacità di trascenderlo.

Differenze:

– qualità delle difficoltà, che richiedono non tanto un impegno educativo diverso quanto un diverso ritmo di intervento;

– direzione: il lavoro rieducativo non parte dal passato del ragazzo pretendendo che egli ne prenda le distanze, non procede dal passato al futuro, ma dal futuro al passato, in quanto punto di arrivo di un processo rivolto sin dall’inizio al futuro.

 

 

L’educatore quindi deve invitare il ragazzo a riconoscere dipendenze e limiti di qualunque forma di esistenza e su questi reindirizzare la sua autonomia personale tra scontri frustranti con il limite ed esperienze di  autoaffermazione.

Anche l’educatore si muove tra autonomia e dipendenza: nessun educatore è libero, creatore onnipotente di nuove soggettività, ma trova nel ragazzo in carne ed ossa il primo vincolo alle sue azioni. Ogni azione educativa, modificando l’oggetto, costringe l’educatore a modificarsi di conseguenza.

Vi è una reciprocità delle relazioni interne al rapporto educativo: ciascuno riconosce nell’altro il vincolo ma anche la garanzia della realizzazione del proprio progetto.

 


 

BIBLIOGRAFIA

 

Bertolini P. (1988), L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze.
Bertolini P., Caronia L. (1993), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia, Firenze.
Caronia L. (1996), Interpretare le differenze: il paradigma fenomenologico in pedagogia e l’educazione dei ragazzi difficili, in A. Mangano – A. Michelin Salomon (eds.), La devianza dei minori come problema educativo, Lacaita Editore, Bari-Roma.
Pesare F. (1998). L’educazione dell’attività intenzionale, interpretativa e elaborativa di senso del soggetto nella prospettiva fenomenologica, in G. Massaro (ed), Orientamenti pedagogici del XX secolo, Adriatica Editrice, Bari, pp. 79 102.