a cura di Stefania Massaro
Nella formazione di identità che siano meno proiettate verso manifestazioni di disagio l’aspetto socio-relazionale e il contesto culturale costituiscono fattori determinanti. Le dinamiche interne alla personalità devono di fatti fare i conti sia orizzontalmente con il contesto culturale e sociale, che verticalmente con principi e valori orientativi del progetto di vita. Anche Erikson rileva l’intreccio tra relazioni intrapersonali e relazioni interpersonali nei processi di formazione dell’identità. Il riconoscimento della relazione con l’altro, inteso come diverso da sé, è sotteso nella più intima fondazione dell’essere. Le matrici del Sé sono indubbiamente sempre anche relazionali, cioè si creano e si rinnovano nelle relazioni significative. Scriveva Heidegger (1969): “l’identità non sta nel soggetto, ma nella relazione”. L’identità si costruisce nella storia, sulla base di un incontro tra persona e contesto esistenziale, tra io e sociocultura, sul fondamento anche della qualità delle relazioni intrecciate nella vita, sulle provocazioni e stimolazioni ricevute, sui condizionamenti rapportuali e ambientali.
Se è agita una socialità interpersonale problematica e non si realizzano condizioni socioaffettive favorevoli, difficilmente il soggetto può rendersi autore di serene canalizzazioni delle energie psichiche in direzione degli apprendimenti culturali e di un divenire personale pieno e maturo. Per questo l’agire educativo oggi è chiamato a ricollegare l’esperienza narcisistica autoreferenziale con la scoperta dell’alterità.
In ambito educativo occorre un distinguo tra un oggettivizzazione della comunicazione con l’altro, che si attiva solo in relazione a notizie o dati da comunicare e fa riferimento solo a elementi fattuali (informare l’altro di sé) e la riproposta di un’apertura ermeneutica rappresentata dal raccontare all’altro di sé. L’informare tende a indicare delle azioni ma non a disvelarne l’autore (l’io), a prospettare accadimenti senza rivelare motivazioni e intenzionalità. Solo nel raccontare si crea un processo di apertura del proprio mondo interiore e di rivelazione del proprio vissuto che consentono un coinvolgimento dell’interlocutore ed alimentano una relazione interpersonale.
L’agire educativo deve pertanto:
– da un lato sostenere il processo attraverso il quale si dispiega la possibilità di distinguere il “tu” quale condizione basilare di costruzione e rafforzamento dell’autoidentità. Quanto più la persona è capace di differenziare l’altro-da-sé, tanto più guadagna la consapevolezza di sé medesimo, perché nell’incontro e nel confronto con l’altro la persona fa una preziosa esperienza di autoscoperta, autoconoscenza e autoriconoscimento;
– dall’altro lato occorre sostenere il processo di scambio perché il Sé deve fondarsi all’interno dell’universo trans-personale della persona.
In tal senso Ricoeur afferma che la persona non può mai isolarsi dal mondo, sospendere le proprie relazioni intenzionali e valutative verso il mondo, non può non coglierci attraverso gli altri, il mondo, e non del tutto attraverso una intuizione originaria e immediata, ovvero non radicata in una dimensione storico-temporale e non ermeneutica, come afferma Husserl.
In questo dispiegarsi di trame relazionali il dispositivo formativo si colloca nell’esercizio di partire da sé per poi tornare a sé. Partire da sé significa evitare le parole e le interpretazioni già costituite per rischiare in prima persona la ricerca della verità. Quando si sta dentro sistemi che anticipano l’orizzonte di senso si agisce dentro i confini di una razionalità strumentale, e il pensare non affronta la fatica di costruire un ordine, preferendo la mera riproduzione di scenari già visti e perdendosi nel pensare di altri. La pratica del partire da sé è quella che interrompe la tendenza della mente a lasciarsi deportare nella verità di altri e fa trovare la strada e fa trovare se stessi mentre ci si cerca. Prendere le distanze dai luoghi simbolici di cui il pensare quotidiano si nutre non va inteso come un perdere il proprio lungo, ma come il movimento necessario a cercare la propria via.
Sul versante educativo il problema è da cogliersi nella riduzione dei rapporti verticali tra adulti e bambini, adulti e adolescenti, nonché dei rapporti orizzontali tra bambini, quindi nella diminuzione quantitativa e qualitativa del numero e della qualità dei processi relazionali in cui il soggetto si ritrova a vivere la tensione costruttiva della propria personalità. Nel nostro tempo, inoltre, l’interazione con l’alterità si è notevolmente modificata: gli altri non sono più facilmente inquadrabili e conoscibili nella loro vicinanza fisica e nella loro appartenenza alle stesse matrici etniche, culturali, religiose. Essa si complessifica in un’infinità di mondi-altri sfuggenti alle predeterminazioni dei consueti processi di significazione, non riconoscibili con le categorie di simbolizzazione in nostro possesso, sorprendenti nella loro imprevedibilità e quasi mai rassicuranti. L’interazione con questa alterità più complessa è ridotta se per interazione ci si riferisce alla comunicazione autentica di parole, idee, sensazioni e giudizi, con un impoverimento della relazionalità, ridotta in termini di semplice “contatto”, nelle sue dimensioni di epidermicità e di velocità. Non si consente in tal modo quella tensione riflessiva di cui si nutre e sostanzia un progetto di sviluppo della identità personale, per si costituiscono identità molteplici che minano effettivamente alle radici il concetto stesso di sé reale e unitario, quali “immagine di sé” o “rappresentazione di sé” che il soggetto trasporta in modo automatico sul piano del rapporto intersoggettivo.
Nel tracciare un itinerario di un agire educativo attento alle rinnovate manifestazioni di disagio si rende necessario affrontare i processi di complessificazione del vivere sociale e di rinnovati incontri con la diversità secondo esperienze di partecipazione autentica ai diversi contesti e privilegiando nell’itinerario dell’incontro non solo tutti i mezzi logici a disposizione (l’analisi e il paragone, il confronto e la verifica), ma anche, e soprattutto, i vissuti individuali, i sentimenti, i rapporti affettivi, le esperienze personali. L’agire dell’educatore è chiamato ad enfatizzare i comportamenti positivi più che i divieti e le limitazioni, i quali possono indurre nell’adolescente un’eccessiva chiusura su di sé ed una riduzione dell’attenzione ai bisogni altrui. Un pensiero improntato alla consapevolezza delle conseguenze di ogni azione e alla presa di coscienza del fatto che le proprie azioni hanno effetti sugli altri come le azioni degli altri li hanno su di sé, va promosso per portare all’assunzione di atteggiamenti coerenti nell’agire quotidiano. Le domande-chiave, da cui partire, possono essere: “Che cosa accadrebbe se …”, “Che cosa potrebbe accadere se tutti …”.
Obiettivo è la padronanza di spinte emotive e sociali (autostima, autofiducia, curiosità, intenzionalità, autocontrollo, comprensione di sé e degli altri, capacità di stabilire rapporti autentici e cooperativi, ecc.). Il consolidamento dell’autoaccettazione, dell’autofiducia e dell’autostima è particolarmente utile per quegli adolescenti che non trovano molteplici o stabili soddisfazioni e rassicurazioni affettive e per questo avvertono spesso un senso di inadeguatezza, incapacità, impotenza e conseguentemente possono rendersi autori di pericolose demotivazioni e dolorose marginalizzazioni. Il concetto che il ragazzo si fa di se stesso attraverso i contatti con l’adulto diventa oggi sempre più rarefatto proprio perché i ragazzi preferiscono sostanzialmente le relazioni orizzontali con i coetanei. Emerge una tendenza a esplicare protagonismi di gruppo, più che personali, con crescente annegamento in relazioni avvitate verso esperienze di tipo surrogatorio e con effetti negativi sulle dinamiche motivazionali e sulla capacità di riflettere sulle proprie esperienze.
BIBLIOGRAFIA
Erikson E.H. (1969) Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando.
Massaro S. (2005), L’educazione difficile nella società della globalizzazione. Principi e metodologie, Adriatica Editrice, Bari.
Pinkus L. (1988), Pensare la formazione : il contributo psicodinamico, in U. Margiotta, Pensare la formazione. Strutture esplicative, trame concettuali, modelli di organizzazione, Roma, Armando.
Scoppola L. (2005), L’esperienza di essere sé. Psicoanalisi, neuroscienze e affetti, Milano, FrancoAngeli.