a cura di Stefania Massaro
Per superare le spinte provenienti dall’incalzare dei fenomeni di disagio occorrono oggi metodologie educative che contribuiscano a promuovere una proiezione riflessiva sulla temporalità interiore e quindi un senso della continuità temporale quale dimensione in grado di sollecitare una capacità di lettura dei contenuti mentali ed esperienziali acquisiti, ma troppe volte collocati in modo disperso dentro di sé, e raccordare le relazioni fra gli elementi della vita intrapersonale. Obiettivo educativo diviene l’esperienza che il soggetto vive circa la continuità emozionale e affettiva nel tempo e nello spazio del proprio Sé.
A partire dall’educazione quale processo di valorizzazione continua della persona, di fatti, la problematica educativa che oggi si prospetta come centrale è quella che riguarda l’affermazione dell’identità personale in termini di continua conquista ed elaborazione, la più intenzionale possibile, di modi di essere, pensare, agire, di contro ad affermazioni di un’identità che viene posta sì nella sua apertura, ma non nei suoi processi di costruttività e ricerca. Posto il senso costruttivo dell’identità personale, se ne pone l’apertura permanente, con una ricerca, che è anche progetto di negoziazione con cui essa necessita di essere costruita e rilanciata permanentemente sulla discontinuità delle sue esperienze, secondo un gerarchia di valori scelti ed interpretati.
Fra tali metodologie ci soffermiamo sulla narrazione, muovendo dall’affermazione di Ricoeur (1988) secondo cui l’educazione alla temporalità può ricevere un grande contributo dalla mediazione del discorso narrativo. Raccontare eventi significa inserirli in una catena temporale che tende ad una conclusione, in relazione consequenziale con gli avvenimenti raccontati: ogni accadimento, una volta inserito narrativamente in una connessione temporale, perde il suo carattere episodico, occasionale, eterogeneo e frammentario, per diventare parte di una totalità significante. La temporalità narrativa diventa così una connessione configurante grazie alla quale è possibile parlare di sé a se stessi e agli altri. Ricoeur parla di una “intelligenza narrativa”, che, immettendo i fatti in una struttura temporale, li dispone dentro un ordine comprensivo e significativo che è alla base delle due modalità logiche con le quali la cultura trasforma da sempre gli eventi-fatti in situazioni dotate di senso: spiegazione causale (un evento-effetto succede a causa di un altro) e spiegazione teleologica (un evento accade “prima”, allo scopo di farne accadere “dopo” un altro). Entrambe le modalità di ragionamento hanno in comune l’elemento temporale, che però viene utilizzato in modo diverso: la connessione causale predilige la temporalità del “prima”, dell’inizio; alla connessione teleologica, invece, interessa il tempo del “dopo”, del futuro, in quanto ogni azione tendente a uno scopo è solo preparazione di eventi successivi.
La temporalità biografica diventa pertanto tempo-esperienza e tempo-esperimento, con cui la narrazione arricchisce il tempo lineare, rendendolo ermeneuticamente aperto. Per questo l’intelligenza narrativa esercita la capacità di pensare di più, con approdi di senso personale. L’intelligenza narrativa tende a recuperare il senso problematizzante, a uscir fuori dalla condizione di un’esperienza vissuta sempre come “labirinto”.
Educare alla costruzione dell’identità significa sempre educare a riconoscersi autore di azioni esplicative di sé come soggetto personale, per cui il senso dell’identità lo si promuove proprio nel riconoscere primariamente questa continuità temporale della condizione attiva di autore di azioni non solo correlate, ma anche coerenti. Significativo è come nella costruzione dell’identità narrativa l’attenzione si sposta primariamente sul soggetto dell’azione e il problema torna al “chi”, ossia alla risposta alle domande: “chi ha fatto tale azione?”, “perché?” Le connessioni causali, temporali, spaziali vanno cercate nelle azioni, ma le ragioni vanno correlate primariamente all’autore, ai protagonisti, alla intenzionalità, ai principi, ai valori scelti o cercati. L’io narrativo si evidenzia in primo luogo come un “io sono”, in quanto soggetto che comunica, racconta in qualità di autore, responsabile di un discorso che nel farsi atto enunciativo offre una direzione al senso. L’esperienza di fatti chiede di essere ripercorsa e unificata in senso narrativo, per tendere all’affermazione dell’identità personale.
L’agire educativo deve partire, in ogni progetto educativo e formativo, dalla conoscenza del soggetto perché prima che soggetto che apprende, il ragazzo è persona che ha una storia e che vive la propria storia di vissuti, attese, tensioni, frustrazioni, emozioni e sentimenti. Esso deve inoltre promuovere una dinamizzazione dell’identità del soggetto aprendola sempre verso la possibilità della sua narratività perché la narrazione mette in gioco non solo azioni-risposte a fatti accaduti, ma pensieri carichi di significatività e dialoghi, dai quali emerge il pensare e sentire del soggetto, con cui egli stesso, raccontando, ricorda, spera, progetta. L’intelligenza narrativa si fa “esame di coscienza” del mondo interiore e guadagnare questa capacità significa progredire nel processo di autocomprensione e garantire la persistenza/continuità contro il rischio dell’identità di circostanza. E’ quanto mai complesso e problematico aiutare un bambino o un adolescente a saper elaborare sempre meglio la “sua” storia che lo aiuti a presiedere sempre meglio le sue relazioni intrapersonali e interpersonali. Non vi sono formalismi metodologici che possano garantirne una progressione positiva, poichè rimane sempre difficile comprendere adeguatamente quello che avviene nel pensiero e nella coscienza.
L’educatore può promuovere nel soggetto una “sensibilità narrativa” con una metodologia rivolta a facilitare il processo complementare a quello dell’”entrare” nel mondo interiore del soggetto: il processo di una “uscita”, cioè di una spinta alla manifestazione più libera, aperta, continua di tale mondo interiore, una manifestazione presieduta sempre meno da un docente o da uno psicologo, e sempre più dallo stesso soggetto, con cui non risponda a domande o quiz, test ma decida di coinvolgersi e aprirsi.
Non tutta l’esperienza può essere narrata, ma per promuovere questa processo si possono sollecitare i ragazzi a raccontare anche per iscritto la propria vita, a compilare un diario personale in cui raccontano l’idea di sé (come mi trovo, come immagino che gli altri mi vedano), le competenze (cosa so fare, cosa ho imparato, cosa non so fare), le riflessioni culturali, le relazioni (cosa mi piace, chi non mi piace, chi mi piace, ecc.), le fantasie, i sogni, le idee gli stati d’animo inerenti alle esperienze vissute.
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