a cura di Giorgio Prada
La spontaneità, la freschezza e l’autenticità che l’esperienza educativa a volte regala, rappresentano altrettanti esiti dovuti all’allestimento di un contesto particolare, finzionale (Massa, 2003). Un’esperienza educativa può avere certamente carattere di autenticità per quanto riguarda la sua significatività, eppure è necessariamente strutturata in modo da disporre all’esercizio, mettendo alla prova; essa è efficace quando allestisce un mondo “parallelo”, ponendo chi sta imparando al riparo dagli effetti dei propri errori, consentendo di sperimentare quanto accade “veramente” nel mondo della vita. L’alternativa secca è crescere lasciando che sia l’esistenza stessa ad insegnare, senza mediazione alcuna
Dobbiamo a Riccardo Massa la spiegazione feconda di come si possa affrontare la complessità dell’esperienza educativa grazie a un’analogia col teatro quale esperienza in grado di generare una trasformazione nello spettatore (Cappa e Antonacci, 2001). Attraverso la mediazione teatrale l’autore costruisce un’esperienza scenica, un vero e proprio contesto, che accompagna, provoca e spinge il suo pubblico a rivivere, finzionalmente, un contenuto. Non sarebbe lo stesso se si trasmettesse quel contenuto con un bel discorso, con uno scritto esplicativo? Allestimenti diversi del medesimo testo teatrale comportano in effetti risultati diversissimi tra loro!
La necessità di costruire esperienze educative significative (Dewey, 1930, Bertolini, 1990, Palmieri 2011) impone di educare con metodo (prima che con un metodo), di qui la necessità di utilizzare strumenti adeguati, attrezzi e arnesi utili alla bisogna.
L’attenzione alla struttura degli interventi educativi comporta la conseguente costruzione di “scene”, contesti spazio temporali organizzati per garantire la finzionalità che consente l’apprendimento. Un lavoro questo assimilabile a quello di un regista, ma se possibile ancor più complicato dalla necessità di vestire pure i panni del co-attore. Condurre un intervento educativo, pensarlo e poi realizzarlo e verificarlo, significa metter mano a un evento altamente complesso per il quale si “va in scena” senza pensarci, o al contrario “progettando minuziosamente” l’intervento. In un caso o nell’altro come far fronte all’improbabile? Nel teatro ogni attore segue una parte, nel mondo della formazione, per quanto si possa pur sempre far riferimento a saperi forti, l’imponderabile, l’improbabile governano la scena.
Per questo agire con un metodo, progettare, darsi degli obiettivi, etc. rappresentano il tentativo di imbrigliare la complessità e una volta “in scena” l’educatore progettista incrocerà l’inatteso nell’alterità dell’educando, un serio ostacolo davvero per chi pensa ancora in termini di razionalità assoluta (Morin, 1993)!
L’educatore-regista-coattore si ritrova nella necessità di “improvvisare”, senza mai cedere al caso o a lasciarsi andare a “reazioni spontanee”: improvvisare non è ritenuto comportamento professionale, serio, impeccabile… Eppure l’improvvisazione in educazione è proprio necessaria! Non si recita, non si suona, non si danza né si scrive mai a caso quando s’improvvisa teatralmente, musicalmente, coreuticamente, poeticamente e così via! Sappiamo al contrario che padronanza della tecnica sia necessaria per improvvisare. Ma come raggiungerla, come ci si arriva? Unicamente con anni d’esperienza sulle spalle?
Per chi si trovasse ad arrovellarsi intorno al medesimo problema abbiamo pensato a una “partitura educativa” (Palmieri, Prada 2008); un attrezzo per non rinunciare ad agire razionalmente, per continuare a pensare e agire stante la complessità dell’educazione, un attrezzo utile a ricercare e a consentire al tempo stesso la risposta attiva e significativa dell’educando.
Analogamente a quanto accade per la scrittura musicale, o per il copione teatrale, la partitura educativa è un attrezzo adatto a comprendere e per quanto possibile a costruire, una scena educativa. Da questo punto di vista si tratta di un attrezzo “reversibile” dal momento che si può usare per costruire scene educative, ma anche per… rileggerne trama e ordito!
Si tratta anche di un attrezzo la cui padronanza si acquista attraverso il maneggiar frequentemente, come l’etimo sottolinea; “addestrandosi” all’uso, consentendoci di raggiungere efficacemente lo scopo attraverso un investimento sostenibile.
Così come in teatro l’autore crea movimenti, dispone gli ingressi degli attori e sistema gli oggetti, fa uso di determinate luci e suoni e così via in una sorta di ordito intrecciato con la trama della sceneggiatura, anche in musica ritroviamo una tessitura altrettanto ricca; pensiamo a una composizione “sinfonica”, allorquando ascoltiamo le diverse tracce, gli ingressi dei vari; è comunque l’intreccio complessivo, armonico, a determinare il risultato, dosando ciascuno strumento coi suoi pieni, i movimenti, le pause, le fughe, i contrappunti, gli unioni in quella complessità che da ascoltatori possiamo giudicare anche soltanto come “buona musica”.
Allo stesso modo per una scena educativa, esperienza che avviene in un determinato tempo e in un contesto specifico, mai neutri, che vede la presenza di un educatore e di un educando almeno, ma che può benissimo comprendere più educandi e/o educatori, con la presenza eventualmente di altri anche non in ruolo educativo, una scena nella quale viene a significarsi ciò che si intenziona, veicolando contenuti, simboli; muovendo affetti, disponendo oggetti, persone, luci; adoperando soprattutto un’incredibile tavolozza di mediatori atti ad intervenire sul tempo stesso della scena istituendola dal principio e chiudendola alla fine grazie ad appositi rituali i quali consentono di “entrare ed uscire” dalla formazione, ma anche mediatori atti ad assecondare i diversi processi di apprendimento.
Analogamente a una pagina di musica, ma anche ad un copione teatrale, possiamo configurare ogni dimensione attraverso altrettanti righi. Tanti righi disposti uno sopra l’altro quante le dimensioni che le nostre teorie di riferimento ci consentono di “prefigurare”: in questo modo avremo un rigo per ciascuna dimensione e il rigo scorre sul foglio da sinistra a destra (del resto non si tratta che di una forma di scrittura…). Sarà necessario anzitutto “segnare” i momenti dell’ingresso e dell’uscita dal setting educativo evidenziando queste due “battute” chiave; fatto questo si potrà scrivere ritmando l’intera scena educativa, depositando cioè battuta dopo battuta la “melodia” di ogni dimensione, proprio come la parte affidata dal compositore ad uno strumento o dal regista alle luci, ad esempio. Queste battute che ritmano il percorso sono in fondo quegli snodi evidenziati nei racconti degli episodi educativi: “e poi abbiamo cominciato”, “ad un certo punto io…”, “arrivati a questo punto…” e così via. Se la battuta segna uno snodo importante lo sarà ancor più “riempire” la battuta con le scelte derivanti dalle diverse dimensioni. In questo senso si genera un percorso ipotetico tra i tanti possibili, abbozzando una direzione e generare, rigo per rigo, altrettante corrispondenze, a costruire anche un ordito dopo la trama in un intreccio che esplicita la complessità dell’intervento pensabile: per ciascun rigo “in orizzontale” è possibile infatti leggere l’andamento, rileggendo “in verticale” tutti i righi, battuta per battuta, è possibile leggere il significato complessivo che la scena mostrerebbe.
Più che a una cura maniacale del “riempimento” forzoso di ogni traccia e di ogni battuta, l’attrezzo serve per organizzare l’esperienza proponibile; così facendo ci si esercita soprattutto a far interagire le diverse dimensioni e soprattutto a sbalzarle dall’impensato, dalla casualità. Come lo stratega della vela studia il percorso migliore potendosi poi concentrare sulle variabili imprescindibili che incontrerà, così l’educatore avendo imbastito la partitura, potrà cambiare, modificare, cancellare, aggiornare in tempo reale e dal momento che la strategia… è “distesa” potrà persino improvvisare!
Una partitura per “scrivere” l’educazione intenzionale, una partitura per “leggere” quanto educativamente è accaduto. Una partitura per non dover pianificare ogni minimo evento e poi trovarsi in scacco al primo “incidente”, una partitura per comprendere quale ricca tessitura d’esperienza si è realizzata. Ancora una volta un paradosso, ma nello stretto pertugio che si apre tra le due alzate, crediamo corra la competenza metodologica di un bravo educatore. Al di là della capacità di padroneggiare “questo” o “quel” metodo. Come per il lavoro artigiano, oltre al metodo acquisito occorre una certa “malizia” per risolvere ogni nuovo problema e in educazione non esiste soluzione riproducibile.
BIBLIOGRAFIA
Bertolini, P., Caronia, L. (1993), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze: La Nuova Italia.
Canevaro, A. (2008), Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la «logica del domino». Trento: Erikson.
Cappa, F., Antonacci, F. (a cura di) (2001), Riccardo Massa. Lezioni su la peste, il teatro, l’educazione, Milano: FrancoAngeli.
Demetrio, D. (1993), Micropedagogia, La ricerca qualitativa in educazione, Firenze: La Nuova Italia.
Franza, A.M. (1993) Giovani satiri e vecchi sileni, Milano: Unicopli.
Iori, V. (1996), Lo spazio vissuto. Luoghi educativi e soggettività, Firenze: La Nuova Italia.
Massa, R. (1987), Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Milano: Unicopli.
Massa, R. (2003), Le tecniche e i corpi. Verso una scienza dell’educazione. Nuova edizione, Milano: Unicopli.
Morin, E. (1993), Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Segrate: Sperling & Kupfer.
Orsenigo, J. (1999), Oltre la fine. Sul compimento della formazione, Milano: Unicopli.
Orsenigo, J. (2008), Lo spazio paradossale. Esercizi di filosofia dell’educazione, Milano: Unicopli.
Orsenigo J. (a cura di) (2010), Lavorare di cuore. Il desiderio nelle professioni educative, Milano: FrancoAngeli.Palmieri, C. (2011), Un’esperienza di cui aver cura, Milano: FrancoAngeli.
Palmieri, C., Prada, G. (a cura di) (2005), La diagnosi educativa. La questione della conoscenza del soggetto nelle pratiche pedagogiche, Milano: FrancoAngeli.
Palmieri, C., Prada, G. (2008), Non di sola relazione. Per una cura del processo educativo, Milano: Mimesis.
Prada, G. (2004), “La metodologia della pratica educativa”, in W. Brandani e P. Zuffinetti (a cura di), Le competenze dell’educatore professionale, Roma: Carocci.
Rezzara, A. (a cura di) (2004), Dalla scienza pedagogica alla clinica della formazione. Sul pensiero e l’opera di Riccardo Massa, Milano: FrancoAngeli.
Sennett, R. (2008), L’ uomo artigiano, Milano: Feltrinelli.
Salomone, I. (1997), Il setting pedagogico. Vincoli e possibilità per l’interazione educativa, Roma: Carocci.
Scaparro, F., Castelli, S, Corona, D. (1991) Ritmi e rituali dello sviluppo, Milano: Cortina.
Winnicott, D. W. (1986), Gioco e realtà, Roma: Armando.