Habitus

a cura di Patrizia Magnoler, Valentina Iobbi

Per Bourdieu (2005) il concetto di habitus si può definire come il “principio non scelto di tutte le scelte” che

“si dà come sistema di disposizioni durature e trasmissibili, strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, cioè in quanto principi generatori e organizzatori di pratiche e rappresentazioni che possono essere oggettivamente adatte al loro scopo senza presupporre la posizione cosciente di fini e la padronanza esplicita delle operazioni necessarie per raggiungerli, oggettivamente “regolate” e “regolari” senza essere affatto prodotte dall’obbedienza a regole […] (Bourdieu, 2005, 84)”

L’habitus, integrando le esperienze passate, agisce influenzando le percezioni, le valutazioni, le condotte e nello stesso tempo rendendo possibile l’attuazione di una grande varietà di compiti, grazie ai transfert analogici di schemi che permettono di risolvere problemi dalla stessa struttura.

Questo concetto, strettamente collegato alla microregolazione delle azioni, risulta fondamentale nell’agire professionale (Perrenoud, 1996) determinando molte delle routine e degli schemi che caratterizzano i comportamenti messi in atto durante le situazioni più stressanti o che richiedono soluzioni repentine. L’habitus agisce nelle situazioni in modo da individuare e mobilitare le risorse adatte a risolverle: per questo non si riesce ad isolarlo rispetto alla competenza di cui costituisce la “grammatica generatrice mai formalizzata” (Perrenoud, 2002).

Non essendo formalizzabile, l’habitus non è mai riconducibile solamente ai comportamenti visibili; per questo motivo va individuata una formula più complessa che permetta di raccoglierne la parte statica e la parte dinamica.

Una proposta in tal senso, fa riferimento ai principi enunciati da Morin (1989) per indagare i sistemi complessi (Magnoler, 2011).  , quello ricorsivo e quello ologrammatico

Il principio dialogico, è definito da Morin come

“l’associazione complessa (complementare, concorrente, antagonista) di istanze <necessarie insieme> all’esistenza, al funzionamento e allo sviluppo del fenomeno organizzato” (Morin, 1989, 112).

Una prima dialettica ascrivibile a questo principio, può essere quella fra corpo e mente: essa è necessaria per il dialogo interno-esterno e per i processi di autoregolazione e di apprendimento che derivano dalla messa in atto e dalla valutazione della propria attività. L’habitus è strettamente collegato anche all’attuazione di comportamenti adeguati agli ordini sociali (Bourdieu, 1980) in quanto reificazione di un significato sociale incorporato nell’individuo e che si manifesta nei gesti, nelle usanze e nelle posture.

Una seconda dialettica è quella fra il passato ed il presente-futuro: l’habitus infatti si costituisce come un ponte fra ciò che la persona può realizzare e la sua effettiva pratica. L’esperienza influenza le percezioni e i comportamenti, i quali sono determinanti nella presa di decisioni rispetto a situazioni sia inedite che conosciute e che permette al soggetto di adattarsi all’ambiente.

Una terza dialettica è fra la vita personale e professionale: come confermano gli studi sulla work identity (Illeris, 2004) esiste una reale interconnessione fra la vita professionale e quella privata.

Una quarta dialettica è rinvenibile fra il collettivo e l’individuale, tanto che Bourdieu descrive l’esistenza di un habitus che caratterizza la classe sociale, frutto delle relazioni di molti soggetti, nel quale però poi si definiscono le varianti individuali del singolo.

Il secondo principio è quello ricorsivo nel quale le cause sono anche gli effetti e viceversa: esso si traduce nei rapporti che intercorrono fra schemi e prospettive (Mezirow, 2003) e fra l’esperienza e la riflessione e si rintraccia nelle caratteristiche di dinamicità e di stabilità presenti nell’habitus. Le aspettative vanno a costituire un quadro orientativo che è necessario per interpretare e dare significato all’esperienza: il cambiamento di queste aspettative avviene insieme alla critica da parte dell’individuo rispetto a quegli assunti che condizionano il suo modo di vedere il mondo, e può essere stimolato da un’esperienza destabilizzante che porta al cambiamento degli schemi.

Il terzo principio è quello ologrammatico: ogni parte del tutto contiene il tutto (Morin,1989) e ne rappresenta la complessità. Per comprendere questo principio basti pensare al fatto che l’esperienza può essere pensata solo in rapporto al senso che il soggetto assegna alle diverse parti che la compongono e al loro rapporto: il senso produce delle visioni d’insieme che prendono corpo a partire dai significati dei singoli particolari.

Le tracce dell’habitus devono essere ricercate anche nella formazione dei professionisti: prenderne consapevolezza significa poter avviare cambiamenti consapevoli.

In particolare, riferendosi alla competenza dell’insegnante nella progettazione didattica, si nota come l’habitus intervenga nell’attivazione degli schemi operativi e nella presa delle decisioni, le quali rispecchiano i valori personali della filosofia educativa (Seldin, 2004). Il soggetto, infatti, non accede direttamente all’esperienza, ma utilizza degli “schémi” (Perrenoud, 2001), artefatti  attraverso  i quali rappresenta la realtà in modo semplificato.

È importante che il soggetto sviluppi quanta più consapevolezza possibile rispetto alle proprie condotte e alle scelte che le determinano: riflettere sui dispositivi e sugli artefatti che si costruiscono, analizzare le pratiche e riflettere sulle proprie interpretazioni, permette di scoprire le tracce del funzionamento dell’habitus e la sua influenza nel dialogo con le situazioni.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Bourdieu, P., Il senso pratico, Armando, Roma, 2005.
Magnoler, P., Tracce di habitus?, in Education Sciences & Society, II, 1, 2011, pp. 67-82. (l’articolo è reperibile al link
ttp://www.unimc.it/riviste/index.php/es_s/article/view/135/64 )