Orientalismo è il titolo di un influente libro pubblicato nel 1978 dal celebre intellettuale palestinese Edward Said. L’autore (nato a Gerusalemme nel 1935, morto a New York nel 2003, per quarant’anni docente di Letteratura Comparata presso la Columbia University di New York) vi ricostruisce i molti e diversi modi in cui gli studiosi e i letterati occidentali hanno costruito nei secoli un’immagine dell’Oriente tanto stereotipata quanto funzionale alla costruzione delle stesse culture e identità occidentali.
Lo studioso Miguel Mellino, in una sua rilettura della genesi e della fortuna dell’opera saidiana, individua – sulla falsa riga dello stesso Said – tre definizioni intrecciate e interdipendenti dell'”orientalismo”: “a) un campo di studi e ricerche letterarie ed accademiche riguardanti i più svariati aspetti dei popoli orientali capace di attraversare diversi secoli e un insieme alquanto eterogeneo di discipline […]; b) uno stile di pensiero fondato su una distinzione sia ontologica sia epistemologica tra Occidente da un lato e Oriente dall’altro; c) l’insieme delle istituzioni create dall’Occidente al fine di controllare e gestire le proprie relazioni con l’Oriente” (Mellino, 2009: 31).
In questa prospettiva l’orientalismo non coincide semplicemente con il colonialismo europeo in Oriente, ma ne costituisce in qualche modo uno sfondo e una legittimazione che hanno preceduto la storia delle effettive relazioni coloniali, le hanno accompagnate, e continuano spesso a sopravvivere anche dopo la cosiddetta decolonizzazione, sia nel contesto del neocolonialismo sia in quello delle cosiddette società globali.
L’approccio inaugurato da Orientalismo ha esercitato ed esercita tutt’oggi una grande influenza su un’ampia gamma di questioni e di campi di studio, che spaziano dall’analisi dei rapporti storici e politici fra Occidente e Oriente all’analisi teorica, antropologica, letteraria delle forme di produzione della conoscenza in epoca coloniale e postcoloniale. Una gamma di questioni che si spinge – ancora più in generale – fino a comprendere gli stessi presupposti epistemologici delle relazioni fra “identità” e “alterità” e le loro declinazioni nei diversi contesti storici e sociali.
In particolare, come sintetizza ancora Mellino, uno degli effetti più importanti e duraturi della fortuna di Orientalismo, può essere identificato nel contributo che l’opera di Said ha portato nella decostruzione di una delle idee forti delle scienze sociali occidentali, ovvero l’idea della “cultura” come un ambito che si riterrebbe avulso dai conflitti storico-sociali che hanno segnato la storia dei rapporti fra Europa e resto del mondo. Come ha invece sintetizzato Mellino, “dopo Orientalismo […] è stato sempre più difficile affidarsi al concetto di cultura come a un comodo rifugio asettico e considerare la produzione del sapere come un campo autonomo dalle logiche di potere e dalle lotte politiche che attraversano l’intera arena sociale, come il frutto di volontà obiettive e disinteressate” (Mellino, 2009: 8-9).
In questo senso, Orientalismo costituisce uno dei più importanti presupposti della critica postcoloniale contemporanea, ovvero di quell’approccio scientifico che si basa su “una presa di distanza, cioè un momento di frattura o superamento nei confronti dei criteri di rappresentazione e valutazione tipici della teoria sociale moderna e la cui validità epistemologica veniva sancita […] dall’egemonia del colonialismo a livello mondiale” (Mellino, 2005: 46).
È in questa prospettiva che un approccio come quello inaugurato da Orientalismo viene a esercitare un ruolo importante anche in ambito pedagogico, in particolare quando la riflessione pedagogica nasce da (e ritorna poi a) un confronto con le concrete questioni educative sollevate dai contesti educativi eterogenei, formali e non (Zoletto, 2011). Alla proposta saidiana si sono infatti richiamati già i primi tentativi di analisi e riforma delle politiche educative rivolte all’allievo “immigrato” in ambito europeo (Carby 1982), così come molta ricerca pedagogica ed educativa svolta in contesti postcoloniali (cfr. per esempio Spivak 1999). In tutti questi ambiti un approccio attento alla lezione di Said ha cercato e carca a tutt’oggi di mantenere alta la vigilanza e la consapevolezza pedagogica (Sirna 2003, Santerini 2008), in particolare nei confronti di letture troppo sempliciste o unilaterali delle differenze che attraversano i contesti educativi. Nei confronti di allievi ed allieve migranti e postmigranti, per esempio, un approccio pedagogico attento alla lezione di Said cerca di evitare proposte educative fondate su immagini stereotipate per privilegiare invece approcci educativi di ricerca che partano dall’analisi delle concrete situazioni educative e delle relazioni che vi si sviluppano tra i diversi soggetti della relazione educativa, per costruire poi – a partire da tali analisi – proposte pedagogiche più rigorose e rispettose della complessità dei contesti educativi contemporanei.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Zoletto, D. (2011), Pedagogia e studi culturali. Dalla critica postcoloniale ai flussi culturali transnazionali, ETS, Pisa.
PER L’APPROFONDIMENTO E LA RICERCA
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Carby, H.V. (1999), Cultures in Babylon: Black Britain and African America, Verso, London-New York.
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RISORSE ON LINE
Per un repertorio di interventi che propongono diverse riletture – anche in prospettiva pedagogica – dei temi dell’orientalismo e della critica postcoloniale, si vedano i diversi numeri di Trickster, rivista online del Master in Studi Interculturali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova (http://trickster.lettere.unipd.it).