Nuovi italiani è il provocatorio titolo che tre autorevoli demografi – Gianpiero Della Zuanna, Patrizia Farina e Salvatore Strozza – hanno scelto di utilizzare per un loro recente libro che raccoglie un’ampia ricerca demografica sui giovani figli di genitori migranti in Italia. L’indagine, condotta su un campione che copre diverse aree territoriali italiane, evidenzia punti di forza e di debolezza delle esperienza quotidiana (scolastica ed extrascolastica) dei figli e delle figlie di genitori migranti nel nostro Paese, confermando – sulla base di un campione quantitativamente significativo – alcuni elementi emersi anche dalle sempre più numerose e documentate ricerche qualitative su questo segmento della popolazione presente sul territorio nazionale.
Da questo ampio insieme di ricerche emergono in particolare, fra i punti di debolezza, le difficoltà che questi ragazzi e ragazze possono incontrare lungo il loro percorso scolastico: i dati sui risultati scolastici e sul ritardo degli allievi e delle allieve figli di migranti evidenziano infatti – anche quando questi allievi sono nati in Italia o sono stati scolarizzati molto presto nel nostro Paese – una serie di problemi che li espongono al rischio concreto dell’abbandono scolastico (Fondazione ISMU, Miur, 2011). Si tratta di una criticità importante perché comporta la riduzione della mobilità sociale e la possibile crescita di fenomeni di esclusione sociale che potrebbero minare alle fondamenta gli auspicati processi di integrazione sociale.
Altrettanti punti di debolezza emergono anche sul fronte dell’esperienza extrascolastica di questi ragazzi e ragazze, che spesso (a causa di politiche abitative locali che favoriscono la concentrazione della popolazione migrante e postmigrante in poche e specifiche aree delle nostre città) si trovano ad abitare in territori dove l’offerta di attività educative extrascolastiche può essere spesso ridotta (Santerini, 2009: 23-24). In questo caso, si tratta di una criticità che spesso va a sommarsi a scelte da parte dei genitori che tendono a preferire per i figli contesti extrascolastici poco “interetnici” e a una tendenza per la quale gli stessi ragazzi e ragazze privilegiano, soprattutto quando crescono, reti amicali sempre più culturalmente e socialmente omogenee (Ambrosini, 2006: 95-96).
E tuttavia le ricerche sia quantitative che qualitative sui giovani figli di migranti evidenziano anche alcuni loro importanti punti di forza. Innanzitutto, emerge come i figli e figlie di genitori migranti condividano molti aspetti della vita quotidiana con i loro coetanei figli di genitori autoctoni (Cologna, Breveglieri 2003; Della Zuanna, Farina, Strozza 2009). Inoltre, soprattutto da quelle ricerche che hanno documentato i vissuti biografici di questi ragazzi e ragazze, emerge come costoro – sebbene a volte ancora non cittadini italiani e per quanto spesso percepiti ancora come “stranieri” da parte della popolazione autoctona – rappresentino invece se stessi proprio come “nuovi italiani” (Granata 2011). Ed emerge anche, da una parte consistente delle ricerche, come questi ragazzi e ragazze appaiano spesso in grado di “tenere insieme una pluralità di mondi” e di appartenenze (Granata 2011: 145), dimostrando in tal modo, nella quotidianità della loro relazioni con adulti e coetanei, una preziosa capacità di “fare da ‘ponte’ fra tra le generazioni” (Santerini, 2009: 24).
È proprio in questa prospettiva che appare dunque opportuno – a maggior ragione in chiave pedagogica – ritornare al provocatorio titolo del libro di Della Zuanna, Farina e Strozza. È certo fondamentale sottolineare come si debba partire, nella progettazione educativa, dagli specifici punti di forza e di debolezza dell’esperienza scolastica ed extrascolastica di questi nuovi italiani. E, tuttavia, su questi aspetti è disponibile oggi una notevole documentazione sempre di qualità e sempre più accessibile – si vedano per esempio i titoli indicati in coda a questa scheda.
Ciò che appare altrettanto importante richiamare è però il fatto che i punti di vista e i vissuti dei nuovi italiani impongono oggi a educatori e insegnanti una difficile ma ineludibile riflessione pedagogica. Per i figli e le figlie dei migranti si utilizza spesso la locuzione “seconde generazioni” che ha certo una preziosa rilevanza scientifica, ma che è stata anche criticata perché tende a sottolineare più le discontinuità con i vissuti e le esperienze dei genitori che le continuità e discontinuità con i vissuti e le esperienze dei coetanei (Sayad, 2002). Una locuzione come quella di “nuovi italiani”, seppur con le sue debolezze e nella sua provocatorietà, ci aiuta invece a cogliere con maggiore chiarezza quella che appare una delle sfide più urgenti per la ricerca pedagogica e la progettazione educativa nel nostro Paese: ovvero quella di elaborare ambiti di ricerca e strumenti che aiutino ricercatori, insegnanti ed educatori a accompagnare e orientare i figli e alle figlie dei genitori migranti non più solamente come se fossero un elemento estraneo (“stranieri” o “seconde generazioni di migranti”), ma partendo dalla consapevolezza che essi costituiscono una parte integrante di quelle persone in formazione dalle quali dipende il futuro della società italiana.
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