John Dewey

a cura di Loredana Perla

John Dewey è tra i massimi pedagogisti della storia oltre che uno dei più influenti filosofi americani.

Studiò alla prestigiosa Johns Hopkins di Baltimora come allievo dell’hegeliano G.S. Morris ma subì tuttavia l’influsso dello sperimentalismo di G.S. Hall, del pragmatismo W. James e, in particolare, del ‘pragmaticismo’ di C.S. Perice.

Laureatosi con una tesi sulla psicologia di Kant, proseguì gli studi approfondendo le riflessioni sull’etica (Psicologia, 1887; Lineamenti di una teoria critica dell’etica, 1891) che lo indussero ad abbandonare le originarie posizioni idealistiche e ad optare per un orientamento decisamente evoluzionistico e pragmatista.


La Scuola di Chicago e lo strumentalismo

Nel 1896 fondò a Chicago la prima scuola-laboratorio, ispirata al modello pedagogico ‘attivistico’ ma secondo un accento del tutto originale, di tipo ‘strumentale’, che attenua i caratteri naturalistici ed espressi delle esperienze delle ‘scuole nuove’ europee (C. Reddie, E. Demolins, G. Kerschensteiner).

Secondo lo strumentalismo deweyano, infatti, la scuola dev’essere il luogo in cui l’intelligenza e le altre funzioni adattive dell’uomo si sviluppano quali mezzi per risolvere problemi di vita pratica come, ad esempio, la convivenza sociale. Non è un caso se tale specifico aspetto è stato sviluppato, in seguito, dal movimento statunitense dell’‘educazione progressiva’ (W.H. Kilpatrick, C. Washburne, H. Parkhurst) che sostiene la funzione incisiva dell’educazione sul piano del miglioramento sociale.

Ma lo strumentalismo di Dewey, oltre che rappresentare un nuovo modelli di elaborazione delle proposte educative, è inteso come criterio di lettura dell’intera realtà, dal punto di vista logico ed etico (Il mio credo pedagogico, 1897; Scuola e società, 1900; Studi sulla teoria logica, 1903). Grazie alla collaborazione di G.H. Mead e forte dell’influenza del logicismo di Peirce, Dewey elabora una versione personale del pragmatismo di James e di F.C.S. Schiller, allora imperanti.

Fortemente critico delle posizioni filosofiche che tendono a fissare l’esperienza concreta dell’uomo in teorie astratte o dualistiche (v. idealismo, positivismo, empirismo logico), lo strumentalismo deweyano recupera la relazione dinamica che caratterizzerebbe la realtà, la quale si evolverebbe sulla base di ‘transazioni’ continue tra organismi e ambiente.

 

Le opere della maturità e la riforma sociale

Secondo Dewey, l’uomo sarebbe impiegato in un continuo rapporto dinamico con la realtà, teso alla gestione dell’instabilità degli eventi al fine ultimo di sopravvivervi (Esperienza e natura, 1925). Il linguaggio, l’attività simbolica in genere, persino la coscienza fungerebbero, in questa prospettiva, come ‘abiti’ operativi che l’uomo costruirebbe nel corso dell’esperienza, quale affinamento delle funzioni vitali di base. Lo stesso pensiero sarebbe un’operazione funzionale, un ‘abito di risposta’ a situazioni problematiche passate al vaglio dell’esperienza (Logica, teoria dell’indagine, 1938).

Su tali basi teoriche Dewey elabora una concezione morale ‘aperta’ che rigetta valori precostituiti e che fonda la condotta etica sulla capacità di controllare i vari livelli di complessità in forma armonica (Natura e condotta dell’uomo, 1922).

Tutte queste idee trovano sintesi e condizione operativa nel modello politico, sociale e pedagogico che l’autore descrisse nelle opere della maturità (Esperienza ed educazione, 1938; Educazione oggi, 1940) e che ispirò oltre che il personale impegno politico, le riforme del ‘nuovo corso’ del presidente F.D. Roosevelt.

Dewey denuncia i pericoli dell’individualismo che si annida nel vecchio autoritarismo – basato sulla rigida gerarchia e sulla separazione tra sapere teorico e pratico, tra lavoro intellettuale e manuale – e nel liberismo esasperato; auspica, invece, una riforma democratica che favorisce l’integrazione sociale di tutte le classi e l’equilibrio dei poteri. Tale riforma potrebbe essere realizzata principalmente dallo Stato che, nell’interesse pubblico e con l’apporto di tecnici, scienziati e intellettuali, garantirebbe l’equilibrio e l’autorettifica del complesso sistema sociale.

 

L’educazione come ‘chiave di volta’ della società democratica

Dewey è considerato uno dei teorici dell’educazione più organici in quanto ha saputo elaborare un modello comprensivo ogni aspetto della realtà – dalla teoria sociale e politica alla pratica metodologica.

Il progetto educativo deweyano si innerva, di fatto, tanto a livello macroscopico, sul piano del sistema di istruzione nazionale (attraverso l’elaborazione di un nuovo curriculum di studi basato sul metodo dell’indagine), quanto a livello microscopico, fin dentro la pratica del singolo insegnante (attraverso la preferenza del metodo sul contenuto e il dispositivo laboratoriale basato sul problem solving).

Forte dell’alleanza stretta auspicata tra scuola e società, educazione e politica, Dewey elabora un modello pedagogico tra i più ricchi e che ancora oggi influenza le scelte politiche dei Paesi e metodologie operanti nella scuola.

 


 

BIBLIOGRAFIA

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John Dewey e la pedagogia democratica del ‘900. In occasione dei cento anni dalla pubblicazione di “Democrazia e Educazione”. Roma 24 novembre 2016, Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi Roma Tre.
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