Organizational learning

a cura di Andrea Tarantino*

L’apprendimento organizzativo è una forma di apprendimento che prende le mosse all’interno di contesti strutturati: quando i membri di un’organizzazione, di fronte ad una situazione problematica, si attivano per risolverla e fanno diventare la soluzione trovata e le strategie messe in atto per trovarla patrimonio comune dell’organizzazione[1], quest’ultima sta apprendendo.

“L’apprendimento organizzativo  avviene quando i membri dell’organizzazione agiscono come attori di apprendimento per l’organizzazione, quando cioè, informazioni, esperienze, scoperte, valutazioni di ciascun individuo diventano patrimonio comune dell’intera organizzazione fissandole nella memoria dell’organizzazione, codificandole in norme, valori, metafore e mappe mentali in base alle quali ciascuno agisce. Se questa codificazione non avviene gli individui avranno imparato, ma non le organizzazioni”[2].

Da quando è iniziato ad essere chiaro che, nei contesti del lavoro moderno, i rapporti tra soggetto e lavoro e fra soggetto e organizzazione, ed anche le relazioni sociali dentro le organizzazioni, non sono caratterizzati soltanto da apporti razionali e consensuali, o da circoscrivibili performance prestazionali, perché sono intrisi di implicazioni psicologiche e sociali che risultano determinanti per l’efficienza delle organizzazioni tanto quanto le componenti tecnologiche, normative e strutturali, si avverte fortemente l’esigenza di approcci adeguati per la gestione di tali aspetti.

Organizzazioni competenti sono oggi quelle in cui i soggetti e i gruppi sanno esprimere un’identità che, oltre a categorie culturali e simboliche capaci di significare l’esperienza, possiedano anche potenti funzioni relazionali, idonee al confronto non distruttivo con l’alterità e con il cambiamento, rilevabile come costante ambientale.

 

“La competenza organizzativa è la capacità di produrre risultati utilizzando come risorsa la variabilità del contesto, individuandone tempestivamente le opportunità. La competenza a convivere riguarda la capacità di produrre convivenza in situazioni in cui non ci siano modelli collusivi consolidati… Possiamo quindi chiamare la competenza a convivere anche competenza a trattare con l’estraneo […]. La competenza a convivere è quella che produce nuove regole del gioco sociali, quando quelle presenti denunciano la loro inadeguatezza”[3].

 

Le attuali teorie del management individuano nell’apprendimento organizzativo[4] un fattore di competitività.

Il modello di Argyris e Schön trova le matrici epistemologiche sia nel pragmatismo di J. Dewey che nel costruttivismo negli studi organizzativi[5].

Le risorse umane[6] non più soltanto come capitale per le organizzazioni ma come elemento determinante per la sopravvivenza delle stesse in un ambiente velocemente cangiante. Apprendere per le organizzazioni significa puntare sul capitale umano: creare e incoraggiare l’apprendimento continuo, considerare gli errori possibili, come opportunità di apprendimento, come occasione per valorizzare ogni singolo contributo, per considerare l’esperienza una fonte continua di apprendimento.

Diventa importante l’apprendimento del singolo, ma a fare la differenza sono le dinamiche sottostanti il coinvolgimento totale dei soggetti: in un processo di apprendimento collaborativo e nel cambiamento responsabile collettivamente diretto verso valori e principi condivisi[7].

Pensare un’organizzazione capace di implementare al suo interno la dimensione dell’apprendimento vuol dire concepirla come un sistema aperto e dialogante non solo tra gli attori interni dell’organizzazione, ma anche tra questi e il più ampio contesto sociale, economico e ambientale, in altri termini significa considerare un’organizzazione un  learning organization[8].

Le caratteristiche principali che orbitano intorno agli interessi di ricerca e alle pratiche riguardanti l’apprendimento organizzativo si possono così sintetizzare:

  • l’apprendimento organizzativo si presenta come un modello con diverse sfaccettature, per questo si presta ad essere indagato a diversi livelli (dall’singolo al gruppo, dal comportamento quotidiano ad uno strategico, dal clima organizzativo all’uso della tecnologia, …) e con diversi approcci (psicologico, sociologico, pedagogico, antropologico …)[9];
  • l’apprendimento è visto anche come disapprendimento delle routine: “apprendere ad apprendere”; conseguentemente la consapevolezza dei processi d’apprendimento da parte del singolo soggetto, contribuisce alla messa in discussione nell’organizzazione di comportamenti cristallizzati e abitudinari,[10];
  • l’apprendimento è visto come pratica cognitiva: tra conoscenza e azione si crea un dinamismo che non conosce soluzione di continuità: si conosce in azione[11];
  • i modelli decisionali sono interpretati come contesti di apprendimento: le organizzazioni sono alla costante ricerca di risorse per creare occasioni di apprendimento;
  • fattore importante di apprendimento nelle organizzazioni è il passaggio dalle conoscenze del singolo alla definizione di un sapere collettivo che si possa definire patrimonio comune[12];
  • l’apprendimento è considerato un fenomeno di interazione sociale[13].

Proprio in merito a quest’ultimo punto ci preme ribadire la valenza della dimensione umana,  soprattutto nel portato dei processi di interazioni tra i soggetti che diventano snodo cruciale per l’apprendimento organizzativo. Quest’ultimo si presenta come assestamento dinamico e continuo, funzionale e strategico che utilizza l’apprendimento a partire da quello informale e non formale che naturalmente nasce tra soggetti e all’interno dei gruppi, in un contesto organizzativo.

I gruppi si costituiscono e operano come vere e proprie comunità di pratica, passaggio obbligato per creare apprendimento efficace nelle e per le organizzazioni.

Per J. Lave e E. Wegner[14] una comunità di pratica si caratterizza come un’impresa condivisa e continuamente rinegoziata dai suoi membri che produce abilità e risorse comuni. La prospettiva dei due autori si riferisce in particolare alla distributed cognition in cui l’apprendimento è un prodotto composito e collettivo.

Una comunità di pratica è una rete di relazioni tra persone, che avendo un obiettivo comune, interagiscono in modo spontaneo e informale per condividere esperienze e conoscenze della quotidianità lavorativa.

Lave e  Wenger hanno proposto l’idea della comunità di pratica come una condizione ineludibile per l’esistenza della conoscenza, in cui la struttura sociale, le relazioni, le condizioni favoriscono (o meno) forme di apprendimento, nelle quali il processo educativo e formativo è un processo di graduale co-costruzione di significati, spesso condivisi. Il sapere in questa logica è un processo di relazioni tra attori e oggetti, e non può essere ricondotto ad una delle parti o ad una rappresentazione del sistema sociale di appartenenza. L’apprendimento in questa accezione è espressione delle proprietà emergenti di un sistema socio-tecnico, la conoscenza è veicolata dalla co-partecipazione dentro la comunità sociale, e la cognizione in questa logica è il risultato del processo di socializzazione dei soggetti all’interno delle comunità: è una conoscenza inter- soggettiva, ma anche inter-culturale[15].

Come è facile dedurre, diverse forme di conoscenza sono processate dentro queste dinamiche che si attivano dal “basso”.

  1. Nonaka[16] descrive con molta efficacia i processi di traduzione che avvengono tra le diverse tipologie di conoscenza interpretandole come elementi di una “spirale” che produce forme diverse di arricchimento del patrimonio cognitivo degli individui, passando dalla socializzazione, esternalizzazione, interazione e combinazione  della conoscenza. Le risultanti sono forme di scambio di  conoscenza di diverso livello e intensità che implementano il patrimonio collettivo del tessuto organizzativo.

Decisivo e determinante è il ruolo della formazione intesa come risorsa strategica integrata all’interno dell’organizzazione, dove ha una funzione che è continuamente attenta ai processi di cambiamento dell’organizzazione[17].

Per concludere, se l’apprendimento organizzativo non è la mera somma di singoli apprendimenti individuali, ma la sintesi di processi di interazione tra soggetti che operano per un fine condiviso, la formazione ha il potere di cogliere, generare, implementare e dirigere questi processi verso un progetto comune.

 

 


 

BIBLIOGRAFIA

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* Andrea Tarantino, è dottore di ricerca in Pedagogia dello sviluppo. Svolge attività di ricerca in materia di apprendimento esperienziale, outdoor training, ed educazione degli adulti. Socio fondatore di Espèro Servizi Formativi per il Management, l’Apprendimento Esperienziale, l’Apprendimento per metafore, l’Outdoor training.

[1] C. Argyris, D. Schön, Apprendimento organizzativo, Teoria, metodi e pratiche, Guerini e Associati, Milano 1998.

[2] C. Ibidem op. cit. p. 32.

[3] Ibidem pp. 204-205.

[4]  C. Argyris, D. Schön, Organizational Learning: ATheory of Action Perspective, Addison-Wesley, Reading,  (MA) 1978; C. Argyris, D. Schön, Organizational Learning II: Theory, Method, and Practice, Addison-Wesley, Cambridge,  (MA) 1996 (trad. it. Apprendimento organizzativo, Teoria, metodi e pratiche, Guerini e Associati, Milano 1998; G. Bertini, Un modello di valutazione basato sul giudizio degli esperti, in C. Bezzi, M. Scettri, La valutazione come ricerca e come intervento, Irres, Perugia 1994;  D. Marangon , Il comportamento organizzativo nelle aziende. Individui, gruppi, leader, Carocci, Roma 2015;  F. Miggiani. (a cura di), Learning Organization. Idee e sistemi per lo sviluppo aziendale nella società della conoscenza, Guarini e Associati, Milano 1994; I. Nonaka,  H.Takeuchi, The Knowledge-Creating Company, Oxford University Press, New York 1995, (tra. It. The Knowledge-Creating Company,  Creare le dinamiche dell’innovazione, Guarini e Associati, Milano 1997;  M. Tomassini, Come evolve la learning organization. Note sui presupposti dello sviluppo di reti di apprendimento.” SISTEMI E IMPRESA 44, 1998   41-54.

Per una ricostruzione storica sul tema si può consultare:  C. Fiol., A. Lyles, Organizational Learning, in “Academy of Management Review”, 1985, 10,4;  S. Gherardi, D. Nicolini, Apprendimento e conoscenza nelle organizzazioni, Carocci, Roma 2004; G. Huber, L’apprendimento organizzativo. Un’analisi della letteratura, in “Problemi di gestione”, 1992, 14,4; F. Malerba,  Apprendimento, innovazioni e capacità tecnologiche: verso una nuova concettualizzazione dell’impresa.” Economia e politica industriale 58 (1988): 33-63;  F. Malerba, Learning by firms and incremental technical change,  The economic journal 102.413 (1992): 845-859; L. Oggero, Alla ricerca di nuove rotte manageriali. L’azienda tra apprendimento e desiderio, Franco Angeli, Milano 1998.

[5] Cfr. K. E. Weick, The Social Psychology of Organizing , Addison –Wesley, Reading (MA) 1969.

[6] Cfr. F. Bochicchio, Convivere nelle organizzazioni. Significati, indirizzi, esperienze, Raffaello Corina Editore, Milano 2011.

[7] K. E. Watkins, V. J. Marsick, Building the learning organisation: a new role for human resource developers,  Studies in continuing education,14.2 (1992): 115-129.

[8] Cfr. P. M. Senge, La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo. Sperling & Kupfer Editori, Milano 2006.

[9] Cfr. F. Bochicchio, T. Di Sabato, Lineamenti di organizzazione e gestione delle risorse umane. Logiche interpretative della complessità ornaizzativa, Movimedia, Lecce 2007.

[10] Cfr. C Argyris, Schön, op.cit.; P. Senge, La quinta disciplina, Sperling & Kupfer, Milano 1992.

[11] Cfr. D. A. Schön, The Reflective Practitioner, Basic Books, New York 1983, (tra. It. Il Professionista riflessivo, Dedalo, Bari 1993.

[12] Cfr. Y. Engeström, Learning by Expanding : An Activity-theoretic Approach to Developmental Research, Orianta-Kunsultit, Helsinki 1987; S. Garbellano, G. Testa, Strategie di apprendimento organizzativo. Esperienze di ISVOL FLAT, in F. Miggiani (a cura di) Learning Organization, Guerini e Associati, Milano 1994.

[13] Cfr. G. Alessandrini, Nuovo manuale per l’esperto dei processi formativi, Carocci, Roma 2016, pp. 253-276.

[14] J. Lave e E. Wenger 1991, Situated Learning—Legitimate Peripheral Participation, Cambridge University Press, Cambridge, 1991.

[15] Cfr. C. Grasseni, Comunità di pratica e forme di vita, in «Discipline Filosofiche. La svolta pratica in filosofia», Vol. 1 Grammatiche e teorie della pratica, XIV 1 2004, pp. 221-238).

[16]I.  Nonaka,  Managing Innovation as an Organization Knowledge Creation Process, ENI-ISVET,  Roma 1992.

[17] M. Tomassini, “La Learning Organization: dalla teoria alla pratica”, Atti del Transnational Management Forum, Torino, 27 novembre 1998, pp.19-32