L’approccio andragogico

di Andrea Tarantino*

Di andragogia si parla all’interno di un complesso di questioni riguardanti l’educazione degli adulti.

L’attenzione che, soprattutto a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, il dibattito pedagogico ha restituito sia alla nozione di formazione (come categoria concettuale multicomprensiva che abbraccia l’educazione e l’istruzione senza alcuna pretesa di gerarchizzazione semantica), sia all’apprendimento degli adulti, è conseguenza dei mutamenti intervenuti sul piano sociale, economico, storico e culturale. Mentre da un lato la formazione è divenuta fenomeno di massa non più circoscritto ad una ristretta élite, dall’altro, abbandonata la vocazione emancipativa che l’educazione degli adulti – sul piano disciplinare – aveva fatto propria,  si è attribuita una specifica attenzione all’apprendimento lifelong (che necessariamente comprende l’apprendimento degli adulti) e tutto questo ha raccolto  l’esigenza di non subordinare le esperienze educative ad istanze di natura economicista che nei contesti dell’apprendimento non formale, spesso  risultano prevalenti.

L’andragogia è definita da M.S.Knowles[1] come l’arte e la scienza  orientate ad aiutare l’adulto ad apprendere e si compone di un “corpus” di conoscenze che riguardano specificatamente la formazione dei soggetti adulti (da andros, uomo), distinguendola dalla pedagogia che ha per oggetto l’educazione del bambino.

L’andragogia muove i suoi primi passi in esplicita opposizione ad un modello pedagogico ereditato dalla modernità che talvolta sembra manifestare pretese di autoreferenzialità, e in palese opposizione al vezzo di trasferire nel contesto dell’insegnamento rivolto agli adulti, i metodi e le tecniche dell’educazione scolastica.

Merito dell’andragogia è stato di riconoscere e considerare l’età adulta non come un punto d’arrivo, ma come un processo che si inscrive nel continuum della crescita del soggetto, dove è necessario tenere conto delle specificità che nell’apprendimento contraddistinguono il medesimo soggetto in rapporto ad analoghe esperienze che egli compie nelle diverse età della vita.

Il concetto di “andragogia” è stato utilizzato per la prima volta nel 1833 da A. Kapp, insegnante tedesco, per supportare l’idea platonica secondo la quale gli adulti continuano ad imparare anche in età differenti da quella scolare; egli usa il concetto di andragogia in alcuni articoli nei quali sottolinea le strumentazioni che utilizzava nell’insegnare agli adulti nelle classi serali rispetto alle classi diurne di adolescenti.

Il concetto di andragogia non ha avuto immediato successo[2], tanto che per quasi cento anni, da quando è stato coniato da Kapp, esso non compare nel dibattito pedagogico, fino a quando agli inizi del 1920, E. Rosenstock – uno scienziato sociale tedesco – ha rimarcato che i lavoratori adulti esigono di essere istruiti/formati con modalità diverse rispetto a quelle utilizzate per i bambini. Un richiamo che anche in questo caso non ha goduto di particolare fortuna[3].

Nel 1957 F. Poggeler, altro insegnate tedesco, pubblica il volume dal titolo Introduction into Andragogy: Basic Isues in Adult Education. Un’opera che farà conoscere il termine andragogia in numerosi paesi (tra cui Germania, Austria, Olanda, Iugoslavia e Stati Uniti) decretandone finalmente il successo.

Tuttavia, è con M. S. Knowles nella metà degli anni ’70 del secolo scorso che il concetto andragogia trova diffusione nell’ambito delle scienze della formazione (tra cui la pedagogia), riscuotendo nella comunità scientifica internazionale un significativo consenso.

Knowles utilizza per la prima volta il concetto di andragogia  nel 1968 in un articolo dal titolo “Androgogy, not pedagogy”[4], dove la distinzione esplicita tra pedagogia e andragogia trova giustificazione non soltanto sul piano etimologico, ma nei differenti principi ai quali i due termini si ispirano e nelle pratiche che li caratterizzano.

Affermazioni che l’autore ribadisce anche nel testo Modern Practice of Adult Education: Andragogy Versus Pedagogy[5], dove presenta per esteso il suo modello andragogico in opposizione a quello pedagogico, fino a dieci anni più tardi con l’edizione riveduta e corretta dello medesimo studio, dove il sottotitolo fu cambiato in From Pedagogy to Andragogy [6]. Knowles definisce i due modelli “come insiemi distinti di presupposti riguardanti i discenti e l’apprendimento, di cui è necessario valutare l’applicabilità in ogni situazione”[7].

Nel volume From Pedagogy to Andragogy Knowles illustra alcuni snodi cruciali che caratterizzano e distinguono il processo di apprendimento e insegnamento, pedagogico e andragogico. Snodi che fungono da “spartiacque” tra un apprendimento considerato in termini di prodotto, dove il sapere è considerato un output estraneo agli interessi e alle aspirazioni del discente, e un apprendimento considerato in termini di processo, dove il soggetto assume centralità. Argomenti che l’autore esplicita nel suo modello andragogico sia per dimostrare la fondatezza di tale approccio sul piano epistemologico e delle pratiche, sia per rimarcare le principali differenze rispetto al tradizionale modello pedagogico. L’autore ha sintetizzato le sue tesi condensandole in sei principali assunti[8]:

 

  1. Il bisogno di conoscere. Prima di intraprendere un percorso d’apprendimento, gli adulti hanno bisogno di dare un senso e un significato preciso alle loro azioni e decisioni. Molto più del giovane e dell’adolescente, l’adulto ha bisogno di sapere immediatamente ciò che deve imparare e cogliere contemporaneamente il legame tra i contenuti dell’apprendimento e l’uso che ne potrà fare nel proprio lavoro. A tal proposito, Knowles si accosta al progetto di “risveglio di consapevolezza” elaborato da Paulo Freire nella sua ‘pedagogia degli oppressi’.
  2. Il concetto di sé. Nel bambino il concetto di sé si basa sulla dipendenza da altri (genitori, insegnanti ecc.), mentre nell’adulto è percepito come dimensione di indipendenza e di autonomia. Quando l’adulto si trova in una situazione dove non gli è consentito autogovernarsi, sperimenta una tensione tra quella situazione e il proprio concetto di sé, cosicché la sua reazione tende a trasformarsi in una resistenza ad apprendere.
  3. Il ruolo dell’esperienza. Nella formazione dell’adulto l’esperienza gioca un ruolo essenziale, perché è la principale risorsa per ogni apprendimento ancorato a problemi e situazioni percepite come significative, sul principio che il nuovo apprendimento deve trovare assimilazione con le precedenti esperienze. Knowles sostiene che in termini di background, stili di apprendimento, motivazione, bisogni, interessi e obiettivi qualunque gruppo di adulti è più eterogeneo di quanto non lo sia un gruppo di giovani. Questo significa che in molti casi le principali risorse di apprendimento risiedono nei discenti stessi piuttosto che nel formatore. Da qui l’enfasi sulle tecniche esperienziali, perché più capaci di far apprendere valorizzando l’esperienza dei discenti.
  4. La disponibilità ad apprendere. Gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che hanno bisogno di sapere e di saper fare per far fronte a situazioni di vita. Per aumentare la disponibilità ad apprendere dei discenti, il formatore deve prospettare i collegamenti tra la propria disciplina e le dimensioni della competenza, in modo da sincronizzare le esperienze di apprendimento con i compiti didattici.
  5. L’orientamento verso l’apprendimento. Gli adulti sono motivati a investire energie nella misura in cui ritengono che questo potrà aiutarli ad assolvere più agevolmente i compiti, oppure ad affrontare meglio i problemi con i quali devono confrontarsi nella loro vita Per questa ragione le esperienze di apprendimento devono essere organizzate intorno a compiti e a problemi vicini alla quotidianità.
  6. La motivazione. È un “luogo comune” ritenere che gli adulti siano motivati ad apprendere esclusivamente da fattori estrinseci (incentivi, premi, benefit ecc.) cioè da scopi finalistici. I fattori motivazionali più potenti sono invece intrinseci e riguardano principalmente l’autostima, la qualità della vita, la soddisfazione personale, il senso del dovere ecc.

 

Il modello andragogico è stato criticato da diversi studiosi[9] per avere preso le distanze dai principi pedagogici in modo eccessivo e ingiustificato. Sebbene il riferimento diretto al fanciullo sia presente già nell’etimo del termine “pedagogia”, il fine di questa scienza resta pur sempre l’uomo nella sua integralità e integrazione; la persona nel corso dell’esistenza umana, caratterizzata dalle tappe successive e ininterrotte della sua crescita (o se si preferisce, del suo sviluppo) dove il soggetto e l’ambiente sono parti interagenti di un unicum[10].

Resta il fatto che gli studi di Knowles hanno avuto il merito di avere evidenziato aspetti di rilievo, che nella realtà sono spesso sottovalutati.

La moderna pedagogia ha superato da tempo la visione dualistica tra pedagogia e andragogia, riconoscendo che agli adulti non si può insegnare in modo del tutto analogo a come si insegna a bambini e adolescenti. In aggiunta a ciò, formare gli adulti richiede la presenza di professionisti competenti sul piano progettuale, metodologico e valutativo. In questo modo l’andragogia ha avuto il merito di avere risvegliato l’attenzione della comunità pedagogica su questioni trascurate che viceversa meritano rilievo perché contribuiscono in modo significativo a determinare il successo formativo[11].

Come N. Paparella ha ricordato, “quello che doveva farsi era un recupero più attento della nozione di esperienza educativa, che va sempre contestualizzata in riferimento al soggetto, inteso in tutta la sua concretezza, nei suoi riferimenti culturali, nelle sue dinamiche relazionali, nei suoi agganci sociali, nella specificità dei suoi progetti e delle sue aspirazioni”[12].

Le età della vita di un soggetto sono diverse (bambino, adolescente, adulto ecc.), ma il processo che conduce alla “conquista” di se stessi è unitario e riguarda il soggetto nella sua interezza e inscindibilità. Su queste premesse, tutte le conquiste sul piano teorico dovrebbero lavorare al servizio di questo processo, dove l’apprendimento, termina con la fine della vita.

 


BIBLIOGRAFIA

Bochicchio F.,  Dalla pedagogia all’andragogia…e ritorno, in S. Colazzo (a cura di), Il sapere pedagogico. Scritti in onore di Nicola Paparella. Armando, Roma, 2010.
Brokfield S., Teaching for Critical Thinking, Jossey-Bass, San Francisco (CA), 2011.
Knowles M.,  Andragogy, not pedagogy, “Adult leadership”, 16(10) , 1968.
Knowles M., The modern practice of adult education, New York Association Press, New York, 1970.
Knowles M., The Modern Practice of Adult Education: From Pedagogy to Andragogy. Revised and Updated, Eaglewood Cliffs (NJ), Cambridge 1980.
Knowles M., La formazione egli adulti come autobiografia: il percorso di un educatore tra esperienza e idee.  Raffaello Cortina, Milano, 1996.
Knowles  M., Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, Franco Angeli, Milano, 1997.
Paparella N., Prospettive dell’epistemologia genetica, in C. Cellerier, S. Papert, G. Voyat (ed. it., a cura di N. Paparella), Cibernetica ed epistemologia, Messaica, Lecce, 1978.
Paparella N., La formazione degli adulti, in Studi e ricerche, Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche, Università del Salento, Lecce, 2008.
Savicevic D.M., Adult Education: From Practice to Theory Building, Lang, New York, 1999.

 

* Andrea Tarantino, è dottore di ricerca in Pedagogia dello sviluppo. Svolge attività di ricerca in materia di apprendimento esperienziale, outdoor training, ed educazione degli adulti. Socio fondatore di Espèro Servizi Formativi per il Management, l’Apprendimento Esperienziale, l’Apprendimento per metafore, l’Outdoor training.


[1]
M.  Knowles,  Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, tr. it., Franco Angeli, Milano, 1993.

[2] Ibidem  pp. 70-73.

[3] Cfr. D.M. Savicevic, Adult Education: From Practice to Theory Building, Lang, New York, 1999.

[4] Knowles M.,  Andragogy, not pedagogy, “Adult leadership”, 16(10), 1968, pp. 350-352.

[5] Cfr. M.  Knowles, The modern practice of adult education, New York Association Press, New York, 1970.

[6] Cfr. M. Knowles.  The Modern Practice of Adult Education: From Pedagogy to Andragogy/ Revised and Updated. Cambridge 1980.

[7] M. Knowles, La formazione egli adulti come autobiografia:il percorso di un educatore tra esperienza e idee.  Raffaello Cortina, Milano 1996, pp. 72-73.

[8]  Cfr. M.S. Knowles, Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, tr. it., Franco Angeli, Milano 1997, pp. 77-82.

[9] Cfr.  S. Brokfield, Teaching for Critical Thinking, San Francisco (CA), 2011.

[10] Cfr. N. Paparella, Prospettive dell’epistemologia genetica, in C. Cellerier, S. Papert, G. Voyat (ed. it., a cura di N. Paparella), Cibernetica ed epistemologia, Messaica, Lecce, 1978.

[11] Cfr. F. Bochicchio, Dalla pedagogia all’andragogia…e ritorno, in S. Colazzo (a cura di), Il sapere pedagogico. Scritti in onore di Nicola Paparella. Armando, Roma, 2010.

[12] N. Paparella, La formazione degli adulti, in Studi e ricerche, Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche, Università del Salento, Lecce, 2008,  p. 18.