La fabbrica comunitaria di Adriano Olivetti

a cura di Manuela Ladogana [1]

Il percorso di lettura che qui si propone è finalizzato a scoprire – e ri-scoprire – il pensiero e l’impegno educativo di Adriano Olivetti (1901-1960), una delle figure più originali e riformiste del panorama italiano del secondo dopoguerra, evidenziandone la visione autenticamente moderna e virtuosa del lavoro, ben oltre il profitto e l’accumulo di capitali da parte dell’impresa.

Ma chi era Adriano Olivetti? Uomo d’impresa illuminato, innanzitutto, ma anche urbanista, editore, scrittore, uomo di cultura.

Figlio di Camillo, ingegnere elettrotecnico che, nel 1908, fondò a Ivrea la prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere, Adriano si laurea in chimica industriale al Politecnico di Torino e, nel 1924, inizia l’apprendistato come operaio nell’azienda di famiglia.

Al ritorno da un viaggio negli Stati Uniti dove studia i metodi produttivi e l’organizzazione aziendale delle fabbriche americane, l’imprenditore piemontese decide di impegnarsi in un processo di internazionalizzazione e modernizzazione della ditta del padre, ripensandone la struttura organizzativa alla luce di un modello di impresa «che persegua in modo integrato elevate performance economiche e sociali, che agisca concretamente per proteggere e sviluppare l’integrità degli stakeholder e dell’ambiente fisico, economico e sociale, che abbia condotte eticamente integre» (Butera, 2009, p. 52).

Dotato di un’intima religiosità, particolarmente sollecitato dalle suggestioni delle letture di Emmanuel Mounier, Jacques Maritain e Simone Weil, Olivetti crea un modello di fabbrica umanistica – le cosiddette “fabbriche di bene” come lui stesso le definì (Olivetti, 1945-1951/2014) – fondata sulla valorizzazione della sua risorsa più preziosa: la persona, presa a cuore nella sua “integrità” (personale, familiare e professionale, intellettuale ed emotiva).

Al di là di ogni mera logica neo-fordista, Olivetti seppe (e volle) intendere il lavoro come «pratica di cura della persona […] con finalità non solo materiali ma anche e soprattutto morali” (Olivetti, 1955/2012, p. 23) e l’impresa come spazio intenzionalmente e sistematicamente organizzato “a misura d’uomo» (Ivi, p. 30) per l’emancipazione di ogni persona. A partire dal basso. In tal senso, muovendosi nella direzione di una vera e propria comunità democratica che, secondo lo stesso imprenditore, sta alla base di una società realmente rinnovata, integrata e partecipata (Olivetti, 1945/2015).

Il sogno emancipativo di Adriano Olivetti – la sua utopia pedagogica – risiede proprio in questo: attraverso «La strada della comunità, il lavoro delle fabbriche, anziché dura fatica, sarà strumento di riscatto; perché il lavoro è tormento dello spirito quando non serve a un nobile scopo» (Olivetti, 1959/2013, p. 49).

Ancora, «Quando le comunità avranno vita in esse i figli dell’uomo troveranno l’elemento essenziale dell’amore della terra natia nello spazio naturale che avranno percorso nella loro infanzia, e troveranno l’elemento concreto di una fratellanza fatta di solidarietà nella comunanza di tradizioni e di vicende» (Olivetti, 2013 p. 701).

Ciò a dire che quello di Olivetti è stato un progetto di modernizzazione aziendale (dal 1946 al 1960) a forte vocazione pedagogica.

Il suo “esperimento” ha saputo trasformare, anche se solo per pochi anni, il lavoro in fabbrica da esperienza alienante e disumana a occasione, intrinsecamente formativa, di crescita individuale e comunitaria; anzi, ancor più, in autentico laboratorio di educazione: notissima la risposta dell’imprenditore in un’intervista:

D: «Perché non addestrare gli operari mentre lavorano, realizzando così notevoli risparmi? »

R: «Gli animali si addestrano. Le persone si educano» (Ferrarotti, 2013, p. 27).

In effetti Olivetti ha saputo cogliere il senso pieno di una educazione permanente, per tutti e per tutta al vita. Nei suoi stabilimenti, egli ha sostenuto, accompagnato e incoraggiato il percorso di formazione, umana e professionale, dei suoi dipendenti e delle loro famiglie, avendo a cuore ogni dimensione esistenziale e ogni fascia d’età.

Le iniziative per l’infanzia hanno occupato un posto rilevante nelle politiche della Olivetti: dagli asili nido (per bambini da 6 mesi a 3 anni), alle scuole materne (per bambini 3-6 anni), fino ai corsi di formazione e aggiornamento per puericultrici e maestre.

Ma non sono mancate iniziative rivolte a tutte le altre età della vita: scuole professionali per educare al lavoro e alla vita rivolte ad adolescenti e giovani; colonie, pre-campeggi e i campeggi organizzati per bambini e ragazzi nel periodo estivo; servizi di accompagnamento ai pensionamenti; consultorio prenatale, ambulatorio pediatrico, consultorio lattanti; ambulatori medici.

Altro tratto distintivo (anch’esso a forte connotazione pedagogica) della visione di impresa di Adriano Olivetti è stata la capacità di coniugare, all’interno dei suoi stabilimenti, formazione professionale e diffusione della cultura – da lui intesa come «luce dell’intelletto e lume dell’intelligenza […] per educare ed elevare l’animo umano» (Olivetti, 2013, p. 30) – così creando un modello di azienda «che, oltre a produrre ricchezza e occupazione, diffonde anche cultura, bellezza e qualità della vita» (Gallino, 2014, p. 7-8).

In tal senso, le fabbriche di Ivrea e Pozzuoli furono progettate e realizzate, dal punto di vista architettonico, come strutture residenziali di pregio: con reparti pieni di luce, giardini e fontane, biblioteche, cineforum, palestre, ecc.

Accanto a figure aziendali in possesso di elevate competenze tecniche, scrittori, poeti, architetti, intellettuali del tempo – da Moravia a Pasolini, da Volponi, a Colombo, da Terzani, a Fortini, a Ottiero Ottieri e a tanti altri – erano coinvolti nelle iniziative culturali e ricreative organizzate nelle fabbriche.

L’intento, come già detto, era quello di coniugare il miglioramento delle condizioni di lavoro nei reparti produttivi e la qualità di vita fuori di essi: si trattava, cioè, di sostenere i dipendenti nella costruzione del proprio «workplace within, ossia quel mondo interno di esperienza, cultura e intelligenza, patrimonio delle persone» (Butera, 2009, p. 52).

L’esperimento olivettiano, a tratti visionario (o utopico?), pur avendo evidentemente incrementato il patrimonio aziendale, si dissolse però con la morte dell’imprenditore nel 1960. E così pure il suo sogno di un modello di impresa compiutamente integrata – e integrale – entro cui realizzare una piena umanizzazione del lavoro.

 

 



BIBLIOGRAFIA

 

Butera F. (2009), L’impresa integrale come modello per le imprese italiane: le lezioni di Olivetti e Toyota, in Lamborghini B. (a cura di), L’impresa Web. Social networks e Business Collaboration per il rilancio dello sviluppo, Franco Angeli, Milano, pp. 50-64.
Ferrarotti F. (2013), La concreta utopia di Adriano Olivetti, EDB, Bologna.
Gallino L. (2014), L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti, Edizioni di Comunità, Torino.
Olivetti A. (1945), L’ordine politico delle Comunità. Le garanzie di libertà in uno Stato socialista, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2014.
Olivetti A. (1945-1951), Le fabbriche di bene, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2014.
Olivetti A. (1952), Democrazia senza partiti, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2013.
Olivetti A. (1955), Ai Lavoratori. Discorsi agli operai di Pozzuoli e Ivrea, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2012.
Olivetti A. (1959), Il cammino della Comunità, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea, 2013.
Olivetti A. (2013), Il mondo che nasce, a cura di Saibene A., Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea.

[1] Manuela Ladogana è Dottore di Ricerca in Pedagogia, presso il Dipartimento di Studi umanistici, Lettere, Beni culturali, Scienze della Formazione dell’Università di Foggia.