a cura di Francesco Paolo Romeo[1]
Il tema delle ricadute abbraccia questioni che riguardano la formazione nella società della conoscenza. Un argomento che da tempo vede impegnata la comunità pedagogica nell’interrogarsi intorno alla seguente domanda: che cosa deve fare la formazione (e l’educazione) per aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo? Una domanda che intreccia questioni cruciali per la società, per le comunità educanti e per le organizzazioni.
Alla base di tale interesse vi è un’idea di formazione rinnovata, strumento di crescita e di cambiamento individuale e sociale, ancorato a una visione positiva del lavoro che, deprivato delle componenti ideologiche del passato, assume connotazioni del tutto nuove. Tra queste, lavoro inteso come esperienza umana che mobilita le risorse/potenzialità integrali del soggetto, capace di co-determinare modificazioni positive in una società globalizzata che pone la conoscenza al centro del suo sviluppo e della sua stessa sopravvivenza. Alla nuova idea del lavoro corrisponde anche una nuova cultura, che fa proprie le visioni sia dell’attuale realtà globale connessa in rete, sia dei knowledge workers chiamati a realizzare un progetto ambizioso. Temi che con l’affermazione di nuove categorie interpretative connotate da più ampio respiro e complessità che indagano sul senso del lavoro per l’uomo nella molteplicità della direzioni, nonché sulle implicazioni che tale attribuzione di significato ha, e deve avere, testimoniano una definitiva rottura rispetto alle tradizionali visioni ereditate dalla modernità.
L’attenzione verso le ricadute della formazione nel mondo del lavoro trova inoltre giustificazione dall’avere assunto quelli che Alessandrini ha definito i principi fondativi di una pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, aperti nel riconoscere il primato della funzione educativo-formativa del lavoro, l’intreccio tra formazione, lavoro e apprendimento, l’attribuzione di senso all’agire professionale come processo irrinunciabile per la persona, infine l’apprendimento lifelong e lifewide tipico dell’educazione nell’attuale contesto sociale, dove l’impegno di ogni essere umano si esprime in un arco temporale e cronologico che coincide con il percorso di vita (Alberici, 2001).
In sintesi, la moderna pedagogia (e la didattica come scienza del sapere professionale) devono concretamente farsi carico dei nuovi bisogni di una società globale, ampliando la visione dei traguardi educativi all’acquisizione di conoscenze e abilità collegate alla crescita integrale della persona che, per definizione, non è riducibile a una prestazione competente.
Il concetto di “ricaduta” sembra gravato da due principali limiti.
Il primo limite è di ordine concettuale, rinvenibile nel suo stesso significato, conseguenza dell’assimilare sino a confondere il concetto con i risultati della formazione. Marcare le differenze tra le ricadute e i risultati della formazione è utile per riconoscere che la trasposizione tra i due concetti non è affatto automatica.
Pertanto, è necessario valicare alcune convinzioni ingenue. In primo luogo, che una buona azione didattica produce “automaticamente” un buon risultato sul piano cognitivo. Un dato palesemente sconfessato dai fatti, perché non tiene conto del coinvolgimento attivo e della corresponsabilità del discente rispetto ai risultati dell’apprendere (Knowles, 1997). In secondo luogo, che buoni risultati di apprendimento producono “automaticamente” buone ricadute. Un principio affatto dimostrato, perché non tiene conto sia dei condizionamenti dell’ambiente nel consentire ai soggetti nella pratica quotidiana di mettere concretamente a frutto quanto appreso, sia della volontà e della capacità di questi nel voler trasformare i risultati in ricadute concrete.
Del resto, anche la qualità della formazione può risolversi in un’aspettativa ingenua quando si limita ai risultati e non tiene conto delle ricadute. Un traguardo che va progettato nella prospettiva di determinare effetti di portata ben più ampia rispetto agli obiettivi didattici associati all’apprendere in via diretta e spesso anche esclusiva.
Per marcare le differenze tra i risultati e le ricadute è opportuno ricordare che nella formazione aziendale si sono confrontati – e tuttora si confrontano – tre diversi modelli di valutazione (Lichtner, 1999).
Il primo modello, formalizzato da Kirkpatrtrick (1959), ha sostenuto che i risultati della formazione sono definibili in termini di variazione dei processi, del modo di operare e degli assetti dell’organizzazione di appartenenza dei formati, oppure di variazione del livello di performance dell’organizzazione medesima. Questo modello, di matrice sociale, considera la formazione come un evento finalizzato all’aumento/miglioramento delle performance dell’organizzazione piuttosto che dei soggetti (Bisio, 2002).
Il secondo modello, proposto da Hamblin (1974), si è focalizzato sul rapporto tra obiettivi e risultati nonché sul recupero del livello degli apprendimenti come area di valutazione dei risultati della formazione. Un recupero che si ispira ad un’idea socio-pedagogica della formazione aziendale la cui finalità consiste principalmente nell’accrescere le abilità di un soggetto nel realizzare un determinato compito (Bochicchio, 2006).
La relazione tra valutazione e controllo è la medesima che passa tra azione ed obiettivo, tanto che Hamblin ha precisato che il principale scopo della valutazione è il controllo. Un programma di formazione ben controllato è quello nel quale incertezze e insuccessi sono scoperti e corretti con positive informazioni di ritorno (feedback lops).
Tale modello ha considerato differenti tipi di valutazione dei risultati, individuando tra essi una relazione lineare di causa-effetto (reazioni, apprendimento, comportamento, cambiamento organizzativo). Così facendo l’autore ha associato i risultati della formazione – che riguardano la dimensione individuale (le reazioni e il profitto) – con le ricadute che invece riguardano la dimensione sociale (che sono invece le modificazioni intervenute sia nei comportamenti individuali sul lavoro sia a livello organizzativo). Una distinzione affatto sottile, che non mette in discussione la presenza di una relazione diretta tra il cambiamento individuale (come risultato diretto dell’apprendimento) ed altre forme di cambiamento, ma che conferma la presenza di differenze rilevanti, sul piano concettuale, tra i risultati e le ricadute.
Il terzo modello, di matrice economicista (Isfol, 1990), guarda alla formazione soprattutto in termini di investimento finanziario realizzato da chi se ne assume in prima persona i costi, ovvero dal committente. Secondo questo modello la valutazione si presenta per lo più come un’analisi costi/benefici per verificare il ritorno economico dell’apprendimento in termini di redditività per l’azienda.
Nonostante le differenze, i suddetti modelli condividono il principio che il focus della valutazione della formazione riguarda i risultati conseguiti, variamente intesi, osservabili in modo obiettivo.
È così dimostrato che le ricadute non vanno confuse con i risultati della formazione, sia perché richiedono un tempo non breve per concretizzarsi in effetti osservabili (e quindi non sono neppure misurabili con gli strumenti tipici della valutazione), sia perché non riguardano soltanto l’apprendimento ma anche altri aspetti che, sebbene indissolubilmente connessi con i primi, sono difficilmente isolabili da questi.
Il secondo limite è di metodo, e si fonda sulla convinzione errata che, analogamente ad altri oggetti della valutazione (l’apprendimento, il gradimento ecc.), è possibile valutare le ricadute della formazione con i medesimi approcci e strumenti della valutazione dei risultati.
Con un orientamento più distante da visioni deterministiche, se da un lato non è sufficiente circoscrivere al soggetto che apprende la portata del cambiamento “innescato” dalla formazione, come avviene di norma – perché l’innesco è semplicemente l’avvio del processo e non la sua conclusione – dall’altro è necessario ampliare il campo di osservazione all’impatto che tali modificazioni producono sulla realtà con cui il soggetto interagisce.
Infine, è necessario domandarsi quale orientamento la formazione deve privilegiare nella prospettiva di generare “buone ricadute”.
L’ipotesi prospettata da alcuni autori è di fare riferimento all’empowerment: una strategia e un’idea del “pensare” e “fare” formazione nell’attuale società che nella riflessione pedagogica ha guadagnato diffuso consenso.
Il riferimento all’empowerment (Piccardo, 1995) richiama concetti come la fiducia nelle risorse e nelle capacità dell’individuo, nella responsabilità e nell’auto-direzione dell’apprendere, nella capacità e possibilità del soggetto di modificare la realtà sul piano individuale, organizzativo e sociale.
BIBLIOGRAFIA
Alberici, A., La dimensione lifelong learning nella teoria pedagogica, Franco Angeli, Milano, 2001.
Bisio C. (a cura di), Valutare in formazione. Azioni, significati, valori, Franco Angeli, Milano, 2002.
Bochicchio F., La formazione nel post moderno: la Terza formazione, in L. Martiniello (a cura di), Comunicazione mediale e processi formativi, Guida, Napoli, 2011, pp. 111-132.
Bochicchio F., L’evoluzione della formazione nelle organizzazioni: un quadro interpretativo, in Id. (a cura di), Gli esperti della formazione. Profili interpretativi di una professione emergente, Amaltea, Melpignano (Le), 2006, pp. 25-82.
Bochicchio F., Le ricadute della formazione: logiche interpretative e orientamenti di metodo, in Id.. (a cura di), Le ricadute della formazione. Significati e prospettive, Libellula, Tricase (Le), 2012, pp. 57-84.
Hamblin A.C., Evaluation and control of training, McGraw-Hill, London, 1974.
Isfol, Valutare l’investimento formazione, Franco Angeli, Milano, 1990.
Kirkpatrick D.L., Techniques for evaluating training programs, “Journal of American Society of Training Directors”, 11, 1959, pp. 10-19.
Knowles M.S., Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, tr. it., Franco Angeli, Milano, 1997.
Lichtner M., La qualità delle azioni formative, Franco Angeli, Milano, 1999.
Piccardo C., Empowerment, Raffaello Cortina, Milano, 1995.
PER LO STUDIO E PER L’APPROFONDIMENTO
Di Fabio A.M., Psicologia dell’orientamento. Problemi, metodi e strumenti, Giunti, Firenze, 1998.
Koselleck R., Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, tr. it., Marietti, Genova, 1986.
Romeo F.P., La memoria come categoria pedagogica, Libellula, Tricase (Le), 2014.
Vergani A., Investimento nella formazione. Come valutarne l’efficacia, “Notiziario Unione Industriali di Varese”, 5, 1994, pp. 21-32.
[1] Francesco Paolo Romeo è Professore a contratto di Didattica Generale presso l’Università Telematica Pegaso di Napoli. Giudice onorario minorile presso il Tribunale per i Minorenni di Taranto e Dottore di Ricerca in Pedagogia dello Sviluppo.