a cura di Nicola Paparella
Strano destino, quello della cibernetica. Nasce come scienza di intersezione, con un taglio dichiaratamente e manifestamente interdisciplinare e poi, un po’ alla volta, va a smembrarsi in una serie variegata di filoni d’indagine, contigui, certamente, ma distinti e qualche volta distanti, tutti sicuramente interessanti, ma privi di quella forza innovativa che deriva dall’approccio interdisciplinare.
Si può dire che a sessant’anni dalla sua nascita la cibernetica sopravvive nella diaspora, in una condizione non nuova nell’ambito delle scienze, ma sorprendente in un contesto di ricerca che si era affidato ad logica dichiaratamente diversa; e rischia di smarrire perfino il senso stesso della sua principale eredità o di condensarla e di attribuirla a grumi concettuali che restano ai margini dei nuclei essenziali e fondativi di quella che sembrava essere una scienza dai larghi confini.
Un primo utile richiamo all’essenziale ci viene dallo stesso titolo dell’opera prima, quel ponderoso lavoro che viene solitamente indicato come l’avvio di quella nuova scienza che N. Wiener aveva voluto denominare cibernetica. Il titolo precisava: scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nelle macchine e lo stesso Wiener precisava che la ricerca sulla comunicazione era da considerare prioritaria rispetto al tema della regolazione[1] che invece rimane al primo posto nella memoria di quanti si occupano di cibernetica. È vero che in quel suo volume lo stesso Wiener offriva uno studio matematico della regolazione, ma non ci si può dimenticare delle tante – pregevolissime – pagine sulla comunicazione, con le quali egli intervenne a discutere garbatamente la teoria ormai classica di Shannon sino al punto di proporre una nuova definizione di misura dell’informazione e quindi ponendosi al di là di quanto Shannon aveva codificato.
Il fatto che oggi, molti commentatori facciano riferimento alla cibernetica soltanto per l’analisi del concetto di regolazione (e, al più, per lo studio dei dispositivi che la rendono possibile) è perciò riduttivo.
Sono egualmente riduttive le considerazioni che non recuperano convenientemente il rilievo che Wiener aveva dato ai contributi di K. Lewin, sia per la sua Teoria del campo, sia per le sue considerazioni a proposito del concetto di totalità.
Ci sono poi da ricordare la nozione di omeostasi, d’idea fondamentale ed essenziale di estrapolazione, e, entrando nel dettaglio, i diversi tipi di regolazione e tutta una serie di annotazioni che rendono sostanzialmente ingiusta, superficiale e scorretta ogni possibile tentazione di qualificare come cibernetico un eventuale modello tendente all’immobilismo. Senza poi dimenticare l’osservazione che deriva dagli specialisti del Centro ginevrino di Epistemologia Genetica (fondato da J. Piaget) per i quali la valenza principale del modello cibernetico è sostanzialmente di tipo epistemologico[2].
In questa prospettiva il modello cibernetico giova a considerare quella speciale relazione che si stabilisce fra il soggetto e l’oggetto (intese queste parole nella loro valenza formale e quindi in termini di massima generalizzazione).
Il modello consente di rappresentare quella fitta trama di interazioni che caratterizza l’incontro del soggetto con l’oggetto e tutti quei fattori di dinamicità che qualificano quell’incontro ovvero, per dirla in linguaggio piagetiano, gli effetti del complesso gioco di perturbazioni e di compensazioni che caratterizzano il porsi del rapporto Io-Mondo.
Il modello cibernetico pone in evidenza le attività del sistema-uomo e fa notare come sia possibile far emergere lungo lo sviluppo le risorse del soggetto, non tutte disponibili sin dalla nascita. Le strutture superiori sono prodotte dall’attività del soggetto il quale prolunga ed amplifica gli adattamenti elementari senza rimetterli in questione. “La costruzione della conoscenza è concepita, così, come un’assimilazione continua dei nuovi adattamenti ai precedenti, dove il sistema superiore ingloba quello inferiore come caso particolare”[3]. Nella misura in cui la struttura superiore assimila e conserva le strutture precedenti, quali casi particolari, la costruzione operatoria dà luogo ad un accumulo degli adattamenti. Ciò è visibile già a livello della intelligenza senso-motoria nella quale l’azione attuale è coordinata alla precedente in schemi di assimilazione, ampliando così il campo adattivo dei riflessi. Questi schemi sono poi coordinati tra loro in funzione degli scopi intravisti dal soggetto e vengono integrati in strutture sempre più complesse. “Gli schemi, infatti, vengono adattati mediante correzioni successive dal soggetto che elimina le azioni non adatte al suo scopo attuale”[4].
Soprattutto il modello consente di capire quel che accade con l’azione interiorizzata. Nel momento in cui compare l’azione interiorizzata e connessa ad essa, l’invenzione anticipatrice di soluzioni non ancora sperimentate, compare anche la necessità di un controllo interno non potendo più essere affidato questo ruolo alle regolarità dell’ambiente. E questo è decisivo per capire le caratteristiche del modello
Vi sono, infatti, due distinti processi di regolazione: una regolazione interna, che mette in evidenza una sorta di “logica delle azioni compatibili con i collegamenti del sistema”[5] continuamente doppiata da una regolazione dell’ambiente che sortisce l’effetto di impedire che certe combinazioni di azioni, sebbene permesse dai collegamenti interni, non vengano conservate nell’adattamento, in quanto le condizioni esterne le renderebbero sfavorevoli per la sopravvivenza.
Questa duplice regolazione stabilisce, di fatto, molto più che un legame fra soggetto ed oggetto, ché anzi pare essere una sorta di interconnessione a flusso continuo, all’interno del quale e solo al suo interno, si riesce a cogliere il porsi del soggetto come soggetto e dell’oggetto in quanto oggetto. Vengono in mente le parole di J. Piaget: “lo strumento di scambio iniziale non è la percezione, come i razionalisti hanno troppo facilmente concesso all’empirismo, ma l’azione stessa nella sua ben più grande plasticità”[6]. “Un certo equilibrio fra l’assimilazione degli oggetti all’attività del soggetto e l’accomodamento di tale attività agli oggetti costituisce così il punto di partenza di ogni conoscenza e, dall’inizio, si presenta nella forma di una relazione complessa fra il soggetto e gli oggetti, il che, simultaneamente esclude ogni interpretazione puramente empiristica o puramente aprioristica del meccanismo conoscitivo”[7]. Questa straordinaria, continua circolazione delle informazioni fra ambiente ed organismo è la chiave di volta del modello ed è proprio questo aspetto che consente di porre e spiegare una serie di questioni a partire dal problema dell’adattamento delle costruzioni dell’organismo ai vincoli esterni.
Attorno a questo aspetto che reputiamo essenziale e fondativo, vanno poi ad addensarsi gli altri aspetti che sopra abbiamo ricordato: la connotazione del contesto, i suoi dinamismo, la valenza omeostatica, la forza estrapolativa e così via.
A proposito dell’estrapolazione, giova ricordare che Wiener pervenne alla cibernetica mentre lavorava in un gruppo (interdisciplinare) di ricerca impegnato a trovare una utile soluzione al problema del tiro contraereo. Si trattava di capire come si potesse estendere la validità di un concetto o di una grandezza matematica anche al di là dei limiti entro i quali quella grandezza aveva trovato contenuto e definizione.
Nell’agire organizzativo il modello cibernetico può aiutare nella ricognizione dei dinamismi che attraversano il campo e conferiscono identità tanto alle pro-vocazioni del contesto quanto alle risposte nelle quali e per le quali l’organizzazione realizza i propri compiti e persegue le proprie finalità.
[1] Cfr. N. Wiener, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, The Tecnology Press of M.I.T., Cambridge (Mass.) 1947. L’opera fu pubblicata in 2a rist. da Wiley & Sons, New York 1947, e, in 2a ed. (riv. e accresc.) nel 1961. La tr. it., di O. Beghelli (La cibernetica, Bompiani, Milano 1953) è condotta sulla Ia ed. americana, mentre quella di A. Klinz (II Saggiatore, Milano 1968) segue la IIa ed.
[2] Cfr. J. Piaget, Presentazione a in C. Cellerier, S. Papert, G. Voyat, Cibernetica ed epistemologia (1968), ed. it. a cura di N. Paparella, Messapica, Lecce 1978.
[3] Ibid., p. 71.
[4] Ibid., p. 76.
[5] Ibid., p. 78.
[6] J. Piaget, L’epistemologia genetica, tr. it., Laterza, Bari 1971, p. 12.
[7] J. Piaget, Psicologia ed epistemologia, tr. it., Loescher, Torino 1971, p. 123.