Bene pubblico e bene comune

a cura di Maria Grazia Simone


Un tempo le espressioni bene pubblico e bene comune appartenevano al lessico corrente delle negoziazioni economiche. Poi, gradualmente, con l’affermarsi della logica del profitto e con l’affacciarsi di una nuova categoria, quella di bene totale, scomparvero dalle discussioni di economia[1], transitando nell’uso quotidiano, non senza qualche incertezza semantica. Tant’è che, a metà del secolo passato, J. Maritain le ripropose, precisandone il significato e affidandolo ad una radice di senso legata all’idea di persona, ovverosia al beneficio che ciascuno dei due “beni” può offrire alla persona[2].

Il bene pubblico è quello che torna primariamente a beneficio del gruppo sociale e quindi, di riflesso, a beneficio di quanti appartengano a quel gruppo; mente il bene comune è quello che raggiunge ciascuno nella sua irripetibile identità, e quindi, di riflesso, anche all’intero gruppo.

In altri termini: il bene pubblico è tale perché non riguarda la sfera del privato e quindi riguarda ciò che è dell’organismo sociale in quanto tale e quindi è di tutti indistintamente; il bene comune, invece, è di ciascuno, dell’uno e dell’altro, considerati non come componenti indistinti dell’aggregato sociale, ma come persone assunte e considerate nella loro distinta e irripetibile unità.

Ciò che distingue e caratterizza le due nozioni deriva sostanzialmente dall’aspetto relazionale implicito alla questione che stiamo esaminando. Assicurare il bene pubblico è responsabilità dell’intero gruppo sociale e, a fronte di un determinato obiettivo (es.: la salute pubblica, la difesa della integrità territoriale della Patria, la salvaguardia della natura, ecc.), ciascuno interviene, si impegna e concorre ad ottenere il risultato sperato, anche quando fosse necessaria una certa misura di sacrificio personale (le tasse da pagare, l’arruolamento obbligatorio e il conseguente pericolo della vita, ecc.): la finalità pubblica prevale, evidentemente, sull’interesse individuale. Nel bene comune, invece, gli obiettivi sono tali da rifluire in egual misura vantaggiosi per ciascuno (l’autonomia di giudizio, la libertà di pensiero, la difesa della integrità della persona, ecc.).

Per definire i due concetti in esame, J. Maritain si affida alle nozioni di individuo e di persona, che distingue e differenzia in base al loro radicamento: l’individuo è un tutt’uno con la materia, la persona con lo spirito. “L’individualità [è] la strettezza dell’ego, sempre minacciata e sempre avida di prendere per sé; […] ma ognuno di noi è anche una persona, e in quanto persona non è sottomesso agli astri, sussiste intiero della sussistenza stessa dell’anima spirituale, e questa è in lui un principio di unità creatrice, d’indipendenza e di libertà”[3].

Riemerge, con J. Maritain, la tradizione tomista e, con essa, la centralità della persona nella quale confluisce tanto l’individualità quanto il suo trascendimento fondato sullo spirito. Nell’uomo infatti “è lo stesso essere intero che in un senso è individuo e nell’altro senso è persona. Io sono tutto individuo in ragione di ciò che mi viene dalla materia e tutto persona in ragione di ciò che mi viene dallo spirito”[4].

Materia e spirito, individuo e persona vengono così chiamati a riconoscersi reciprocamente e a compenetrarsi in un tutto integrato: l’uomo, appunto, secondo la classica tradizione aristotelico-tomista che con J. Maritain torna a dispiegare una speciale attenzione nei confronti della vita dei gruppi sociali e della loro vocazione verso il bene comune.

Erano in molti, negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, a cercare un fondamento più solido per la società e per l’economia, per produrre regole di convivenza ben più solide della sola prospettiva dello scambio e della negoziazione fine a se stessa. Intelligenze come quelle di G. La Pira, L. Sturzo, A. De Gasperi[5], R. Schumann, in sintonia con il quadro tracciato da J. Maritain, concorsero a conferire solide prospettive concettuali all’idea di democrazia, all’impianto di una moderna economia politica, ed anche ad una visione delle organizzazioni meno esposta alla illusione di una libertà assoluta tanto quanto alle rigidità di antichi e nuovi totalitarismi[6].

Se il bene pubblico riguarda “il buon andamento dell’alveare”, il bene comune è quello “ricevuto e comunicato presso le api”[7]: è prodotto dal gruppo sociale per andare a vantaggio di ciascuno dei componenti del gruppo stesso, delle persone umane che danno vita alla comunità. “Il bene comune della città […] è la buona vita umana della moltitudine, di una moltitudine di persone: è la loro comunione nel vivere bene; è dunque comune al tutto e alle parti, sulle quali si riversa e che devono trarre beneficio da lui […] il bene comune della città implica ed esige il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone […] e comporta esso stesso come valore principale la più alta accessione possibile (vale a dire compatibile con il bene del tutto) delle persone alla loro vita di persona e alla loro libertà di sviluppo”[8].

Il bene comune è dunque lo strumento mediante il quale il potenziale umano viene portato a pieno compimento; è il dispositivo essenziale di cui si serve una società, per garantire libertà, possibilità d’azione, opportunità di sviluppo, ricchezza dello spirito, rettitudine morale, giustizia.

E questo vale tanto per la società nel suo insieme quanto per i gruppi sociali, comprese le organizzazioni.

Non si tratta di implementare il già troppo ricco filone di letteratura manageriale che adotta paradigmi, principi e stili comportamentali di origine eterodossa[9] (si pensi alla teoria dei giochi applicata al business o l’arte della guerra e le strategie militari applicati al mercato o anche soltanto alla filosofia di Machiavelli applicata alla gestione manageriale), né ci si vuole spingere nelle zone d’ombra (che pure ci sono) delle moderne organizzazioni[10]. Si vuole più semplicemente considerare come agiscano nella vita di un’azienda o di un organismo sociale, le forme assuntive che in qualche modo rappresentano ed esprimono le finalità e la mission dell’organismo e come queste siano da tenere distinte dalle iniziative finalizzate al bene comune.

C’è oggi la tendenza a privilegiare il destino dell’azienda, le sue finalità (o, in termini ancora più riduttivi, le finalità della sua governance) e ad identificare tutto questo con il bene comune, mentre invece si tratta soltanto del bene pubblico. Distinguere questi due piani, utilizzando il paradigma interpretativo di J. Maritain aiuterebbe a fare chiarezza in alcuni segmenti della dialettica sindacale e forse permetterebbe di affrontare le fasi di crisi con maggiore consapevolezza.

Anche nella vita dell’azienda così come nella vita di qualsivoglia organizzazione il bene pubblico rappresenta il campo d’azione degli individui che lavorano a garanzia dell’insieme, mentre nel bene comune ci si riconosce reciprocamente come persone, se ne è consapevoli e si dovrebbe rivendicare con forza questa modalità d’essere. Può aiutare un esempio che giunge dallo stesso J. Maritain che si serve di una potente rappresentazione metaforica: l’alveare, al cui interno le varie parti (le api) vivono in funzione del tutto (l’alveare, appunto) e lavorano soltanto e unicamente per il bene del tutto, e non delle singole parti[11]. Queste ultime “partecipano al bene del tutto, ma soltanto come parti del tutto”, non percependo il confine tra esse stesse e il tutto, tra il bene pubblico e il loro bene. Traslando il discorso dal mondo animale a quello degli esseri umani, il bene pubblico vede uno stare insieme di individui che non si riconoscono e non rivendicano il loro essere persone, ossia portatrici di unità, unicità e totalità[12], oltre che di diritti, ma che esistono in quanto subordinate al tutto di cui fanno parte e in funzione di esso.

Alla luce dei problemi che caratterizzano la nostra contemporaneità, J. Maritain ci invita in quanto persone, ad osare, a volare alto, a non rimanere “sottomessi agli astri” perché  “non bisogna solamente esistere come le altre cose, bisogna esistere in modo eminente, possedendoci noi stessi, tenendoci noi stessi in mano e disponendo di noi stessi, vale a dire che bisogna esistere di una esistenza spirituale, capace di afferrarsi essa stessa per mezzo dell’intelligenza e della libertà, e di sovresistere in conoscenza e in amore”[13].

Contestualmente, chiama le istituzioni a assicurare il massimo di sviluppo possibile alle persone umane in un dato gruppo sociale procurando “il bene comune della moltitudine in modo che la persona concreta acceda alla più alta misura possibile (vale a dire compatibile con il bene del tutto) di reale indipendenza riguardo alle servitù della natura, indipendenza assicurata a un tempo dalle garanzie economiche del lavoro e della proprietà, dai diritti politici, dalle virtù morali e dalla cultura dello spirito”[14].

Anche le organizzazioni non debbono rimanere inerti ed inermi rispetto a questi temi, né possono rifugiarsi in operazioni sviluppate nell’ombra e forse persino contro le legittime attese delle persone, debbono invece recuperare un efficace protagonismo e promuovere il bene di tutti assumendo, come proprio obiettivo, lo sviluppo del bene comune.

Una sana dialettica fra bene pubblico e bene comune e una costante premura nei confronti del bene comune non appesantiscono le organizzazioni, non ne aumentano i costi, non ne limitano l’efficienza, ma garantiscono la crescita, lo sviluppo, l’innovazione e la qualità della vita di ciascuno dei protagonisti.

 


[1] Cfr. S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città Nuova, Roma 2007.

[2] Cfr. J. Maritain (1947), La persona e il bene comune, tr. it., Morcelliana, Brescia 1948.

[3] Ibidem, p. 23.

[4] Ibidem, p. 26.

[5] Si vedano, in particolare: G. La Pira, La nostra vocazione sociale, Ave, Roma 1944; L. Sturzo, Politique e morale, Bloud & Gay, Saint-Amand 1938; A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, Il Mulino, Bologna 2009 (in particolare, v. 4)

[6] Una efficace e dettagliata ricostruzione di queste vicende, nello specifico contesto della situazione italiana, si può vedere in P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945-1990), Il Mulino, Bologna 1991.

[7] J. Maritain, op. cit., p. 30.

[8] Ibidem, p.31.

[9] Cfr. H.J. Alford and M. J. Naughton, Managing as if faith mattered, University of Notre Dame, North Bend (WA), 2001.

[10] Cfr. M. Perini, L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni, Angeli, Milano 2007.

[11] J. Maritain, op.cit., pp. 30-31, in nota.

[12] Giova qui ricordare che “la persona, in quanto sede di decisioni etiche e quindi anche luogo del valore, attesta e manifesta la sua creaturalità e il suo essere principio. Essa è, sì, una creatura (e quindi limite e termine), ma è anche principio, fondamento, sorgente, incominciamento dei valori che esprime e testimonia. In una parola essa partecipa dei valori dell’essere. Il suo spazio valoriale è anzi essenzialmente uno spazio di partecipazione e dunque invoca e promuove partecipazione” N. Paparella, Sviluppo del bambino e crescita della persona, La Scuola, Brescia 1984, pp. 15, 36, 75 e passim.

[13] J. Maritain, op. cit., p.24.

[14] Ibidem, p. 33.

 


BIBLIOGRAFIA

 

Alford H.J. and Naughton M.J., Managing as if faith mattered, University of Notre Dame, North Bend (WA), 2001.
De Gasperi A., Scritti e discorsi politici, Il Mulino, Bologna 2009.
La Pira G., La nostra vocazione sociale, Ave, Roma 1944.
Maritain J. (1947), La persona e il bene comune, tr. it., Morcelliana, Brescia 1948.
Maritain J., Umanesimo integrale, tr. it. di G. Dore, Borla, Roma 2002.
Maritain J., Oeuvres Complètes, a cura di J.-M. Allion, M. Hany, D. et R. Mougel, M. Nurdin, H.R. Schmitz, Editions Saint Paul-Fribourg, Editions Universitaires, Paris 1986-2008, 17 voll.
Paparella N., Sviluppo del bambino e crescita della persona, La Scuola, Brescia 1984, pp. 15, 36, 75 e passim.
Perini M., L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni, Angeli, Milano 2007.
Scoppola P., La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945-1990), Il Mulino, Bologna 1991.
Sturzo L., Politique e morale, Bloud & Gay, Saint-Amand 1938.
Zamagni S., L’economia del bene comune, Città Nuova, Roma 2007.