Vicarianza

di Viviana Vinci

Il principio di vicarianza, o di sostituzione – o ancora, di rimediazione, usando le parole di Berthoz (2013) – è associato alla figura del “vicario”, di colui che “si mette al posto di”, che svolge quindi funzioni di supporto, sostituzione, esplicitazione di ciò che non è noto o chiaro, che utilizza soluzioni e risorse diverse per risolvere un problema. Secondo il principio di vicarianza, un sistema deficitario o incompleto può essere sostituito e integrato con un elemento del repertorio sensomotorio o con una soluzione creata e adattata al contesto in modo flessibile, grazie a meccanismi di selezione, di attenzione selettiva, di anticipazione, in cui esperienze passate vengono messe in relazione con progetti futuri; se un atto viene eseguito in maniera efficace, esso sarà nuovamente utilizzato quasi per automatizzazione, secondo un principio ergonomico (De Montmollin, 1996) che semplifica il reale, senza ridurlo.

Richiamando Berthoz, il bisogno di semplificazione riguarda tutte le attività umane.

In ogni ambito della vita vi è una costante ricerca di soluzioni, di principi semplificativi che hanno la funzione di ridurre il numero o la complessità dei processi e permettono di elaborare molto rapidamente informazioni e situazioni: spesso, tuttavia, il risultato di tale bisogno di semplificazione ha portato all’ideazione e all’uso di strumenti, metodi e tecnologie ad altissimo grado di complessità, mascherata da modalità semplici di utilizzo.

Come ben evidenzia Berthoz (2011), semplificare la complessità e passare dalla complessità alla semplicità non è semplice.

Egli inaugura un neologismo non assimilabile al concetto di semplicità – intesa come “assenza di complessità” – ma che può essere inteso come una proprietà essenziale degli esseri viventi che sono in grado di trovare una serie di “soluzioni” per semplificare ciò che è complesso. Tale proprietà, detta semplessità, viene definita come complessità decifrabile o semplicità complicata, cioè come un “insieme di soluzioni trovate dagli organismi viventi affinché, nonostante la complessità dei processi naturali, il cervello possa preparare l’atto e anticiparne le conseguenze” (ibidem, p. XI). Affinché l’uomo possa semplificare senza ridurre e snaturare la complessità del reale, è necessario che il cervello tenga  conto dell’esperienza passata in modo da anticipare il futuro e facilitare la comprensione delle intenzioni altrui nei rapporti intersoggettivi: tutto ciò richiede capacità multiple e creative, quali quelle di inibire, selezionare, collegare, immaginare.

Gli organismi viventi, tutti, hanno trovato un insieme di soluzioni semplesse: «il cervello si è sviluppato in modo da poter anticipare le conseguenze di un’azione, proiettando sul mondo le proprie percezioni, le proprie ipotesi e i propri schemi interpretativi. L’originalità degli organismi viventi è precisamente quella di avere trovato soluzioni che risolvono il problema della complessità con meccanismi che non sono semplici, ma semplessi» (ivi).

L’analisi di Berthoz parte dalla constatazione della semplessità della materia vivente e dell’esistenza di schemi identici o simili che gli organismi viventi utilizzano, a livello biologico, per ridurre l’energia, diminuire l’entropia e aumentare la velocità. Gli esseri viventi sono contraddistinti da elementi intrinsecamente semplessi, quali la separazione delle funzioni dei meccanismi molecolari, la modularità e la differenziazione delle funzioni sensomotorie, la rapidità delle reazioni motorie o di atti cognitivi complessi quali la presa di decisione o la scomposizione di problemi in sottoproblemi, l’affidabilità dei meccanismi neuronali del cervello, la flessibilità e l’adattamento al cambiamento, che avviene essenzialmente attraverso modalità di azione vicarianti, in grado di adattarsi al contesto, di compensare mancanze e sopperire insufficienze attraverso la memoria (altro strumento semplesso) di un repertorio vastissimo di soluzioni, di una geometria del movimento che viene interiorizzata grazie a proprietà di generalizzazione, di codifica e programmazione del movimento (cosa che avviene, come ricorda Berthoz, ad esempio scrivendo una parola con un dito, una mano o un piede).

La funzione della semplificazione complessa non è ristretta solo all’ambito del funzionamento biologico degli organismi viventi o ai meccanismi che consentono al cervello di semplificare la coordinazione del movimento, ma attiene al funzionamento più generale dei processi e dei sistemi viventi: la chirurgia robotizzata e la realtà virtuale sono due esempi di dispositivi semplessi che, per mezzo di una deviazione verso variabili composte, semplificano il lavoro, permettono un più efficace controllo di un sistema complesso e facilitano la risoluzione di problemi non lineari.

Sottende la teoria della semplessità l’idea di un cervello emulatore di realtà, «che risolve la complessità del mondo esterno producendo percezioni compatibili con le intenzioni riguardo il futuro, la memoria del passato e le leggi del mondo esterno che ha interiorizzato» (p. 57).

Il bisogno di semplificazione, riguardante tutte le attività umane, è sicuramente dominante nella vita scolastica e nei processi di insegnamento-apprendimento, caratterizzati da altissimi gradi di complessità. Gli insegnanti, in maniera più o meno consapevole, fanno ricorso anche loro ad una serie di soluzioni e processi dalla funzione vicariante necessari per ridurre la complessità della vita d’aula, come, ad esempio, la messa in opera di atti routinari (Vinci, 2011).

Fra i principi della semplessità emergenti nel campo della formazione ricordiamo:

  • “il principio dell’anticipazione probabilistica”, ossia della capacità di anticipare l’azione sulla base dell’esperienza, dell’immaginazione e della simulazione, come avviene nella progettazione scolastica;
  • il ricorso a schemi di azione flessibili e “ridondanti”, ben padroneggiati dall’insegnante, e combinabili in situazione differenti;
  • la capacità degli insegnanti di “inibire e disinibire”, ossia di aprire o chiudere “strade di pensiero”, di distanziarsi dalla realtà per avviare un processo di riflessione;
  • la costruzione di variabili composte che facilitano lo studio e la soluzione di situazioni problema;
  • la specializzazione e la selezione delle informazioni da parte dell’insegnante al fine di una presa di decisione non già sulla base di progetti o indicazioni decontestualizzate e fornite dall’esterno, ma gestendo la complessità della classe, muovendosi nell’incertezza con padronanza, attraverso strategie situate (Rossi, Rivoltella, 2012).

A partire dalle suggestioni dei principi di vicarianza e di semplessità berthoziana (Sibilio, 2014), la ricerca didattica in Italia si è recentemente indirizzata verso alcune traiettorie di ricerca – da P.C. Rivoltella, P.G. Rossi e M. Sibilio definite non lineari – che valorizzano percorsi interdisciplinari, capaci di interconnettere neuroscienze ed educazione e di approfondire questioni epistemologiche e metodologiche di grande interesse per tutte le scienze umane: la centralità dell’azione, il superamento del dualismo “corpo-mente” nel ripensare la persona come unità integrata, la relazione fra Io e mondo, fra natura e cultura nello sviluppo della persona, la plasticità neuronale e l’epigenetica nell’analisi del cambiamento e dello sviluppo del rapporto ontogenetico-filogenetico di organismo-ambiente, la relazione intersoggettiva fra soggetto/soggetti e la rilevanza dell’empatia, biologicamente fondata nel contatto con l’altro, la relazione della ricerca con la complessità e il tentativo costante di superare approcci riduzionisti, causalistici e soggettivisti (Rossi, 2016, p. 168).


BIBLIOGRAFIA

Berthoz A. (2003). La décision. Paris: Odile Jacob.
Berthoz A. (2011). La semplessità. Torino: Codice.
Berthoz A. (2013). La vicariance. Le cerveau créateur de mondes. Paris: Odile Jacob.
De Montmollin M. (1996). Savoir travailler. Le point de vue de l’ergonome. In J.M. Barbier (éd.), Savoirs théoriques, savoirs d’action. Paris: PUF.
Rossi P.G. (2016). Traiettorie non lineari di ricerca. In M. Muscarà, S. Ulivieri (Eds.) La ricerca pedagogia in Italia (pp. 167-174). Pisa: ETS.
Rossi P.G., Rivoltella P.C. (Eds.) (2012). L’agire didattico. Manuale per l’insegnante. Brescia: La Scuola.
Sibilio M. (2014). La dimensione semplessa della didattica: traiettorie non lineari della ricerca pedagogica. In M. Corsi (Ed.). La ricerca pedagogica in Italia. Tra innovazione e internazionalizzazione (pp. 191-200). Lecce: Pensa Multimedia.
Sibilio M. (2016). Vicarianza e didattica. Corpo, cognizione, insegnamento. Brescia: Editrice Morcelliana.
Vinci V. (2011). Le routine dell’insegnamento scientifico. Una proposta di ricerca-formazione. Milano: FrancoAngeli.
Vinci V. (2016). Nuove traiettorie di ricerca didattica, atti routinari di insegnamento e dispositivi vicarianti. In: SIBILIO M. Vicarianza e didattica. Corpo, cognizione, insegnamento (pp. 151-161). Brescia: Editrice Morcelliana.