Momenti e movimenti relazionali

a cura di Rosita Deluigi

 

Parlando di momenti e movimenti relazionali vogliamo porre l’accento sulla promozione e sulla facilitazione di relazioni educative come tempi/spazi di riflessione e azione. Abbiamo utilizzato questa espressione soprattutto in riferimento all’educazione interculturale e intergenerazionale dove, l’incontro autentico con l’altro (spesso percepito diverso e distante) può avvenire all’interno di esperienze e di “fare e pensare” condivisi. Le forme partecipative non sono esenti dalle difficoltà dell’avviare e mantenere forme di alleanza tra i partecipanti, anche a causa della carenza di spazi di espressione e di responsabilità decisionale comuni. La rivoluzione che si può sollecitare dal punto di vista educativo, sociale, politico ed economico è quella fondata sul prefisso “co” che prevede dinamiche di cooperazione nell’interesse di tutti i partecipanti (e non solo).

Gli ambienti sociali hanno bisogno, allora, di momenti – intesi come spazi effettivi ed affettivi di dialogo, di incontro, di discussione, di mediazione dei conflitti – e di movimenti – intesi come relazioni, legami, alleanze, compartecipazioni – in cui le persone possano riscoprire il valore delle interazioni significative, sperimentandosi come autori e attori dei legami e delle reti territoriali e locali.

In tal modo si valorizzerà la prossimità e la volontà/possibilità/capacità di intraprendere percorsi comuni di cittadinanza e di partecipazione. Le risorse personali diventeranno il vero valore aggiunto delle esperienze di sviluppo di comunità, fondandosi sulla promozione e sulla pratica di un prefisso altrettanto importante in educazione: “inter”, volto a facilitare legami orizzontali, di accoglienza e di fiducia, alimentati da una compresenza – di soggettività che si incontrano – che diventa l’essenza di un tessuto sociale resistente, flessibile e aperto.

Come si può intuire, anche in prefissi in educazione sono importanti, in quanto drescrivono gli orizzonti di riflessione che supportano le pratiche e che consentono all’educatore di non smarrire alcuni riferimenti saldi, seppur calato nell’incertezza del quotidiano e nella scoperta continua di nuove dinamiche.

I momenti e i movimenti relazionali sono sempre declinati sulla pluralità degli eventi, dei soggetti, degli scenari che si presentano come già strutturati o sui quali si intende lavorare. Non dimentichiamo, infatti, che l’educatore non “crea dal nulla” occasioni e setting di azione ma deve, innanzitutto, rilevare le reti formali/non formali già esistenti nella realtà in cui si colloca. Ciò significa che è necessario rilevare e capire la complessità delle situazioni, leggerne i tratti distintivi ed essere in grado di cogliere i cambiamenti in atto. Vuol dire anche saper progettare dinamiche significative, pensate, co-costruite con una forte valenza di espressione del proprio sé e della cittadinanza attiva.

Non è possibile pre-figurare le relazioni in modo razionale, senza attraversare la concretezza delle situazioni e senza avvicinarsi all’umanità delle persone: questo significa che l’educatore deve orientare la sua pratica (e chiaramente la sua riflessività) verso il consolidamento di dinamiche che consentano ai soggetti (singoli e plurali) di acquisire una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie competenze, così come del proprio essere e sentirsi parte del territorio di riferimento. Perseguendo tale via, si dà seguito all’idea di promuovere reciprocità e solidarietà, in vista di un empowerment comunitario fondato sulle interazioni e sugli scambi.

Se i legami creati attraverso i momenti e i movimenti relazionali (dell’educatore, dei singoli soggetti, delle famiglie, delle istituzioni, del territorio…) saranno interconnessi, allora si potrà generare una partecipazione sociale in grado di accrescere le chance del “noi aperto e inclusivo”, creando modalità innovative di cittadinanza. L’azione condivisa, infatti deve essere orientata da pratiche che favoriscano il cambiamento anche nelle stesse forme relazionali che si vengono a generare: non possiamo, infatti, costituire gruppi-comunità chiusi e autoreferenziali ma è necessario, piuttosto, lavorare su questioni che interessano i cittadini in modo trasversale e che possono alimentare un “metissage di capitali territoriali”.

Se i momenti (le attività e le proposte) sono maggiormente tracciabili, le esperienze e i movimenti lo sono meno: è su questo che è necessario divenire maggiormente riflessivi per aprire filiere di analisi sui processi e non solo sugli esiti raggiunti. La complementarietà delle due sfaccettature restituisce, almeno in parte, la complessità dell’agire educativo nella sua continua e inarrestabile evoluzione dinamica. Ci vuole consapevolezza da parte dell’educatore e dell’équipe perché dobbiamo ricordare che i momenti e i movimenti relazionali sono progettati e intrapresi nell’evolversi dell’esperienza stessa, in cui, già di per sé, non c’è nulla di statico.

 

 


BIBLIOGRAFIA

 

Converso, I. Hindrichs, Il potere in gioco nell’empowerment. Un processo di emancipazione che coinvolge la sfera individuale, sociale e politica, Animazione Sociale, 6, 2009, pp. 62-69.
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