Activity Theory

a cura di Stefano Bonometti

 

Gli elementi caratteristici dell’Activity Theory sono rintracciabili già negli anni ’20 e ’30 nella scuola storico-culturale sorta con Vygotskij, Leontj’v, Rubinstejn e Lurija. Gli studiosi articolarono le loro riflessioni sullo sviluppo psichico della persona in una prospettiva culturale. Intorno agli anni ’60 sulla base dei contributi di Leontj’ev e Rubinstejn, che sostenevano approcci diversificati all’interno del medesimo orizzonte culturale, è stato possibile definire alcuni punti cardine dell’Activity Theory. Ad oggi, in particolare, rimangono pienamente validi i temi seguenti[1].

a) Sistema delle attività. Il concetto di attività è l’unità di analisi principale per definire e comprendere i contesti entro i quali le persone agiscono e imparano. A riguardo, osservando in modo approfondito e continuo a qualsivoglia istituzione umana, emerge infatti come questa sia un sistema di attività costruito collettivamente, in nessun modo riconducibile ad una serie di azioni individuali separate e discrete. Solamente all’interno dei contesti reali di attività è possibile comprendere i processi di sviluppo delle persone e l’importanza del ruolo della cultura. All’interno dei sistemi di attività si distinguono, inoltre, gli obiettivi che perseguono le organizzazioni e la motivazione personale di coloro che partecipano alle attività. Questi elementi costituiscono fra loro un rapporto di interdipendenza che regola l’andamento del sistema.

b) Sviluppo storico. Vi è una stretta connessione fra funzioni intellettuali e processi storici, ciò è dimostrato dal fatto che le nuove generazione acquisiscono dalla precedente un patrimonio culturale che influisce sui processi di maturazione. Le generazioni successive tramite processi trasformativi e generativi contribuiscono ad incrementare tale patrimonio culturale. La prospettiva storica rientra nell’Activity Theory anche come un metodo di ricerca che recupera i modelli etnografici per tratteggiare la storia e lo sviluppo di una determinata attività o di una specifica pratica.

c) Mediazione culturale. La cultura è costituita da artefatti sia simbolici sia materiali che mediano l’interazione delle persone con il mondo. Il rapporto con il mondo si compone per una duplice realtà, naturale e culturale, «ogni pratica a cui veniamo introdotti e a cui partecipiamo contiene elementi e strumenti che mediano culturalmente la nostra relazione con il mondo […] tali strumenti di mediazione sono il linguaggio (scritto e parlato), i sistemi rotazionali (matematici, logici, musicali, ecc.), i linguaggi specialistici, le discipline (con i loro concetti e linguaggi), gli artefatti tecnologici e materiali»[2]. Questo processo di mediazione è stato elaborato da Leont’ev, ponendo in relazione quattro criteri: “soggetto”, “strumenti”, “oggetto” e “prodotto” (vedi Tav. n. 1) .

 

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Tav. n.  1 – Il modello triadico.

 

Il “prodotto” è il risultato dell’interazione, mediata dagli “strumenti”, tra un “soggetto” (gruppo, comunità, network) e un “oggetto” (spazio problematico). In altre parole, gli individui ponendosi di fronte ad un oggetto/problema utilizzano, trasformano ed evolvono, gli strumenti culturali che hanno a disposizione per realizzare un “prodotto” atteso. La visione d’insieme e dinamica del modello rappresenta il “sistema di attività” che innerva qualsiasi situazione umana. L’attività è definita come unità di analisi per eccellenza e si manifesta tramite azioni orientate allo scopo. Queste ultime sono attivate dal soggetto utilizzando strumenti culturali che mediano il processo per raggiungere lo scopo finale. Ogni azione avviene all’interno di un contesto sociale e culturale, costituito da strumenti e artefatti, che la influenzano e allo stesso tempo, è da essa, condizionato e trasformato. L’Activity Theory intende puntualizzare sullo stretto legame fra le azioni sociali e il sistema culturale, enfatizzandone il legame indissolubile.

Il modello triadico di Leont’ev viene proposto come riferimento rilevante all’interno degli studi sui processi di apprendimento dato il fatto che «l’acquisizione delle conoscenze è un aspetto centrale in molti sistemi di attività; le conoscenze che un individuo acquisisce in alcuni settori sono strettamente legate alla specifica natura delle attività in cui l’individuo è coinvolto […]. Gli scopi e le condizioni delle attività sono essenziali per spiegare le differenze nei modi in cui gli individui costruiscono le conoscenze in diversi domini di competenza; […] tutti i sistemi di conoscenza sono formati sulla base delle pratiche sociali condivise da particolari gruppi sociali»[3].

Il modello triadico di Leont’ev è stato successivamente ampliato da Engeström, esplicitando la natura sociale e collaborativa delle attività al fine di applicare tale modello per lo studio delle organizzazioni e lo sviluppo dell’apprendimento e della conoscenza all’interno di esse[4]. Per l’autore, la Teoria delle Attività storico culturali (Cultural-historical Activity Theory) nella sua versione attuale permette di rivestire un quadro concettuale che consente di rispondere alle dicotomie emergenti nell’analisi delle organizzazioni, per esempio: micro e macro livello, dimensione qualitativa e quantitativa, osservazione e intervento[5].

L’Activity Theory «è oggi un approccio di ricerca multidisciplinare globale sempre più orientato verso lo studio del lavoro e delle tecnologie»[6] che permette di analizzare e ridefinire i processi organizzativi e progettare interventi di sviluppo organizzativo.

Le riflessioni di Engeström concernenti l’Activity Theory, hanno come punto di partenza il modello relativo al “processo di mediazione nella produzione di conoscenza” elaborato da Leont’ev. L’evoluzione di tale modello, attraverso nuovi elementi esplicativi, favorisce la declinazione sociale e apprenditiva nell’ambito organizzativo del lavoro.

In altre parole, a partire dall’esperienza sviluppata nella prospettiva della psicologia culturale, relativa ai processi di apprendimento sociale e culturale, viene elaborato un modello pedagogico per studiare e supportare i processi di apprendimento nell’ambito dei contesti di lavoro. Tale modello presenta l’inserimento di tre punti di osservazione ulteriori rispetto ai precedenti, ovvero le regole, la comunità e la divisione del lavoro (vedi Tav. n. 2)[7].

 

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Tav. n. 2 – Il sistema di attività

 

Nel presentare questo modello, Engeström avvalora il concetto di zona di sviluppo prossimale di Vygotskij, in base al quale il processo di apprendimento e di sviluppo psichico della persona è articolato, ponendo l’accento sulla relazione educativa e didattica che interviene in supporto al processo stesso, denominata scaffolding. In particolare, l’Autore mette in luce l’importanza dell’influenza della comunità o delle comunità di appartenenza, definito anche network, entro la quale, la persona svolge la propria attività, ovvero il sistema di relazioni e di ruoli che strutturano socialmente le pratiche professionali. La comunità assume un ruolo centrale per sostenere e caratterizzare lo svolgimento dello sviluppo e l’incremento delle conoscenze. Il processo di mediazione per la produzione dei risultati attesi che intercorre fra soggetto e oggetto, ovvero tra le persone implicate e il compito/problema su cui intervenire, si avvale anche di regole, intese come norme e convenzioni esplicite, ma anche implicite, che guidano le azioni e le interazioni all’interno del sistema di attività. Un insieme di criteri e regole che normano l’agire stesso all’interno della comunità e determinano le modalità di scambio e di comunicazione. Infine, un peso rilevante è data dalla divisione del lavoro interna all’organizzazione, basata su una negoziazione continua di competenze, di compiti e di responsabilità sia in termini orizzontali ovvero di work setting in cui sono coinvolti produttori, utenti/clienti e gli stessi prodotti/servizi offerti, sia in termini verticali basati sullo status e il sistema di potere implicito ed esplicito.

Un esempio di applicazione del modello ad una situazione concreta in ambito dell’engineering design è presentato da Engeström e indica che «il progettista (designer) è un membro di una comunità di lavoro, per esempio un’unità di sviluppo prodotto o una unità di progettazione interna ad una associazione di professionisti […]. Nella comunità i membri negoziano continuamente la loro divisione del lavoro, includendo la distribuzione dei riconoscimenti. Il ritmo di lavoro, l’uso delle risorse e i codici di condotta sono anch’essi continuamente costruiti e contestualizzati nella forma di regole esplicite e implicite»[8]. All’interno di questo quadro relazionale e culturale i soggetti sono tesi ad affrontare oggetti di lavoro con l’impiego di strumenti e modelli (definiti anche come artefatti culturali) al fine di raggiungere i risultati attesi. Gli elementi di contesto sopra descritti riconducono agli elementi del modello che compongono il “sistema delle attività umane” presentato in Tav. n. 1 Scheda Approfondimento “Knotworking”. La dinamica sistemica, che scaturisce fra questi elementi nell’affrontare le attività necessarie per raggiungere il risultato finale, attiva un processo di sviluppo dei saperi e dell’apprendimento personale e di gruppo, offrendo l’opportunità al sistema stesso e ad ognuno dei soggetti, di procedere verso zone di sviluppo prossimale, professionali e organizzative.

È evidente che tale processo di sviluppo dell’expertise che connota il sistema di attività è dinamico e in continuo mutamento, risente delle condizioni e delle turbolenze dell’ecosistema entro cui è inserito e, quindi sempre più interconnesso con la realtà globale circostante.

 

Il processo attivato dai sistemi di attività (organizzazioni) parte dalle dinamiche interne e instaura relazione con ulteriori sistemi, con i quali, condivide gli output (risultati). Questo livello amplia i rapporti in gioco, prendendo in considerazione entrambe (o più) sistemi di attività (vedi Tav. n. 3). In questo caso, il modello che emerge è posto come base per un’Activity Theory di terza generazione che permette di configurare «target in movimento, non riducibili ad una chiarezza di obiettivi a breve termine»[9].

Tav. n. 3 - Due sistemi di attività in interazione come modello minimo per l’activity theory di terza generazione
Tav. n. 3 – Due sistemi di attività in interazione come modello minimo per l’activity theory di terza generazione

 

La proposta di Engeström è quella di definire una strategia di intervento formativo, basata sulla logica dell’ Expansive Learning, rivolta ad organizzazioni complesse e che «supporta l’evolversi del cambiamento organizzativo […] attraverso un metodo che i gruppi di lavoro seguono, inizialmente con il supporto di un facilitatore»[10]. Il modello di intervento è rappresentato da una sequenza ciclica di azioni (a spirale) che danno avvio al processo di apprendimento, nel quale l’innovazione e il miglioramento sono frutto di una costruzione graduale di nuove forme di pratiche collaborative e di networks. Questa sequenza di azioni che secondo Engeström promuove il ciclo espansivo dell’apprendimento.

 

 

 

 

[1] Cfr Y. Engestrom, R. Miettinen, R.L. Punamaki (1999), Perspectives on activity theory, Cambrige Univesiti Press, L.C. Yamagata-Lynch (2010), Activity Systems Analysis Methods: Understanding Complex Learning Environments, Springer; C. Zucchermaglio, Vygotskij in azienda, Roma, Carocci, 2004; F. Roma, Contesti lavorativi e apprendimento: il contributo dell’activity Theory in «Formazione e Cambiamento» web magazine, n. 26, 2004.

[2] C. Zucchermaglio, Vygotskij in azienda, cit., p. 16.

[3] C. Zucchermaglio, Vygotskij in azienda, cit., pp. 19-20.

[4] F. Roma, Contesti lavorativi e apprendimento: il contributo dell’Activity Theory, cit., p. 5.

[5] Cfr. Y. Engeström, H., Kerosuo, From workplace learning to inter-organizational learning and back: the contribution of activity theory, in «Journal of Workplace learning», vol. 19, n. 6, 2007, pp. 336-342.

[6] Y. Engeström, Activity Theory as a framework for analyzing and redesigning work, in «Ergonomics», vol. 43, n.7, 2000, p. 961, pp. 960-974.

[7] Y. Engeström The new generation of expertise: seven theses, in H. Rainbird, A. Fuller, A. Munro, Workplace learning in context, London and New York, Routledge, 2004, pp. 145-165

[8] Y. Engeström, Activity Theory e Expansive Design, paper presentato al “Symposium Foundations of Interaction Design”, Ivrea, 12-13 Novembre 2003, consultabile presso l’indirizzo web: http://www.interaction-ivrea.it/it/news/education/2003-04/symposium/programme/engestrom/index.asp.

[9] Y. Engeström, Expansive Learning at Work: toward an activity theoretical reconceptualization, «Journal of education and work», vol. 14, n. 1, 2001, p. 136, pp. 132-156.

[10] A. Fuller e L. Unwin, Expansive learning environments, in H. Rainbird, A. Fuller, A. Munro, Workplace learning in context, cit., pp. 129-131.