Prospettiva utopica della pedagogia

a cura di Lucia Ariemma

Franco Cambi (1986) identifica nell’utopia, assieme all’ideologia ed alla scienza, uno dei tre vettori che guidano la riflessione pedagogica. Etimologicamente, il termine utopia deriva dal greco ou tópos, che letteralmente significa “non luogo”, “nessun luogo”; con questa accezione esso fu utilizzato per la prima volta da Tommaso Moro nel Cinquecento per descrivere alla società inglese del tempo la sua repubblica ideale. Oggi, il termine indica la « formulazione di un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale e come modello»; un modello ideale, dunque, caratterizzato non dalla volontà di attuarlo (non sarebbe possibile), ma di tendere verso esso. È dunque questa tensione che caratterizza il discorso pedagogico. Seguendo tale vettore, infatti, la pedagogia si pone come scienza, ad un tempo, critica e progettuale: da un lato, infatti, guarda al presente facendone emergere criticità e contraddizioni; dall’altro, invece, progetta percorsi di trasformazione e di cambiamento, guardando al tempo futuro. Dunque, la riflessione pedagogica, nel seguire la sua tensione utopica, manifesta, da un lato, una sua pars destruens, avviando una minuta e puntuale revisione ed interpretazione critica della realtà; dall’altra, poi, rivela la sua pars construens, in quanto si impegna in una continua progettualità, una progettualità che guarda al futuro, il futuro migliore possibile per l’uomo migliore possibile.

Si tratta di un percorso che – è bene ribadirlo – non può non procedere in parallelo con quello educativo, legato ai tempi e ai modi dell’educazione e della formazione, alle metodologie, agli obiettivi e –soprattutto- alle finalità da conseguire (o meglio, verso le quali tendere). Anzi, possiamo affermare, con Giovanni Genovesi e Tina Tomasi, che «non c’è utopia, nel senso di racconto di una società felice che ha trovato la sua attuazione perfetta nel Paese che non c’è (U-topos, appunto), che non tenga conto, esplicitamente o meno, dell’aspetto educativo, ossia del problema della formazione dell’uomo» (Genovesi, Tomasi, 1985, p. 9). Naturalmente, chi scrive di utopie è ben consapevole che un cambiamento così radicale ed altrettanto repentino della società del suo tempo, quale quello che egli auspica, non è mai realizzabile; pur tuttavia, l’utopista (così come il pedagogista che lavora seguendo il vettore utopia) continua ad adoperarsi nella proposizione di un modello per una “nuova” società (ovvero, un paradigma educativo) radicalmente differente rispetto all’esistente. Ciò marca la differenza, almeno in linea teorica, tra il politico ed il riformatore, da una parte, e l’utopista, dall’altra: il primo lavora (o forse si può dire: dovrebbe lavorare) per un cambiamento concreto, attuabile, realizzabile, mentre il secondo è ben consapevole dell’impossibilità che il paradigma da lui delineato non può concretizzarsi, ma, nonostante tutto, prosegue nel suo impegno, convinto del fatto che ne valga la pena.

In altre parole, la costante tensione verso, la persistente ricerca di una realtà migliore, prevede uno sforzo ed un’attenzione per l’educazione, intesa, quest’ultima, come strumento necessario di guida per tutti e per ciascuno per una proficua collaborazione per favorirne la costruzione, rende sempre più palese il rapporto tra la progettazione educativa nel territorio di utopia, da una parte, la teorizzazione pedagogica, dall’altra, e l’attuazione prassica di tali teorie nei contesti istituzionalmente formativi, dall’altro ancora, tanto che si può affermare che «l’utopia prospetta, all’interno di determinate contingenze storiche, fini e mezzi futuri che divengono poi, puntualmente, stimoli e lievito della trasformazione storica del pensiero e della prassi educative» (Mantegazza, 1998, p. 10).

«La tensione utopica caratterizza la pedagogia poiché questa ambisce a ripensare ab imis il rapporto uomo-mondo (natura e storia), facendone risaltare l’aspetto di sfida e di scommessa, l’esigenza di cambiamento rispetto al qui-e-ora che esso implica e che trova nella dimensioe dell’immaginario utopico la risposta non cifrata, ma figurata e “concreta”, alla sua inquieta problematicità. L’utopia nel discorso pedagogico risulta quindi: 1) centrale, storicamente e teoricamente; 2) connessa ad un ruolo critico e progettuale (totale) insieme; deve ristrutturare il presente e prefigurare l’avvenire, e un avvenire “più degno”; 3) ben differenziata rispetto all’ideologia e alla scienza, le quali restano estranee al suo estremismo, al suo rigore alternativo, al suo status di sfida, ed anzi vengono ad essi nettamente a contrapporsi, dichiarandoli erronei, impossibili o esclusivamente “letterari”; 4) dotata di uno statuto logico critico-dialettico, quindi legato ad un “rigore” non formale né formalizzabile, filosofico in senso proprio, quindi anche ambiguo e problematico; 5) sottoposta alle catture dell’ideologia o della scienza, ma capace di riemergere oltre di esse come coscienza di una “sfida totale” all’esistente, come Progetto di un Mondo Nuovo. Certamente ancora oggi intorno all’utopia (anche pedagogica) c’è battaglia. Si respinge la sua sfida in nome del non-rigore e del potenziale ideologico (occulto o meno che sia), la si declassa a “fantasticheria”, etc., cioè riemergono le critiche tradizionali contro l’utopia, ma al tempo stesso si fa sempre più serrata ed esplicita una sua difesa in nome di un pensiero capace di pensare il reale e il possibile, il positivo e il negativo insieme, il presente e il non-ancora e di saldarli in un Modello che attraverso la sua “figura” ne indichi la contraddittorietà e la tensione, ciò che è reso possibile proprio dal suo proporsi in forma metaforica, come narrazione, come mito letterario, in modo da oscillare su quel terreno di frontira tra esistente e alterità che si può alludere soltanto in forma figurata» (Cambi, 1986, pp. 176-177).


 

BIBLIOGRAFIA

Bertolini P. (2003), Educazione e politica, Milano: Raffaello Cortina.
Borghi L. (1987), Presente e futuro nell’educazione del nostro tempo, Napoli: Liguori.
Cambi F. (1986), Il congegno del discorso pedagogico. Metateoria ermeneutica e modernità, Bologna: CLUEB.
Cambi F. (2000), Manuale di filosofia dell’educazione, Roma-Bari: Laterza.
Cambi F. (2006), Metateoria pedagogica. Struttura, funzione, modelli, Bologna: CLUEB.
Cambi F. (2007), Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Torino: UTET.
Frabboni F., Pinto Minerva F. (2001), Manuale di pedagogia generale, Roma-Bari: Laterza.
Genovesi G., Tomasi T. (1985), L’educazione nel paese che non c’è. Storia delle idee e delle istituzioni educative in utopia, Napoli: Liguori.
Mantegazza R. (1998), Filosofia dell’educazione, Milano: Bruno Mondadori.