John Dewey

A cura di Lucia Ariemma

 

«Dewey è stato il più grande pedagogista del Novecento: il teorico più organico di un nuovo modello di pedagogia, nutrito dalle diverse scienze dell’educazione; lo sperimentatore più critico dell’educazione nuova, che ne ha delineato anche le insufficienze e le deviazioni; l’intellettuale più sensibile al ruolo politico della pedagogia e dell’educazione, viste come chiavi-di-volta di una società democratica. Inoltre, il pensiero pedagogico di Dewey si è diffuso in tutto il mondo e ovunque ha operato una profonda trasformazione, alimentando dibattiti e sperimentazioni e un rilancio della pedagogia al centro dello sviluppo culturale contemporaneo nei vari Paesi […]» (Cambi, 2000, p. 454).

Il pensiero filosofico e pedagogico di John Dewey (1859 – 1952), considerato il padre dell’attivismo pedagogico (espresso in molti lavori monografici, tra i quali si possono ricordare Il mio credo pedagogico [1897],  Scuola e società [1899], Come pensiamo [1910], Democrazia e educazione [1916] e molti altri, fino a pochi anni prima della sua morte), ruota attorno ad una teoria dell’esperienza, intesa, quest’ultima, come luogo di relazione e scambio reciproco e biunivoco tra il soggetto e l’ambiente: uno scambio attivo e trasformativo, determinato da una relazione che ‘perde’ momentaneamente la sua dimensione di equilibrio che viene ricostruita grazie all’intervento del pensiero: «Non può esistere l’individuo senza la relazione con l’ambiente e, di conseguenza, non può esistere questa relazione senza il processo che lega in modo significativo l’azione umana all’ambiente, perché ne determina le modificazioni reciproche e cioè l’educazione. Una relazione, una transazione che è un vicendevole adattamento tra l’individuo e l’ambiente, deve verificarsi anche nella cultura e nella civiltà umana, che rappresentano appunto “attività” sia teoretiche che pratiche» (Pezzano, 2013, p. 76).

In tale contesto, ruolo centrale occupa la riflessione politica del filosofo americano, imperniata intorno al principio di democrazia: «Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione nello spazio del numero di individui che partecipano ad un interesse in tal guisa che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli uomini di cogliere il pieno significato della loro attività» (Dewey, 1916 [tr. It. 2004], p. 95). Tale connubio trova il suo luogo d’incontro privilegiato nella scuola, intesa come il luogo che «diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, una comunità che ha un’interazione continua con altre occasioni di esperienza al di fuori delle mura della scuola» (ivi, p. 394). L’ambiente scolastico viene definito da Dewey come un “ambiente speciale”, caratterizzato da compiti e funzioni ben precisi. Innanzi tutto, essa ha il compito di “sezionare” le culture più complesse, frazionandole, così da renderle più facilmente accessibili, perché la loro assimilazione è in questo modo graduale. In secondo luogo, essa ha il compito di «eliminare il più possibile i caratteri dell’ambiente esterno che non sono degni di influenzare le abitudini mentali, purificando così l’ambiente dell’azione» (ivi, p. 22), cercando di scegliere gli strumenti e i metodi migliori per il suo intervento educativo. Infine, «è compito dell’ambiente scolastico equilibrare i diversi elementi nell’ambiente sociale, e provvedere a che ogni individuo abbia la possibilità di sfuggire alle limitazioni del gruppo sociale nel quale è nato, e di venire in contatto vivo con un ambiente più largo» (ibidem). In altre parole, è necessario compensare eventuali disagi ambientali offrendo ad ogni soggetto un’ampia gamma di occasioni d’incontro, di scambio, di partecipazione. D’altra parte, l’ambiente sociale «è veramente educativo nei suoi effetti solo fin dove l’individuo partecipa e condivide un’attività comune. Dando il suo contributo nell’attività associata l’individuo fa suo lo scopo che la promuove, si familiarizza con i metodi e il contenuto di questa attività, acquista l’abilità necessaria ed è pervaso dalla sua carica emotiva» (ivi, p. 24).

L’apertura della scuola al mondo al di fuori di essa determina la necessità di una sua diversa strutturazione; su questa base, egli la disegna come il luogo della sperimentazione, dei laboratori, dell’apprendere facendo: una scuola fatta di attività che siano ad un tempo intellettuali e pratiche, lontana dal metodo trasmissivo che vede l’alunno come un “vaso” da riempire, come un ricettore passivo di nozioni, ma come un soggetto attivamente partecipe al suo processo di crescita e di apprendimento. In questo modo, cambia anche il perno della relazione di insegnamento apprendimento: non più il maestro, ma l’alunno, con i suoi interessi e i suoi bisogni.

Naturalmente, tale modifiche nel processo di apprendimento determinano un cambiamento radicale nella figura del maestro: non è più colui che trasmette conoscenze intellettualistiche e nozionistiche; egli «non è nella scuola per imporre certe idee al fanciullo o per formare in lui certi abiti, ma è lì come membro della comunità per selezionare le influenze che agiranno sul fanciullo e per assisterlo convenientemente a reagire a queste influenze» (Dewey, 1954).

La figura ed il pensiero di Dewey sono stati oggetto di apprezzamenti e di critiche, di studi approfonditi e di fraintendimenti. Nonostante ciò, tuttavia, «Dewey resta forse il pedagogista più autorevole e più suggestivo di tutto il secolo per la capacità, che egli ha ampiamente dimostrato, di sapere pensare il problema educativo in tutta la sua ampiezza e complessità, come pure per l’esplicito richiamo ad alcuni principi-valori che ancora oggi sono al centro del dibattito pedagogico, quali l’appello a valorizzare il metodo dell’intelligenza creativa modellata sul principio dell’indagine (e quindi sulla scienza) e quello rivolto a promuovere un incremento, insieme ideale e operativo, del  principio di democrazia» (Cambi, 2000, p. 462).

 


 

BIBLIOGRAFIA

Bellatalla L. (1999), John Dewey e la cultura italiana del Nove­cento, Pisa: ETS.
Cambi F. (2000), Storia della pedagogia, Roma-Bari: Laterza.
Dewey J. (1963), Esperienza e educazione, Firenze: La Nuova Italia.
Dewey J. (1964), Scuola e società, Firenze: La Nuova Italia.
Dewey J. (1965), Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, Firenze: La Nuova Italia.
Dewey J. (1986), L’educazione di oggi, Firenze: La Nuova Italia.
Dewey J. (2004), Democrazia e educazione, Firenze: La Nuova Italia.
Pezzano T. (2013), La scuola laboratorio di John Dewey: la “sperimentazione” dell’individuo per la democrazia, “Nuova secondaria ricerca”, 2, pp. 75-80.
Spadafora G. (ed) (2003), John Dewey. Una nuova demo­crazia per il XXI secolo, Roma: Anicia.