Educazione dell’uomo e del cittadino

a cura di Lucia Ariemma

«Ogni educazione deriva dalla partecipazione concreta dell’individuo alla coscienza sociale della specie. Questo processo si inizia inconsapevolmente quasi dalla nascita e plasma continuamente le facoltà dell’individuo, saturando la sua coscienza, formando i suoi abiti, esercitando le sue idee e formando i suoi sentimenti e le sue emozioni. Mediante questa educazione inconsapevole l’individuo giunge gradualmente a condividere le risorse intellettuali e morali che l’umanità è riuscita ad accumulare. Egli diventa un erede del capitale consolidato della civiltà. L’educazione più formale e tecnica che esista al mondo non può sottrarsi senza rischio a questo processo generale. Può soltanto organizzarlo o trasformarlo in qualche direzione particolare» (Dewey 1954, p. 3).

Possiamo cioè affermare che finalità ultima di ogni percorso educativo è la formazione dell’uomo e del cittadino, secondo i dettami della Costituzione. Dunque, appare necessario partire dall’idea di cittadinanza e di cittadino. Tuttavia, già l’affermazione di Dewey ci porta nella direzione di un concetto difficilmente limitabile, circoscrivibile e definibile una volta per tutte: al contrario, quello di cittadinanza è un principio fortemente contestuale e, in quanto tale, estremamente fluido, variabile, legato all’hic et nunc della realtà storica, sociale, culturale, politica nella quale si vive.

Dunque, prescindendo da un discorso epistemologico, per definire significati, limiti, implicazioni pedagogiche per l’educazione del cittadino oggi è necessario partire dal significato e dai limiti dell’idea di cittadinanza oggi.

Possiamo tuttavia partire da un punto fermo: essere cittadini presuppone, sempre e comunque, una dimensione attiva, partecipata, che parta dalla volontà del singolo di un’azione diretta, propositiva e negoziata all’interno della propria comunità, finalizzata al miglioramento della comunità stessa. Eppure, la stessa idea di comunità è sottoposta, oggi, ad un’ulteriore revisione. Infatti, non possiamo dimenticare l’importanza di una educazione ad una cittadinanza globale, planetaria, ad una sorta di nuovo cosmopolitismo. La condizione umana, oggi, è quella di una unitas multiplex, per usare una felice espressione di Morin: «L’educazione dovrà fare in modo che l’idea di unità della specie umana non cancelli l’idea della sua diversità e che l’idea della sua diversità non cancelli l’idea della sua unità. Vi è una unità umana. Vi è una diversità umana» (Morin 2001, p. 56). In una tale prospettiva, allora, bisogna abituarsi a pensare alla molteplicità nell’unità, all’unità nella molteplicità. Ciò significa educare tutti alla cittadinanza planetaria e comprendere il legame con la propria cultura che mantengono, come ci spiega M. Callari Galli (2003), gli immigrati indiani in Gran Bretagna che guardano le telenovelas prodotte nel loro Paese, o i tassisti pakistani che lavorano a Sydney, i quali sono soliti ascoltare le musicassette con i motivi registrati nelle moschee musulmane.

Sulla base di quanto detto, inoltre, il concetto di cittadinanza globale è strettamente legato a quello di educazione interculturale, ad una educazione all’eguaglianza, cioè, ed al rispetto di chi arriva in un Paese straniero e chiede rispetto per le proprie tradizioni e per la propria cultura.

Se essere cittadini significa essere e sentirsi parte di una comunità sociale, allora nell’hic et nunc della realtà storico-sociale in cui viviamo, essere cittadini significa appartenere ad una realtà che è locale (potremmo dire cittadina), nazionale (ma oggi potremmo dire anche internazionale, europea, nel nostro caso), planetaria, globale, mondiale. Non si può pensare, oggi, di appartenere esclusivamente ad una realtà micro, quale quella cittadina: è, questa, come afferma Franco Cambi, «l’habitat che dà riferimento e sicurezza e condivisione» (Cambi 2009, p. 20), ma che, nel suo inevitabile ripiegarsi su se stesso, genera chiusura all’altro-da-sé. Il confronto con l’altro, al contrario, è immediato, talvolta anche involontario, data la quantità di opportunità per inviare e ricevere comunicazioni, notizie, informazioni; pertanto, filo rosso che segue i possibili percorsi di educazione del cittadino non può che essere l’intercultura, intesa come possibilità di scambio, di arricchimento reciproco, di interazione con l’altro-da-sé. Tuttavia, in un tale percorso l’impostazione interculturale «deve farsi non solo dispositivo teorico e/o pratico, modello astratto/concreto. Deve farsi anche strategia: deve fissare i suoi ambiti di teoria e di azione, deve fenomenologizzarsi o, detto altrimenti, deve articolarsi su più fronti, poiché solo dalla loro integrazione nascerà una cultura dell’intercultura. Che è ciò a cui dobbiamo guardare politicamente, ma soprattutto pedagogicamente, poiché è alla pedagogia (comunque la si interpreti: politica, sociale, istituzionale, culturale, individuale ecc.) che spetta il compito di dare vita a tale cultura interculturale» (ivi, p. 22).

Tuttavia, va detto che una educazione alla cittadinanza globale, al rispetto reciproco, alla formazione di quello che Ernesto Balducci (1990) definiva “uomo planetario” è un percorso complesso da realizzare, per alcuni impossibile, Afferma infatti Claudio De Luca: «[…] Sfugge ad ogni riflessione seria la possibilità che esistano e si creino, sia a livello europeo sia in altri contesti, modelli di cittadinanza profondamente diversi o che divergano dal modello della cittadinanza nazionale. È per questo che si ritiene essenziale una storicizzazione radicale del problema, con lo scopo di fare emergere e reintrodurre nella nostra coscienza il fatto che la storia della cittadinanza è una storia lunghissima, una storia complessa, non lineare, nella quale si sono già prodotte delle trasformazioni, degli spostamenti decisivi […]. L’idea della cittadinanza mondiale, l’idea del cosmopolitismo è certamente esistita in diversi periodi, sia come ideale di vita del saggio o dell’individuo isolato sia all’interno di movimenti politici e intellettuali o tra i militanti del movimento operaio. Ma è rimasta appunto un ideale o una utopia» (De Luca 2010, pp. 279-280).

Di ciò la riflessione pedagogica non può non tener conto: formare un cittadino globale pone questioni e problemi di difficile risoluzione, legati soprattutto al confronto con l’altro, al rispetto di modi di pensare e di intendere la cultura molto diversi. È, tuttavia, un impegno pedagogico da portare avanti, proprio seguendo il vettore dell’utopia, che diventa uno dei cardini della riflessione e della pratica pedagogica, soprattutto nella prospettiva di stabilire un rapporto costruttivo tra formazione e politica.

 


 

BIBLIOGRAFIA

Balducci E. (1990), L’uomo planetario, Firenze: Cultura della pace.
Bertolini P (2003), Educazione e politica, Milano: Raffaello Cortina.
Callari Galli M. (2003), Analisi culturale della complessità, in Callari Galli M., Cambi F., Ceruti M., Formare alla complessità, Roma: Carocci.
Cambi F. (2009), Cittadinanza e intercultura oggi, in Galiero M. (ed), Educare per una cittadinanza globale. Costruire un mondo giusto a partire dalla scuola, Bologna: EMI.
Dewey J. (1954), Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, Firenze: La Nuova Italia.
Morin. E. (2001), I sette sapere necessari all’educazione del futuro, Milano: Raffaello Cortina.
Santerini M. (2010), La scuola della cittadinanza, Bari: Laterza.
Tarozzi M. (2005), Cittadinanza interculturale. Esperienza educativa come agire politico, Firenze: La Nuova Italia.