L’approccio sistemico

A cura di Luciano Galliani

 

Nell’ambito delle scienze sociali, l’educazione e la formazione non sono concepite come “strumento”, ma come sottosistema di un più ampio sistema sociale “alle cui dinamiche aderisce secondo modalità e scopi relativamente autonomi”. Tale prospettiva è indicata da Luhmann (1979), soprattutto quando si pensa alle organizzazioni scolastiche e formative in stretta interconnessione con l’economia e la politica. Il sistema formativo quindi come sistema parziale della società moderna, che unifica i luoghi dell’intenzionalità educativa,  fornito di strutture e funzioni proprie e specifiche per guidare, migliorare e  sviluppare gli apprendimenti nelle persone, è strettamente connesso ai mutamenti che avvengono nella società.

“Con la teoria dei sistemi aperti il postulato dell’equilibrio non è più punto di riferimento stabile. Al suo posto subentra la nozione di processo e cioè di uno scambio tra ‘interno’ ed ‘esterno’ del sistema, che tende a rivoluzionare continuamente il proprio assetto strutturale in funzione di emergenze che devono venire controllate” (Lanzara, Pardi, 1980) Il “metodo sistemico” ci guida a ritenere la formazione un sistema “aperto” e “autopoietico” (Maturana, Varela, 1980) che presenta un’interdipendenza tra organizzazione e ambiente. Proprio a partire dalla proprietà autopoietica, il sistema formativo impara dalle proprie azioni e nella propria autonomia seleziona ed elabora fra gli stimoli ambientali quelli che ritiene significativi. Per questo, quello formativo è un “sistema che apprende” (Corsi, 1997), così le sue articolazioni (es.: Scuola e Università) “apprendono” migliorando le prestazioni organizzative, mentre in esse si sviluppano gli apprendimenti degli allievi (Demetrio, 1984).

Il sistema formativo – comprendendo in esso sia il sottosistema scolastico dell’istruzione primaria e secondaria sia il sottosistema professionale della formazione terziaria e universitaria sia quello non formale della formazione continua e informale dell’apprendimento permanente – è stato investito dalla fine del secolo scorso da un cambiamento profondo, determinato dall’introduzione dei concetti, delle strategie e delle pratiche della qualità per migliorare le prestazioni educative, didattiche e organizzative.

La forza delle “logiche di azione organizzativa”, vere emergenze ambientali a seguire Weick (1988) e Romei (1993,1995), sta rivoluzionando dall’esterno il sistema formativo, soprattutto perché vissuto dall’interno secondo il paradigma autopoietico di significati e di valori con caratteristiche di specificità, quali la “provvisorietà dell’habitat organizzativo” (studenti, docenti, dirigenti in continua mutazione), il “probabilismo dei risultati” (processi di apprendimento in soggetti liberi e autonomi) e l’ “elasticità dei legami” (libertà di insegnamento, unicità della funzione docente, mission sociale e politica, dirigenza con scarsi poteri reali, governance partecipata, ecc.).

In questa prospettiva, l’ineludibile apertura del sistema formativo al più ampio sistema sociale è stata vissuta da molti operatori educativi e docenti come rinuncia alle finalità meta-funzionali, proprie delle istituzioni formative, in quanto produttrici e distributrici di “valori”, piuttosto che confronto e interazione con le culture e i nuovi saperi sociali, soprattutto in campo etico, economico, politico, tecnologico. Le dinamiche del cambiamento dei sistemi formativi sono, infatti, innescate dai nuovi bisogni e diritti dei cittadini-utenti-clienti e delle famiglie, dall’evoluzione socio-economica e dalle domande del mercato del lavoro, dalla contestualizzazione europea delle riforme legislative-amministrative, dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Innanzitutto i clienti-utenti del servizio formativo, sia interni che esterni, si sono segmentati e articolati in gruppi, differenziati per bisogni, per obiettivi da perseguire, per rappresentazione sociale dell’educazione. Ed essendo, quello formativo, un servizio alla persona non realizzabile senza la partecipazione responsabile del cliente-utente, la qualità percepita dipende dalle interazioni reali e multiple con esso, per cui ogni istituto formativo o categoria di operatori, che attua l’azione comunicativa, costruisce la visione dell’insieme. I clienti-utenti come ben sappiamo, non sono più semplicemente gli allievi (bambini, giovani, adulti) ma i genitori e le famiglie, le organizzazioni professionali e lavorative, le associazioni sociali-culturali-religiose. Ognuna di queste categorie riconosce all’educazione valori essenziali secondo ispirazioni pluralistiche, esprime attese specifiche nei confronti dei diversi sottosistemi formativi, costruisce differenziate immagini sociali e culturali della formazione e della sua utilità, adotta criteri spesso contrapposti di valutazione delle prestazioni del servizio e dei docenti, apporta contributi particolari in termini di tempo-coinvolgimento-denaro ai diversi sottosistemi formativi. La difficoltà nel soddisfare i bisogni dei clienti-utenti  non deriva soltanto dalla molteplicità delle domande, ma spesso dalla conflittualità dei punti di vista delle varie categorie, per cui, ad esempio, gli studenti preferiscono i nuovi linguaggi non verbali e multimediali mentre i genitori privilegiano l’acquisizione di conoscenze-abilità utili all’inserimento nel lavoro e l’associazionismo impegnato nella difesa dei diritti chiede, dal canto suo, attenzione alle diversità (disabili, immigrati, ecc.).

Considerando, poi, i fornitori-attori del servizio formativo – dalla cui preparazione professionale, valorizzazione delle competenze, mobilitazione delle intelligenze, coinvolgimento nelle decisioni, adattamento all’innovazione, dipende il vero miglioramento di qualità della formazione – le dinamiche del cambiamento in atto portano all’emergenza di due questioni principali. La prima attiene ai fornitori-attori tradizionali dei sistemi scolastici e formativi – insegnanti, formatori, dirigenti, amministratori – nei quali si manifesta una crescita dello stress e del disorientamento per una professione con scarsità di riconoscimenti sociali e di gratificazioni personali ed economiche. Professioni sottoposte, peraltro, a richieste di continua modifica di competenze e di compiti (pensiamo al ruolo  dirigenziale, ai nuovi saperi e alle nuove tecnologie, alle azioni di recupero rispetto alle aree sociali del disagio giovanile), a fronte di una formazione iniziale, di specializzazione e in servizio spesso carente e di una tradizione conservatrice delle organizzazioni sindacali (egualitarismo contrattuale /mortificazione della carriera e del merito) e dell’associazionismo professionale (privilegio alle distinzioni ideologiche). La seconda questione, evidenziata dalla discesa in campo di nuovi fornitori-attori di formazione – individuabili negli istituti non statali a funzione pubblica, negli enti e agenzie privati imprenditoriali di formazione, nei sistemi pubblici e privati di formazione a distanza – riguarda, da un lato, il privilegio dato ad una educazione che valorizza le attitudini personali, i bisogni specifici di apprendimento e di competenze professionali, la salvaguardia delle diversità/identità etniche e religiose e, dall’altro lato, l’apertura di un vero “mercato dell’educazione” dove la competizione implica parità di condizioni, diffusione di nuove opportunità formative, investimenti e rendimenti finanziari, interventi diretti e/o di controllo dello Stato, rischi “consumeristi” di mercantilizzazione di una bene pubblico come l’istruzione.

Le dinamiche del cambiamento del sistema formativo sono sempre più influenzate, inoltre, dall’introduzione generalizzata delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ritenute  un fattore critico per una strategia di miglioramento della qualità. Al di là dei ritardi del sistema scolastico e universitario italiano in questo settore, che gli ultimi interventi governativi e della pubblica istruzione tentano affannosamente di colmare (dotazioni hardware e software, formazione digitale dei docenti, progetti europei), emerge una questione discriminante per la formazione. Le tecnologie audiovisive, informatiche, telematiche hanno innescato innovazioni profonde nella comunicazione sociale e nella produzione-distribuzione di beni e servizi e perciò richiedono nuove competenze da costruire nella formazione di base e specialistica. Rispondere bene a questa esigenza è sicuramente importante, ma non significa ancora miglioramento della qualità della formazione. Il problema infatti sta nelle nuove modalità ipermediali di organizzare il sapere, nella personalizzazione dell’accesso alle informazioni digitali, nella collaborazione in rete per la costruzione delle conoscenze, nella stimolazione multimediale dei processi di apprendimento, nella contestualizzazione interculturale delle competenze. Internet e Social Network   implicano non solo distance learning, ma open and ubiquitous learning e quindi innovazioni pedagogiche, didattiche, organizzative nei sistemi scolastici e formativi, la cui qualità non è assicurata dalla mera diffusione e utilizzazione diuturna  di pc, tablet e smartphone.

Le trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche – innescate e sostenute sempre più dalla ricerca scientifica pubblica e privata – tendono alla realizzazione di una società della globalizzazione, un unico grande mercato in cui si affermano i migliori. Ai sistemi scolastici, della formazione professionale e universitaria viene così riproposta, spesso in forma brutale, la “funzione sociale” dell’educazione, con l’impraticabilità di “educare senza selezionare”, di portare tutti gli allievi al successo secondo le inclinazioni individuali, di costruire la personalità di ognuno “senza dovere costruire anche la carriera lavorativa corrispondente”. Sarebbe sbagliato ripetere la grande discussione degli anni ’60 del 900 sull’uguaglianza delle opportunità – pensiamo solo al Rapporto Coleman per il governo USA – e sulla “pretesa” della pedagogia riformista di rimuovere i condizionamenti socio-economici di partenza (e quelli genetico-biologici?) per trasformare una corsa ad handicap in una corsa alla pari, ma sarebbe altrettanto sbagliato per il sistema educativo contribuire alla selezione sociale senza assumersi la responsabilità delle differenze. Si intende dire che l’educazione e la formazione devono svolgere compiutamente ed in modo trasparente la loro azione regolativa nei confronti sia delle variabili personali e culturali attraverso l’individualizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento (sviluppo del potenziale  di conoscenze e competenze), sia delle variabili sociali e storiche, attraverso la contestualizzazione dei processi decisionali degli allievi (orientamento, scelta dei percorsi formativi e professionali, accompagnamento nei processi di job placement e in quelli di lifelong and lifewide learning). Solo accettando il fatto che siamo in una società che fa dell’incertezza e della contingenza il proprio valore stabile, come argomenta N. Luhmann, è possibile costruire una relazione positiva tra curricoli di studio e futuro imprevedibile, tra destino degli allievi e prevenzione, tra libertà individuale e rischio, come spiega bene Beck, in un contesto sociale comunque selettivo.

Ognuna di queste dinamiche di cambiamento e di trasformazione provoca domande specifiche e “irritazioni” (Maturana,Varela 1980) non sempre “processate” positivamente dall’interno del sistema formativo e delle sue diverse articolazioni, e quindi disagi reali negli attori educativi, a cui solo le metodologie e le pratiche della qualità sembrano fornire risposte efficaci.

È evidente, infatti, che se si affidano al sistema formativo finalità di sviluppo continuo della persona umana nelle diverse età e nei diversi contesti, obiettivi di apprendimento sul piano delle conoscenze e delle competenze, compiti di integrazione sociale e lavorativa dei giovani, esigenze di sviluppo economico  e sociale sia collettivo che individuale, allora occorre contemperare l’approccio pedagogico-didattico con l’approccio socio-economico, distinguendo però la “qualità dell’educazione”, dalla “qualità dell’istruzione” e dalla “qualità della formazione”, con le loro diverse caratteristiche strutturali e funzionali.

Non potendo aprire in questo breve contributo una indagine lessicografica sui nodi semantici implicati nell’educare, nell’istruire e nel formare – rimando fra gli altri a Fabre (2000) e al testo miscellaneo da me curato Educazione versus Formazione (2004) – assumiamo come approccio pedagogico sistemico l’integrazione di un triplice progressivo movimento orientato a:

  • sviluppare fisicamente, intellettualmente e moralmente l’intera personalità di ogni individuo (educazione);
  • trasmettere-costruire conoscenze e saperi, contenuti e metodi, favorendo apprendimenti nei contesti formali e non formali (istruzione);
  • integrare i saperi nelle pratiche lavorativo-professionali e nei contesti informali della vita, conciliando sviluppo personale e adattamento sociale (formazione)

 

 


 

BIBLIOGRAFIA

Corsi, Sistemi che apprendono, Pensa Multimedia, Lecce 1997.
Demetrio, D. Fabbri, S. Gherardi, Apprendere nelle organizzazioni, NIS, Roma 1984.
M. Fabre, Epistemologia della formazione, Clueb, Bologna 2000.
L. Galliani (a cura di), Educazione versus Formazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004.
G. Lanzara, F. Pardi, L’interpretazione della complessità, Guida Editori, Napoli 1980, p. 81.
N. Luhmann, Potere e complessità-sociale, Etas Kompass, Milano 1979.
H.R. Maturana, F. Varela, Autopoiesi e cognizione (1980), Marsilio, Venezia 1985.
P. Romei, La scuola come organizzazione, F. Angeli, Milano 1993.
P. Romei, Autonomia e progettualità. La scuola come laboratorio di gestione della complessità sociale, La Nuova Italia, Firenze 1995.
K. Weick, Le organizzazioni scolastiche come sistemi a legame debole, in S. Zan, Logiche di azione organizzativa, Il Mulino, Bologna 1988.