Contesti formale, informale, non formale di apprendimento

A cura  di Luciano Galliani[1]

 

Il tema può essere affrontato solo chiarendo preliminarmente cosa intendiamo con i termini “formale, informale, non formale” e quindi se si riferiscono a contesti educativi  e/o ad ambienti di apprendimento o se sono caratteristiche “ontologiche” dell’apprendimento e/o dei suoi processi. La questione è essenziale perché spesso la letteratura scientifica rispecchia le definizioni contraddittorie proposte non solo in ambito europeo (Werquin 2010).

Scribner e Cole (1973) avevano riflettuto parecchi decenni fa sul tema anticipando la categorizzazione più recente e riferendola alla modalità dei processi cognitivi  nei  diversi contesti e ambienti di apprendimento. La nostra base di partenza è il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente”, varato dalla Commissione delle Comunità Europee il 30.10.2000 a seguito del Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, che ritenne strategicamente essenziale per “il buon esito della transizione ad un’economia e una società basate sulla conoscenza” l’istruzione e la formazione permanente (lifelong learning and lifewide learning) definite “come ogni attività di apprendimento finalizzata, con carattere di continuità, intesa a migliorare conoscenza, qualificazioni e competenze”. Dopo questa definizione corretta il Memorandum, inoltrandosi nella spiegazione del che cosa si debba intendere con “la formazione lungo tutto l’arco della vita e in tutti gli ambiti della vita”, distingue “tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:

  • l’apprendimento formale che si svolge negli istituti di istruzione e di formazione e porta all’acquisizione di diplomi e di qualifiche riconosciute;
  • l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali corsi di istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione ad esami);
  • l’apprendimento informale corollario naturale alla vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze”.

A seguire si parla di “istruzione formale” e di “istruzione non formale” e si afferma che “l’ambiente informale rappresenta una riserva considerevole  di sapere e potrebbe costituire un importante fonte di innovazione nei metodi di insegnamento e di apprendimento”. Usando il termine “ambiente” il Memorandum spiega anche il neologismo “lifewide learning” come dimensione “orizzontale” della formazione continua, che, appunto, “può aver luogo in tutti gli ambiti ed in qualsiasi fase della vita”. In questa prospettiva si introduce con forza la “complementarietà dell’apprendimento formale, non formale e informale”

L’evento Memorandum ha segnato negli anni 2000 le strategie europee sulla formazione continua e in particolare l’educazione degli adulti (Pavan 2003 ),  portando tutti i Paesi a condividere nel 2008 l’ European Qualifications Framework for Lifelong Learning e nel 2009 le European Guidelines for validating non-formal and informal learning su proposta del Cedefop (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale), conducendo così ad un sistema di validazione e riconoscimento dei “risultati di apprendimento”, descritti come conoscenze-abilità-competenze in qualunque contesto acquisite, e certificati da otto livelli di qualifiche in uscita da diversi percorsi di studio.

Nelle Linee Guida del Cedefop  vengono definiti come:

  • Apprendimento Formale “ l’apprendimento erogato in contesto organizzato e strutturato (per esempio, in un istituto di istruzione o di formazione o sul lavoro), appositamente progettato come tale (in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento). L’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Di norma sfocia in una convalida e in una certificazione”.
  • Apprendimento Informale “l’apprendimento risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse per l’apprendimento. Nella maggior parte dei casi non è intenzionale dal punto di vista del discente. L’apprendimento informale è detto anche apprendimento “esperienziale” o “fortuito” o casuale”.
  • Apprendimento Non Formale “l’apprendimento erogato nell’ambito di attività pianificate, che non sono sempre esplicitamente definite come apprendimento (in termini di obiettivi, di tempi o di risorse), pur comportando importanti elementi di apprendimento. L’apprendimento non formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Talvolta l’apprendimento non formale è denominato “apprendimento semi-strutturato”.

Non basta prendersela con la contraddittoria traduzione italiana (l’apprendimento non si eroga!) o con l’essenzialità del lessico pedagogico di base della lingua inglese (learning, training, education). Anche perché basta consultare la versione francese delle Linee Guida per scoprire che già nel titolo si utilizza il più corretto “validation des acquis d’apprentissage non formels et informels” e soprattutto il Glossario prodotto  dal Cedefop  e pubblicato dalla Comunità Europea (Terminology of education and training policy: a multilingual glossary),  in cui si dice chiaramente che l’apprendimento “ è un processo con cui un individuo assimila informazioni, idee e valori e acquisisce conoscenza (knowledge, savoir), conoscenza applicata (know-how, savoir-faire), abilità, attitudini  e/o competenze (skills, aptitudes and/or competences)”, che “può aver luogo in contesti formali, non formali e informali”. Oltre il termine “context”, presente anche nelle altre lingue, viene introdotto il  termine condiviso “setting”, allorché si vuol descrivere come i “learning outcomes”   (acquis d’apprentissage/risultati di apprendimento) vengono acquisiti da un individuo,  ovvero “ in formal, non formal or informal setting”.

Sembra dunque necessaria una chiarificazione terminologica che ci permetta,  nella  costruzione semantica e negli usi pragmatici del nostro  argomentare pedagogico, di  non confondere le caratteristiche del “processo di apprendimento” con quelle dei “contesti” e/o “ambienti” in cui si svolge. Per questo riteniamo, tenendo conto delle indicazioni più aggiornate (Werquin 2010), di dover distinguere:

  • Contesti Formali di Istruzione come la scuola, la formazione professionale e l’università,

istituzionalmente e organizzativamente finalizzati all’insegnamento e all’apprendimento di conoscenze, abilità e competenze, da  valutare e certificare nei loro esiti intermedi e finali;

  • Contesti Informali di Educazione come la famiglia, l’associazionismo culturale-sociale- sportivo, i mass-media e i new-media, il sistema dei beni paesaggistici-artistici-museali, gli eventi musicali-teatrali-ludici e sportivi, ecc. in cui si svolge la vita reale delle persone e in cui si coltivano attitudini e si apprendono conoscenze, abilità e competenze principalmente basate sulle esperienze  e relazioni sociali;
  • Contesti Non Formali di Formazione come le organizzazioni lavorative o l’associazionismo professionale, in cui si sviluppano conoscenze, abilità, competenze principalmente attraverso apprendimenti basati sulle relazioni e sulle pratiche professionali, ma anche su attività formative di aggiornamento e riqualificazione progettate ad hoc.

Non potendo aprire in  questo contributo una indagine sui nodi semantici implicati nell’istruire, nell’educare e nel formare e  sul cambiamento di sovraordinazione  concettuale avvenuta negli ultimi vent’anni  a favore della formazione (Galliani, 2003), applicare al “contesto” (context) le tre caratteristiche  di “formale, informale, non formale” significa  non solo riferirsi correttamente agli “ambienti di/per l’apprendimento” (environments), ma soprattutto entrare scientificamente nel merito delle “qualità” ontologiche e metodologiche dei “processi di apprendimento”, senza negare l’evidenza empirica della possibile compresenza in ogni contesto, anche se con diverso peso, di forme distinte di apprendimento. Quando si usa il costrutto “ambiente di/per l’apprendimento” ci si riferisce alla configurazione spazio-temporale di un luogo fisico o virtuale, intenzionalmente attrezzato (setting) per rispondere ad esigenze formative, attraverso strategie pedagogiche e dispositivi didattici mirati a promuovere, sostenere, direzionare e sviluppare processi di apprendimento. Immediatamente si è portati ad  esemplificare con un’aula scolastica o universitaria attrezzata tecnologicamente, ma quale differenza vi è  con uno spazio/laboratorio didattico di un museo/di una mostra d’arte aperto ai visitatori o con una piattaforma e-learning LCMS (Learning Content Management System) per la formazione interna del personale di una grande azienda?  Probabilmente nessuna rispetto alla categorizzazione di “ambiente di/per l’apprendimento”, ma sicuramente molte rispetto alla collocazione in tre contesti distinti (formale, informale, non formale) e dunque agli scopi perseguiti e ai metodi utilizzati.

Il Gruppo di Ricerca di SEEQUEL (Sustainable Environment for the Evaluation of Quality in E-Learning)  della Commissione Europea, coordinato da C. Dondi e incaricato di produrre la “Quality Guide to the non-formal and informal Learning Processes” (ottobre 2004), sostiene la continuità  dinamica  del processo di apprendimento che accompagna l’individuo dal “context of education”, dove acquisisce informazioni disciplinari trasformandole in conoscenza teorica e procedurale, al “context of work and profession”, dove applica conoscenze nella pratica condivisa e distribuita  della produzione economica di beni/servizi e da essa trae conoscenze tacite, fino  al  “context of life”, contenitore di tutte le esperienze di studio e di lavoro e non solo di quelle libere e self-directed,  proprie della vita famigliare e sociale. Basterebbe pensare al ruolo che gioca il “capitale sociale” (Bourdieu 1986, Coleman 1988, Donati e Colozzi 2006), di cui ogni persona diversamente dispone in base alla famiglia e alle relazioni comunitarie, nella sua formazione e nel suo sviluppo professionale e dunque nella costruzione del suo “capitale umano”.

L’intensità del dinamismo processuale  dipende, ad esempio, dalla presenza all’interno del setting, caratteristico del contesto formale dell’istruzione scolastica e universitaria, di pratiche formative proprie del contesto non formale o di esperienze educative derivate dal contesto informale. La tavola di confronto di SEQUEL tende a classificare il “non formale” come zona ibrida e indefinita di passaggio dal “formale”, in cui la conoscenza è esplicita/intenzionale/deduttiva all’ “informale” in cui è tacita/incidentale/induttiva, e non come luogo privilegiato dell’apprendimento continuo dei giovani e degli adulti nei contesti lavorativi (Eraut 2000). Più equilibrata risulta la rappresentazione di Clark (2010), che però finisce per identificare il “non formale” con la formazione organizzativa e professionale all’interno dei luoghi di lavoro, i cui obiettivi di apprendimento sono esterni alle persone coinvolte, così come avviene nei contesti formali.

Se l’apprendimento self-directed e auto-regolato (Zimmerman 1998)  è il punto di partenza e anche di arrivo dei processì educativi e formativi, allora tutte le forme ed esperienze di apprendimento promosse e gestite dai bambini, dai giovani e dagli adulti, secondo i propri bisogni ed interessi nel contesto informale della vita familiare e sociale, utilizzando la rete ed i new media che rendono ubiquitous and connected  la comunicazione, non possono essere silenziate o tenute ai margini dei contesti formali e non formali di istruzione e di formazione. Sappiamo bene che le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione “innervano” (Castells 1996) innanzitutto i contesti sociali e famigliari degli apprendimenti liberi e inattesi,  prima ancora di essere considerate/utilizzate come “strumenti” e soprattutto “metodologie” di innovazione dell’insegnamento nei contesti istruttivi e quindi in grado di migliorare gli apprendimenti intenzionalmente organizzati e guidati.

Pensare secondo una pedagogia degli “ambienti educativi integrati” significa allora costruire una didattica di inter-azioni  tra contesti formali, non formali e informali, partendo dalle pratiche comunicativo-sociali quotidiane, che comprendono anche i Social Software secondo i nuovi paradigmi autoriali e collaborativi del Web 2.0, generati dall’apprendimento esperienziale (Kolb 1990). In questo senso va rovesciata l’impostazione metodologica, che sembra dominante anche nelle sperimentazioni pur importanti degli insegnanti “pionieri” (Midoro 2003) e nei lodevoli progetti ministeriali (es: LIM e Cl@ssi 2.0), in cui il movimento va dal formale al non formale e all’informale e non viceversa. “E’ ancora il formale con le sue regole didattiche, linguistiche, contenutistiche, tecniche che ingloba, seleziona, organizza e orienta a fini istruttivi il non formale e l’informale e non sono invece le esperienze costruite nelle relazioni sociali della vita quotidiana e soprattutto le pratiche produttive di artefatti culturali e simbolici a dare senso personalizzante ed empatico a conoscenze, abilità e competenze da condividere e sviluppare insieme per un progetto educativo comune” (Galliani 2010).

 

 

[1] Il testo è una sintesi tratta da: Galliani L. (2012) Apprendere con le tecnologie nei contesti formali, non formali e informali. In Limone P. (Ed) Media, tecnologie e scuola: per una nuova Cittadinanza Digitale. Bari:Progedit

 


BIBLIOGRAFIA

Bourdieu P. (1986). The forms of capital in J.G. Richardson (Ed.), Handbook for Theory and Research for the Sociology of Education. New York: Greenwood Press.
Castells M. (1996), La nascita della società in rete, Milano: Egea- Università Bocconi (2002).
Coleman, J. (1988), Social capital in the creation on human capital, American Journal of Sociology, 94 (Supplement), 95-110.
Donati P., Colozzi I. (2006).(Eds.). Capitale sociale delle famiglie e processi di socializzazione.  Milano: FrancoAngeli.
Eraut M. (2000). Non-formal learning and tacit knowledge in professional work, British Journal of Educational Psichology, March, pp.113-136.
Galliani, L. (2003) (a cura di), Educazione versus Formazione. Napoli: ESI-Edizioni Scientifiche Italiane.
Galliani, L. (2010). Prefazione a Petrucco C., Didattica dei social software e del web 2.0. Lecce: Pensa Multimedia.
Midoro, V. (2003) (a cura di), Dossier U-Learn. Insegnanti pionieri: un fattore chiave nell’innovazione della scuola, TD-Tecnologie Didattiche, III, 203.
Scribner, S. & Cole, M. (1973). Cognitive Consequences of Formal and Informal Education, Science, 182, 553-559.
Pavan, A. (2003), Formazione continua. Dibattiti e politiche internazionali.  Roma: Armando.
Werquin, P. (Ed) (2010). Recognising non Formal and Informal Learning. Outcomes, Policies and Practices. Paris : OCSE.