La Teoria della narrazione

A cura di Alessandra Pantaleone

 

I ricercatori e gli operatori sociali ed educativi si avvalgono sempre più del metodo delle storie di vita, poiché esse costituiscono una testimonianza esemplare e possono essere riproposte come “un’opportunità pedagogica volta a suscitare altra narrazione e riflessione, a partire da quanto un individuo scrive e racconta di sé” (Demetrio, 1992, p. 31). La mente è predisposta in modo istintivo a tradurre l’esperienza in termini narrativi (Bruner, 1992), grazie a una forma di ragionamento definita “pensiero narrativo”. Esso è “una strategia conoscitiva che consiste nella costruzione di storie come modelli interpretativi della realtà” (Demetrio, op. cit., p.33).  Dal punto di vista psicologico la narrazione può essere considerata come “uno strumento linguistico flessibile per interpretare e parlare della realtà – Sé e il mondo-” (Smorti, 2007, p. 78). Attraverso il linguaggio e la narrazione il soggetto fa ordine, selezionando degli aspetti piuttosto che altri, collegando gli eventi e disponendoli secondo una sequenza temporale. La narrazione viene costruita rispettando il paradigma della coerenza, cioè ricercando un accordo in base a ciò che il narratore reputa essere la realtà. La costruzione segue un principio di ordine cronologico e/o psicologico, basato sul “prima”, sul “dopo”, sul “quindi”, sull’“affinché”; ciò consente all’uomo di ridurre e di evitare il caos. “Il narratore di sé procede trasformando la propria storia in un disegno vocazionalmente coerente; il percorso esistenziale – fatto emergere da un insieme caotico – viene allora ripensato e organizzato così da poter essere ricondotto all’interno di una trama significativa” (Demetrio, op. cit. pp. 33-34). Il soggetto possiede una sorta di grammatica mentale della storia, un sistema di aspettative molto generali ed astratte su come essa funziona, tanto da poter elaborare il testo anticipando e prevedendo il flusso degli eventi. Le attese sono elaborate sulla base delle regolarità che l’individuo identifica nel suo rapporto con le storie e in virtù dell’esperienza interattiva con gli altri. Esse permettono un’anticipazione, una previsione delle sequenze degli eventi e delle modalità in cui esse sono connesse tra loro. Attraverso la narrazione, il soggetto fornisce a se stesso delle spiegazioni e delle interpretazioni di come gli eventi si sono svolti, poiché produrre una storia e cercare di comprenderla comporta la scelta di un punto di vista personale nel guardare i fatti. La narrazione è, inoltre, uno strumento linguistico, poiché è appresa dal soggetto attraverso l’interazione con gli altri. “L’abilità narrativa è quella caratteristica che si radica nel nostro essere sociali, lo strumento primario di quella stessa comunicazione e tradizione (intesa come un tramandare), chiave di volta del nostri imprinting sociali” (Biffi, in Demetrio 2012, p. 73). In questo senso “educare è narrare” (Idem): narrare equivale a raccontare una storia, dare vita ad un intreccio, a un “intrigo”, a concatenazioni di significato. Educare è un concetto che assegna alla narrazione o al narratore uno scopo pedagogico, intenti espliciti o celati. L’educazione è, infatti, ritenuta un’attività di trasmissione di conoscenze, di valori, di comportamenti e lo strumento privilegiato di cui si serve è la narrazione. “Il racconto è la modalità più antica, e nondimeno divertente, per insegnare ai bambini a parlare e a sviluppare processi mentali” (Ivi, p.29). La narrazione è, quindi, allo stesso tempo uno strumento linguistico “soggettivo”, perché è il soggetto stesso che sceglie come costruirla ed utilizzarla e uno strumento “sovrasoggettivo”, poiché il linguaggio che il soggetto usa fa riferimento alla tradizione linguistica della sua cultura di appartenenza (Smorti, op. cit.). La narrazione è, pertanto, uno strumento “transpersonale”: riguarda l’individuo ma lo oltrepassa. In quanto strumento linguistico, la narrazione permette di condividere con gli altri il senso a cui si è pervenuti, arricchendolo nuovamente e rappresentando uno spunto di riflessione e apprendimento per chi l’ascolta. In questo senso, la narrazione “può educare” (Idem), può essere intesa come una pratica riflessiva capace di aiutare a pensare le storie come una risorsa educativa. L’utilità e l’importanza delle pratiche narrative da un punto di vista educativo è riconducibile ad almeno tre ragioni (Demetrio, 2012). In primo luogo, “le diversità […] rappresentano un inciampo fertile per la continua revisione di premesse e stili cognitivi” (Ivi, p. 18). Le narrazioni sono utili da un punto di vista pedagogico ed educativo, poiché porre l’attenzione a come il soggetto si racconta, ai procedimenti cognitivi ed emotivi che utilizza, permette di cogliere indizi che svelano molto di più di ciò che il soggetto espone di sé. Il racconto di sé, sostenuto da un ascolto attivo, può sollecitare e generare nuove domande, nuove possibili interpretazioni e favorire cambiamenti, peculiarità del pensare e dell’agire educativo. Gli esiti pedagogici sono riscontrabili in differenti momenti, a partire dall’effetto di “eterostima”, che si verifica nel momento relazionale dell’incontro tra il soggetto che racconta e colui che è interessato alla storia. Esso consiste nel sentirsi confermati e riconosciuti dall’altro. Il secondo effetto è l’“autostima”: avviene durante il processo discorsivo, nel momento in cui il narratore percepisce di essere in grado di raccontarsi e di avere la possibilità “di riconoscersi in quel che ha detto accettandolo o rifiutandolo […]. L’autostima […] scaturisce e si protrae soltanto grazie alla riconquista del tu” (Idem p. 21), così come della propria soggettività, della propria storia di vita. Un altro importante effetto pedagogico della narrazione, che può scaturire al termine degli incontri con gli altri, è l’“esostima”, cioè l’ampliamento dei fatti e dei ricordi rispetto alla propria storia esperienziale (Idem). Per ciò che si è detto sinora in merito al rapporto tra narrazione ed educazione, educare è narrare e narrare è educare, quando “siano tali da lasciare tracce ed echi rilevanti nella memoria” (Demetrio, 2012, p. 14), quando riescono ad essere promotori di cambiamento.

 

 

 


 

BIBLIOGRAFIA 

Bruner J. S., La ricerca del significato: per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
Demetrio D., Micropedagogia. La ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1992.
Demetrio D. Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Mimesis, Milano, 2012.
Smorti A., Narrazioni: cultura, memorie e formazione del Sé, Giunti, Milano, 2007.