A cura di Alessandra Pantaleone
Molti sono gli usi e le sfumature del termine, ma il significato minimo condiviso è quello di “esaurimento delle motivazioni e delle energie rispetto alla propria professione, d’incapacità a delineare e a dotarsi di un progetto di cambiamento (di sé, della situazione), di disinvestimento e sfiducia nelle possibilità degli utenti, dei metodi, del servizio” (Tramma, 2003, p. 110). L’“invenzione” di questa sindrome ha avuto il merito di evidenziare la fatica fisica e mentale intrinseca nel lavoro educativo legata, sia alle condizioni lavorative e organizzative sempre più incerte e complesse, sia alle difficoltà nella gestione dell’utenza e alle conseguenti ripercussioni soggettive a seguito del lavoro di cura. La problematizzazione della questione del burn-out riferita alle relazioni d’aiuto è relativamente recente. Essa è apparsa alla ribalta negli anni della crisi del Welfare State, cioè dell’intervento dello stato e delle istituzioni pubbliche nel rispondere ai bisogni dei cittadini. Tale situazione ha avviato un processo di ripensamento dell’esclusiva titolarità pubblica in materia di sicurezza e di protezione sociale. Le trasformazioni hanno condotto gradualmente alla configurazione del welfare society: “un assetto di protezione sociale entro cui s’incontrano varie organizzazioni e agenzie che sono direttamente finalizzate a obiettivi di benessere” (Anconelli, Franzoni, 2003, p.25). Si riscontra un aumento delle agenzie private, delle cooperative sociali, del volontariato, del settore no-profit e, in generale, del terzo settore (Ferrario, 2001, 2014), incaricate di rispondere ai bisogni sociali, educativi, assistenziali di un’utenza variegata. A seguito di una delega sempre crescente da parte della società, sugli operatori gravano sempre di più il peso e la responsabilità rispetto alla presa in carico dei problemi sociali irrisolti, specie in un sistema sociale in continua trasformazione. L’operatore si trova, così, sovraccaricato dalle aspettative della collettività, che si confrontano, si scontrano e vanno ad incrementare le aspettative personali. Nel mondo del lavoro e specie nelle professioni di aiuto, ciascuno riversa e ripropone la storia di formazione che ha vissuto, i modelli educativi sperimentati nelle relazioni primarie, con le conseguenti risorse e fragilità. Il mondo delle professioni di aiuto espone più di altri ad un transfert di questo tipo, poiché ha che fare con l’area della cura e della formazione delle persone e richiede di confrontarsi con le aree del disagio, del dolore, della fatica. Ciò richiede inevitabilmente di fare i conti con i propri problemi irrisolti, evocati o riattivati nella relazione con l’Altro. Spesso, attraverso l’azione di cura degli altri, i professionisti della cura tentano di curare i propri antichi bisogni di ascolto, sostegno, supporto, non soddisfatti nel momento opportuno dell’infanzia (Riva, 2004). Il burn-out come stanchezza, senso di svuotamento, demotivazione può anche essere determinato dal fatto che il lavoro di cura è un lavoro complesso, la cui fatica è, spesso, difficilmente riconosciuta da parte dell’utenza o della committenza e, in alcuni casi, è poco legittimata dagli stessi operatori. L’irrompere del burn-out relativo alle professioni di aiuto richiede di porre attenzione al rapporto tra le aspettative degli altri, le proprie e la fatica della realtà quotidiana, nello stesso tempo in cui evidenzia come l’esercizio della professione non sia solo qualcosa di pratico ma, piuttosto, un intreccio vitale in cui confluisce inevitabilmente la propria storia di formazione.
BIBLIOGRAFIA
Anconelli M., Franzoni F., La rete dei servizi alla persona: dalla normativa all’organizzazione, Carocci Faber, Roma, 2003.
Ferrario P., Politica dei servizi sociali: strutture, trasformazioni, legislazione, Carocci Faber, Roma, 2001.
Ferrario P., Politiche sociali e servizi: metodi di analisi e regole istituzionali, Carocci Faber, Roma, 2014.
Riva M.G., Il lavoro pedagogico come ricerca dei significati e ascolto delle emozioni, Guerini Scientifica, Milano, 2004.
Tramma S., L’ educatore imperfetto, Carocci Faber, Roma 2003.