Donald Woods Winnicot e la dipendenza

A cura di Alessandra Pantaleone

 

Winnicott (1896 – 1971), pediatra, psichiatra infantile, psicoanalista inglese, elabora autonome riflessioni sullo sviluppo del bambino e sulla relazione madre-bambino. Rivolge la propria ricerca sulla dialettica tra l’esperienza di separatezza psicologica e quella di fusione con gli altri, in  particolar modo per capire come le persone riescano a raggiungere una differenziazione dal mondo esterno, rimanendovi allo stesso tempo inestricabilmente connesse. Arriva a formulare l’idea di un’area intermedia, definita “spazio potenziale” (Winnicott, 2002), in cui si svolge tale dinamica tra interno ed esterno, tra persona e ambiente. Risultano centrali, a questo proposito, i concetti di interiorizzazione e di esteriorizzazione. L’autore ritiene, infatti, che a seguito delle costanti interazioni con il bambino, le funzioni delle figure genitoriali vengano gradualmente interiorizzate e divengano le basi della struttura psichica in formazione. Tale processo è bilanciato dalle forze equilibratrici dell’esteriorizzazione, processo attraverso cui i desideri, le paure, le immagini del bambino vengono proiettate sugli altri (Applegate, Bonovitz, 1998). I due processi interagiscono costantemente in una dialettica, in cui il processo evolutivo assume l’immagine metaforica di un viaggio che dalla dipendenza conduce progressivamente all’indipendenza (Winnicott, 2002). L’inizio della formazione dell’Io comporta una “dipendenza assoluta”, poiché il bambino dipende dalla relazione e dalle cure fisiche degli altri. Nonostante ciò, egli “è un individuo con un senso nascente o potenziale di sé, già pronto e in attesa di emergere alla vita psicologica tramite le interazioni con gli altri che si prendono cura di lui” (Applegate, Bonovitz, op. cit., p. 27). La maturazione di questi potenziali innati può, dunque, essere favorita o ostacolata dall’ “ambiente di sostegno” della prima infanzia, cioè dai processi e dalle attività di cura fondamentali per la crescita e lo sviluppo. Winnicott identifica tali attività fondamentali: holding, handling e object presenting (Applegate, Bonovitz 1998; Vegetti Finzi, 1986). Esse incominciano prima della nascita e continuano anche dopo la gravidanza, periodo in cui la madre si trova in una situazione di “preoccupazione materna primaria”: essa si identifica con il proprio bambino, cerca di immaginare ciò di cui ha bisogno e di corrispondervi con sensibilità. L’Io supportivo della figura materna garantisce la “continuità dell’esistere” e fornisce un ambiente di sostegno che attenua gli “urti ambientali”, cioè tutto ciò che potrebbe interferire negativamente con i processi di maturazione. Un “sostegno affidabile fornisce durante la prima infanzia la base psicosomatica  per quello che in seguito diventerà un essere umano capace di percepire sé stesso” (Applegate, Bonovitz, op. cit., p. 28), facilita l’acquisizione dell’unitarietà, dell’integrazione, un sano senso del Sé. Non è necessario che la “madre” – ma più generalmente le principali figure e tutti gli aspetti di accudimento – sia perfetta ma, possibilmente, “sufficientemente buona”. Quando ciò non avviene, si produce un arresto dello sviluppo psicologico del bambino: il nucleo dell’individualità autentica rimane sospeso mentre egli avverte le pressioni ambientali e cerca di farvi fronte attraverso gli insufficienti mezzi che possiede. Una carenza materna cronica produce all’interno del Sé una “scissione” tra un “Vero Sé” ed un “Falso Sé” (Bonaminio, Giannakoulas, 2004). Il primo implica la capacità di sentire, esprimere o contenere i propri impulsi, le proprie emozioni; il secondo è una sorta di “maschera” di obbedienza e di accondiscendenza rispetto ai bisogni degli altri, a scapito dei propri. Nella fase della dipendenza assoluta, l’esperienza del bambino è quella dell’ “onnipotenza soggettiva”: egli si trova in uno stato di fusione e non è consapevole dell’esistenza della madre-ambiente; egli immagina che i suoi desideri facciano sì che le cose accadano. Nello stadio successivo della “dipendenza relativa” la madre si adatta in modo sempre meno perfetto alle richieste del bambino, in virtù della sua accresciuta capacità di affrontare da sé le situazioni. Gli spazi interpersonali sempre più frequenti in cui viene avvertito lo scarto tra il bisogno avvertito e la riposta consentono di intensificare il senso di separatezza del bambino. L’illusione di onnipotenza viene progressivamente sostituita al senso di disillusione, fondamentale per il progressivo sviluppo e processo di differenziazione. Il bambino sperimenta l’angoscia di separazione e, per confortarsi in momenti di bisogno e di disagio – oltre che per conservare un’immagine interna della madre “sufficientemente buona”, mentre viene avvertita come “cattiva” in seguito alla sua assenza -, ricerca nell’ambiente inanimato vicino a lui un sostituto simbolico che rievoca la presenza rassicurante della madre. Esso è definito “oggetto transizionale” (Recalcati, 2003), poiché esiste in un’area intermedia tra sé e l’altro, tra persona e ambiente. Attraverso il processo transizionale, si rende possibile il progressivo passaggio da un mondo solipsistico a un mondo in cui è percepibile la realtà esterna. Il bambino incomincia, infatti, a percepire la figura di accudimento come persona separata da sé e inizia a preoccuparsi delle conseguenze fisiche ed emotive della propria esperienza istintuale. Dopo aver sviluppato la capacità di ambivalenza e di preoccupazione, con l’acquisizione del linguaggio e con lo sviluppo della deambulazione eretta, il bambino entra nella fase cosiddetta “verso l’indipendenza”: sviluppa dei propri modi per fare a meno delle cure concrete. L’indipendenza non è mai assoluta: l’individuo sano non si isola dall’ambiente, ma interagisce con esso in modo interdipendente, in una transazione continua tra realtà interiore ed esterna. Non si tratta di uno sviluppo che segue una sequenza lineare, in cui ogni stadio sostituisce quello che lo precede; alcuni aspetti delle esperienze precedenti continuano ad esistere, sebbene in modi diversi, anche nell’adulto. Per gli ulteriori sviluppi del pensiero di Winnicott si rinvia ad alcuni commentatori (Applegate, Bonovitz, 1998; Bonaminio, Giannakoulas, 2004; Recalcati, 2003; Vegetti Finzi, 1986) e alle sue opere principali.

 


BIBLIOGRAFIA

Applegate J.S., Bonovitz J.M., Il rapporto che aiuta. Tecniche winnicottiane nel servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1998.
Bonaminio V., Giannakoulas A. (a cura di), Il pensiero di Donald W. Winnicott, Armando Editore, Roma, 2004.
Recalcati M., Introduzione alla psicoanalisi contemporanea. I problemi del dopo Freud, Mondadori, Milano, 2003.
Vegetti Finzi S., Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano, 1986.
Winnicott D.S., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1968.
Winnicott D.S., Il bambino e il mondo esterno, Giunti-Barbera, Firenze, 1973.
Winnicott D.S., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.
Winnicott D.S., Il bambino e la famiglia, Giunti-Barbera, 1975.
Winnicott D.S., Dalla pediatria alla psicoanalisi: scritti scelti, Martinelli, Firenze, 1981.
Winnicott D.S., Il bambino deprivato: le origini della tendenza antisociale, Cortina, Milano, 1986.
Winnicott D.S., I bambini e le loro madri, Cortina, Milano, 1987.
Winnicott D.S., Sulla natura umana, Cortina, Milano, 1989.
Winnicott D.S., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma, 2002.