Riferimenti pedagogici

a cura di Renza Cerri

 

Il sintetico elenco presentato nel testo potrebbe giustificare un approfondimento in termini di presentazione organica delle teorie e correnti di pensiero che ne stanno alla base.

La mia scelta è invece orientata a rendere attivo il lettore, anche attraverso il  “ripescaggio” alla memoria di quanto già noto, già incontrato, forse problematicamente affrontato in merito.

Questa fase richiede – empiricamente – un lavoro personale carta e penna per crearsi un elenco di “cosa so”, a quali autori e a quali testi ho attinto o so di poter attingere. L’idea chiave da cui muove questa scheda è che se penso, ricordo, annoto, scrivo… mi metto in grado di riflettere e collegare conoscenze a esperienze. Il che è un passo professionalizzante verso l’agire educativo.

Pertanto di ogni riferimento pedagogico citato la scheda presenterà una riflessione o un breve testo significativo e alcuni rinvii bibliografici. Il tutto come incipit per l’approfondimento personale ma anche per la ricerca autonoma di ulteriori possibili radici pedagogiche e/o per la messa in discussione di quelle qui segnalate.

 

a. Il rapporto educazione/formazione umana (l’idea di Bildung).

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“Formazione indica, nell’uso specialistico pedagogico, il processo attraverso cui la persona costruisce la propria identità, la propria personalità, la propria cultura e realizza, quindi, le potenzialità di cui è portatrice.  In altre parole la formazione si riferisce all’essere e divenire uomo, almeno secondo una prospettiva personalista.

Nella prospettiva illuminista, rivisitata attraverso Gadamer, la formazione è la traduzione del concetto di Bildung, che si fonda sull’impossibilità del raggiungimento di verità stabili e definitive, che conduce alla rinuncia della possibilità di descrivere il mondo e a postulare, invece, l’edificabilità del mondo. In altre parole il discorso filosofico non deve più avere come oggetto la descrizione del mondo ma la sua edificazione.

La formazione, quindi, meglio dell’educazione esprimerebbe la costruzione, la strutturazione e la composizione della dimensione esistenziale.

A metà strada tra le concezioni specialistiche e quelle più comuni vi è la concezione secondo cui la formazione esprimerebbe un processo più generale di quello dell’educazione, di cui quest’ultima costituirebbe solo una parte. D’altronde le attuali facoltà universitarie rivolte alla formazione dei pedagogisti, degli educatori e dei formatori sono denominate «Facoltà di Scienze della Formazione».

Dopo aver definito, seppur sommariamente, il concetto di formazione, si può passare ad esaminare le sue intersezioni con altri concetti come la socializzazione, l’inculturazione e l’educazione.

Nella mia prospettiva disciplinare il termine «socializzazione» indica tanto le modalità psico‑sociali che presiedono alla formazione della socialità dell’individuo in una società e in una cultura data, quanto l’azione degli strumenti e delle agenzie attraverso cui l’individuo acquisisce quelle configurazioni comportamentali che gli consentono la progressiva appartenenza e partecipazione alla vita sociale.

Il termine «inculturazione» indica, invece, i processi che orientano la personalità individuale e collettiva degli appartenenti a un dato sistema sociale e alla sua cultura. È ormai ampiamente riconosciuto da molti studiosi che esistono profonde influenze della cultura sulla personalità degli individui.

Infine, il termine «educazione» denota la relazione intenzionale che un adulto, cui la società attribuisce il ruolo di educatore, stabilisce con un giovane per far sì che questi acquisisca, coscientemente e criticamente, il patrimonio dei testi, dei codici, dei valori e delle regole istituzionali che costituiscono la cultura e il tessuto organizzativo della società in cui vive.

Un processo per essere educativo deve essere strutturato secondo un metodo, e cioè secondo una sequenza logicamente coerente di azioni, e deve utilizzare i luoghi e gli strumenti che la società ha predisposto per tale scopo.

L’intersezione di questi tre processi costituisce il processo formativo della persona umana. Questo significa che la formazione può essere intesa come il luogo in cui attraverso l’educazione la persona ricerca l’integrazione delle differenti esperienze che tessono il suo farsi persona.”

(Intervista a Mario Pollo a cura di G.Nicolò, in NPG Dossier Formazione Animatori. Orizzonti culturali, contenuti e metodi per una scuola di animazione, 8, ottobre 2005).

Consultabile al link
http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9799:formazione-animatori&catid=155:le-interviste-pg-e

 

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“La ormai plurisecolare tradizione della pedagogia della Bildung ci ha consegnato questo modello di formazione, che si lega però alla storicità del soggetto, alla sua esistenzialità e alla sua costante apertura, che lo connota come un sé inquieto, sempre alla ricerca o conferma di sé, sempre spinto a ri-pensarsi e ri-orientarsi da una e in una società/cultura sempre più dinamica e multiforme. Ciò rende la Bildung un po’ diversa sia dalla paideia anche come la teorizza Jaeger, poiché orientata verso un sé più stabile ed equilibrato, sia dalla humanitas che guarda all’umanesimo di un io-cogito e alla centralità dell’etica. La Bildung ha echi profondi di questi due modelli precedenti e da quelli si elabora, ma anche li oltrepassa saldandosi a un io-problema, a una forma-inquieta, a una cultura sempre dinamica e senza centro che solo il soggetto deve centrare in sé e per se stesso. Certo è, però, che il modello formativo è neoumanistico: vuole rendere ogni uomo vero uomo, sviluppandone la “vita spirituale” e ponendola al centro, con la sua sintesi dinamica, dell’immagine stessa dell’io, tra l’altro sempre in fieri. Siamo davanti a un neoumanesimo che, anche, si sa spiazzato dal divenire stesso della società (industriale, capitalistica, omologante) e dalle innovazioni stesse della cultura (col dominio da parte della cultura di massa), ma che vuole non perdere l’uomo come coscienza/interiorità/libertà e non vuole perdere il suo emanciparsi/universalizzarsi attraverso la cultura che di lui parla ma in dimensione for ever, richiamandolo a farsi di essa attore responsabile. La Bildung guarda a quell’“uomo umano” di cui parlava Heidegger, ma che non è, né può essere, mai un dato bensì è un compito e proprio perché sempre irretito e in se stesso e nel gioco complesso del tempo, della società e del senso, del dar-senso.”

(F.Cambi, La Bildung una categoria pedagogica significativa anche in Italia, in TopologiK, 10, 2011, p.10)

 

“Ma questa neo-Bildung che cosa trattiene della Bildung per poter essere chiamata ancora “Bildung”? Molto. Primo: la tensione della Bild se pure aperto, pro tempore, dialettica. Secondo: un processo di acquisir forma dell’io che si fa sé e che si scandisce ancora come coltivazione. Terzo: tale processo è cultural-spirituale, anche se ora meno oggettivato e più “vissuto”, ma che tiene fermo – col principio del “coltivarsi” – il dialogo, aperto sì, ma costante con le forme della vita spirituale (ovvero con la cultura), e con tutte. Quarto: la fenomenologia di tale processo, come scambio tra soggettività e oggettività storica e culturale, si fissa epocalmente in una serie di figure (come ricorda Hegel nella Fenomenologia dello spirito, acutamente) che ci parlano e del processo dell’io e di quello della cultura, saldando insieme nuclei di esperienza e tappe di un processo formativo.”

(F.Cambi,  Dibattiti in corso: sulla Bildung e dintorni, in Topologik, 10, 2011, p.67)

Consultabili al link http://www.topologik.net/Numero_10.htm

 

b. La dimensione e la funzione della cultura
nello sviluppo psicologico, cognitivo, sociale del soggetto (Bruner)

“ Partiamo dal concetto stesso di cultura, in particolare dal suo ruolo formativo […]. I sistemi simbolici di cui gli individui si servono per costruire significato erano già disponibili, erano già «lì», profondamente radicati nella cultura e nel linguaggio. Essi costituivano un insieme molto particolare di strumenti di cui la comunità disponeva, che una volta utilizzati facevano di chi li utilizzava un’immagine di quella comunità […] Lo spartiacque dell’evoluzione umana fu superato quando la cultura divenne il fattore principale nel dare forma alla mente di coloro che vivono nella sua influenza. La cultura come prodotto della storia più che della natura, divenne allora il mondo a cui adattarsi, ma anche l’insieme degli strumenti per farlo. […] Sono la partecipazione dell’uomo alla cultura e la realizzazione delle potenzialità della sua mente attraverso la cultura che rendono impossibile la costruzione di una psicologia umana su base puramente individuale […].

In virtù della partecipazione alla cultura, il significato è reso pubblico e condiviso. Il nostro modo di vivere adattandoci alla cultura dipende dai significati e dai concetti condivisi, e nello stesso tempo dipende dalle modalità del discorso, altrettanto condivise, che servono a negoziare le differenze di significato e di interpretazione. […]

Una psicologia culturalmente sensibile [] è e deve essere basata non solo su ciò che la gente realmente fa, ma su ciò che dice di fare e su ciò che dice essere la causa di ciò che fa. Si occupa anche di ciò che la gente dice a proposito di azioni compiute da altri e sulle relative motivazioni. E, soprattutto, si occupa di come gli individui dicono che è il proprio mondo.”

(J.Bruner, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bolati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 27-31)

 

L’indagine di Bruner si affianca ed incrocia per molti versi quella antropologica di Clifford Geertz (Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1987), quelle di Howard Gardner e di David Olson,  e apre allo sviluppo di quell’approccio narrativo che assume notevole rilievo anche in chiave pedagogica (in Italia il riferimento è in particolare ai lavori di Andrea Smorti e Duccio Demetrio).

 

 c. Il senso e il ruolo dell’esperienza tra natura e cultura (Dewey)

I testi di John Dewey sono alla base (sia come input fecondi, sia come oggetti critici) dell’evoluzione del pensiero pedagogico e delle pratiche educative del ‘900.

Il costrutto di esperienza ne sta a fondamento: l’esperienza è interazione dell’uomo col mondo (natura, cultura, soggetti, oggetti,…) e “forma” poiché attraverso la continuità crea abitudini che consentono e favoriscono il perpetuarsi, lo scorrere nel tempo di queste interazioni fondanti per l’essere umano; attraverso la crescita – ovvero lo sviluppo che deriva appunto dall’appropriarsi, consolidare, superare quanto esperito in continuità – la persona aumenta la sua capacità di interazione con il mondo e quindi rafforza la qualità del suo esperire; infine la dinamica educativa che se ne avvale poggia sul principio di interazione fra il soggetto e l’oggetto dell’esperienza stessa. A questo proposito ci sono elementi (segnatamente fra quelli oggettivi) che possono essere intenzionalmente regolati dall’educatore, mentre quelli soggettivi restano in mano al soggetto stesso, che, al di fuori dei contesti istituzionalizzati, può continuamente costruire esperienza  avvalendosi degli oggetti culturali e naturali che lo circondano.

Una chiave interpretativa interessante come esercizio potrebbe essere la ricerca di quanto applicabile alle azioni proprie dell’animazione culturale e dei processi informali si rinvenga nei testi deweyani, che per lo più hanno a traccia, invece, la scuola.

Le prime traduzioni italiane di Dewey furono edite da La Nuova Italia (alcuni hanno avuto recenti riedizioni con altre case editrici):

J.-Dewey,. Childs L. (1981), La frontiera educativa, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.
Dewey (1981), Esperienza e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.
id., (1984), Democrazia e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.
id., (1985), Scuola e società, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.
id., (1986), Come pensiamo, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.
id., (1987), Il mio credo pedagogico, tr. it., La Nuova Italia, Firenze.

Più di recente:
Dewey , N.Goodman, Architettura formativa, Unicopli, Milano, 2008.
Dewey J, Esperienza, natura e arte, Mimesis, 2015.
id., Arte come esperienza, Aestetica, 2007

 

 d. Le suggestioni provenienti dal modello ecologico (Bronfenbrenner)

In Ecologia dello sviluppo umano (Il Mulino, Bologna, 2002) Urie Bronfenbrenner presenta il modello che descrive l’interazione individuo – ambiente, che si qualifica come un modello metodologico di indagine e nel frattempo mette a fuoco il fatto che ogni soggetto in via di sviluppo è un’entità dinamica in costante e reciproca interazione con l’ambiente in cui vive.

Questo ambiente è “ecologico” poiché si struttura a più livelli interconnessi (microsistema, mesosistema, ecosistema, macrosistema).

Se il microsistema è il luogo dell’interazione diretta (bambino-madre, ad esempio), il mesosistema si compone di più microsistemi (es. famiglia e scuola) di cui il soggetto fa contemporaneamente esperienza; l’esosistema è costituito dal contesto ambientale che solo indirettamente influisce sul soggetto (es. il sistema di relazioni della famiglia); il macrosistema è costituito dagli stili di vita, dalle credenze, dalle forme culturali, economiche, religiose ecc.

L’idea-chiave che ci interessa è proprio quella di un “mondo vitale” in cui siamo immersi che ci vede diversamente attivi, diversamente protagonisti, ma sempre costantemente sottoposti a dinamiche complesse e reciprocamente determinate.

Per un’ardita ricognizione in campi affini, seppure differenti, e lungo piste non troppo frequentate a proposito dell’oggetto di questo saggio, è possibile addentrarsi anche su altre letture.

Si tratta di autori non collegati direttamente alla prospettiva di Bronfenbrenner, ma da considerarsi ecologicamente orientati quali interessanti opportunità di “aprire orizzonti” sia sul versante della conoscenza, sia su quello della critica all’interpretazione burocratica e rigidamente “istituita” dell’esperienza di formazione dell’uomo.

Propongo tre autori: Gregory Bateson, Ivan Illich, Paulo Freire: anche in questo caso la sfida al lettore è la ricerca di suggestioni interessanti, a ruota libera e impiegando tutti gli strumenti di esplorazione che si possono reperire in rete e non.

 

e. La dimensione della complessità e l’urgenza culturale della relianza (Morin)

“E’ necessario sviluppare l’attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. E’ necessario insegnare i metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche fra le parti e il tutto in un mondo complesso” (E.Morin, 2001, p. 12)

 

“Ogni sguardo sull’etica deve percepire che l’atto morale è un atto individuale di relianza: relianza con un altro, relianza con una comunità, relianza con una società, e, al limite, relianza con la specie umana.

Così c’è una fonte individuale dell’etica, che si trova nel principio di inclusione, che inscrive l’individuo in una comunità (auto-etica) […]

Nello stesso tempo c’è un’origine sociale che è nelle norme e nelle regole che inducono o impongono agli individui un comportamento solidale (socio-etica) . […] Le fonti dell’etica sono anche naturali nel senso che sono anteriori all’umanità […] si trasmette attraverso la memoria genetica (antropo-etica).” (E.Morin, 2005, p.6)

 

Dal punto di vista pedagogico è  necessario considerare l’insieme del pensiero di Edgard Morin: non solo i testi che esplicitamente si riferiscono a scuola, istruzione, educazione, ma anche il ben più articolato percorso esplicitato nei sei volumi de Il Metodo (La natura della natura, pubblicato in Francia con la Seuil nel 1977, in Italia con Raffaello Cortina nel 2001; La vita della vita, Seuil 1980, Raffaello Cortina 2004; La conoscenza della conoscenza, Seuil 1986, Raffaello Cortina 2007; Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi, Seuil 1991, Raffaello Cortina 2008; L’identità umana, Seuil 2001, Raffaello Cortina 2002; Etica, Seuil 2004, Raffaello Cortina 2005).

La leva formidabile del suo pensiero è quell’idea di complessità che non distrugge i sentieri antichi e vitali della logica, ma piuttosto ricompone quanto il travisamento della linearità aveva scomposto e la trasforma in “dia-logica”. Il che rinvia all’altro costrutto “relianza” (che M. importa dal sociologo Marcel Bolle del Bal) che unisce relier e alliance, legare e alleanza (un verbo e un sostantivo, un’azione e una “cosa”), esprimendo il significato di unione solidale che assume perciò stesso significato etico di urgenza culturale.

 

Per chi lavora nell’educativo sono strumenti importanti di riflessione e autoconsapevolezza:

E.Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
id., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001.
id., Educare gli educatori. Una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva, EdUP, Roma, 2008.
id., Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina, Milano, 2015.