Ecopedagogia

a cura di Pasquale Renna

 

L’ecologia (il termine deriva dal greco ‘oikos’: casa, e ‘logos’: discorso) è lo studio della vita, con particolare attenzione alle relazioni tra organismi ed ambiente. Tale ambito di ricerca, dunque, presta particolare attenzione a “tutte le relazioni o i modelli di relazione tra gli organismi ed il loro ambiente” (Definizione del Webster’s Unabridged Dictionary).

L’ecopedagogia rappresenta una complessa e articolata riflessione-azione sulle immense possibilità di apprendimento dalle esperienze e dai contesti, in rapporto sia agli ambienti naturali sia agli ambienti costruiti dall’uomo. Tale riflessione-azione si è sviluppata, nell’ambito degli studi scientifici in generale e, più nello specifico del merito della presente trattazione, pedagogici, soprattutto in seguito alla grave crisi ecologica che il pianeta Terra attraversa già a partire dalla seconda metà del XX secolo, nell’ottica della promozione di  coscienze critiche, in grado di valutare gli impatti sull’ambiente delle concezioni e delle politiche umane, e con l’obiettivo di pensare e attuare forme di relazionalità non incentrate su categorie quali quelle del “profitto” e dello “sfruttamento”, ma su categorie quali quelle della “coappartenenza” e della “convivialità” (Illich, 2013) di tutti gli esseri e i sistemi viventi.

L’ecopedagogia raccoglie alcuni tra gli orientamenti pedagogici e didattici più ricchi di sviluppi, ovvero quelli riferiti all’ambiente nelle sue molteplici interconnessioni e nelle sue dinamiche comunicative e formative, a partire dalla dimensione umana per comprendere la più vasta dimensione delle alterità non umane, nel contesto della comune Casa Terrestre. Essa esplica la sua riflessione-azione pedagogica sì negli ambienti formali (famiglia, scuola, enti locali, istituzioni culturali, ecc.), ma soprattutto in quelli non formali ed informali dell’apprendimento (ambienti virtuali, parchi naturali, ecc.).

Il mattone (la città) e il ciuffo d’erba (il paesaggio) sono i fotogrammi di una pellicola culturale che l’allievo può osservare, capire, modificare attraverso l’azione diretta e l’immaginazione. Posto dentro all’ambiente, l’allievo può cavalcare – insieme – la conoscenza e la fantasia: ineludibili per maturare un’elevata sensibilità etico-civile per i problemi della salvaguardia-protezione-difesa del proprio ambiente sociale e naturale. La conoscenza ‘diretta’ del proprio mondo di vita, quando si avvale del cristallino dell’immaginazione, è la sola in grado di responsabilizzare l’allievo a una pratica ecologica vincente contro ogni forma di abuso e di saccheggio consumati nei confronti del ‘mattone’ e del ‘ciuffo d’erba’.

[Frabboni F., Per un decalogo dell’educazione ambientale, in Bonfanti P., Frabboni F., Guerra L., Sorlini C., Manuale di educazione ambientale, Editori Laterza, Roma-Bari 1993, p. 23.]

In un’ottica sistemica, per quanto attiene agli ambienti formali dell’apprendimento, non si può non prendere come punto di partenza la scuola. In tal senso, va osservato come “la […] scuola, aprendosi alle esperienze del fuori scuola e ricostruendo i saperi codificati attraverso le seduzioni dei saperi più liberi e vitali dell’ambiente, ha la concreta possibilità di motivare bambini e ragazzi a scoprire segnali di saperi ancora inesplorati, ancora inattuali, carichi di alterità. In tal modo, i saperi acquisiti nel fuori scuola, con una “ondata di ritorno”, arricchiscono ‘il significato’ delle esperienze educative del dentro scuola. D’altra parte, era proprio Dewey a porsi retoricamente con profonda saggezza la domanda: “Che cos’è l’educazione se non la continua ricostruzione dell’esperienza?”

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, pp. 119-120]

Tutto ciò a partire dalla consapevolezza che “la natura dell’esperienza può esser compresa soltanto col notare che include un elemento attivo e uno passivo particolarmente combinati […]. La sola attività non costituisce esperienza. È dispersiva, centrifuga, dissipante. L’esperienza come tentativo implica un cambiamento, ma il cambiamento non è che una transizione senza significato a meno che non sia coscientemente connesso con l’ondata di ritorno delle conseguenze che ne defluiscono. Quando proseguiamo l’attività nel senso di sottoporci alle conseguenze di essa, quando il mutamento determinato dall’azione si riflette in un mutamento apportato in noi, non si può più parlare di puro flusso, poiché esso si carica di significato e noi impariamo qualcosa” (Dewey 1976, p. 179).

Uscire dalla scuola per incontrare l’ambiente circostante significa, dunque, prendere coscienza delle contraddizioni del tempo che stiamo vivendo, un tempo caratterizzato da uno straordinario sviluppo tecnico che parrebbe liberare l’umanità da molte schiavitù del passato, legate alla salute, alle comunicazioni, al sapere, ecc., accompagnato dall’emergere di un potere umano sull’ambiente stesso dal carattere fortemente distruttivo, che porta l’impronta dello sfruttamento indiscriminato, quasi che l’uomo non faccia parte del Pianeta, ma ne sia un dominatore assoluto.

Uscire da scuola per scoprire le meraviglie del mondo significa anche imbattersi e meravigliarsi (in questo caso nella forma dell’indignazione) delle grandi contraddizioni, delle ingiustizie, delle privazioni che stili di vita particolari possono imporre alla restante parte del mondo con una indifferenza che sfiora la crudeltà. Crudeltà nei confronti delle piante, degli animali, degli ecosistemi, ma crudeltà anche nei confronti di uomini, di donne, di infanzie che sono trattate come non-persone perché non funzionali ed estranee al circolo elitario del benessere, per il quale sono le principali reali vittime sacrificali e sacrificabili. Educare a sviluppare un pensiero ecologico e delle connessioni significa, dunque, promuovere la capacità di “guardare lontano” ma anche “guardare nel profondo”. Non solo, allora, riuscire a intravedere quanto ci accomuna con persone che vivono agli antipodi rispetto ai nostri famigliari luoghi di appartenenza ma, forse più importante, riuscire a elaborare e a gestire immaginativamente scenari alternativi di relazioni possibili con l’intera umanità e, così, prendere posizione e rivendicare scelte. Ma questo significa, al pari, accettare di guardare senza pregiudizio alle manifestazioni più contraddittorie della relazione uomo-natura, soprattutto quando questa riveli il suo volto più decadente. Quando cioè si svelino le impossibilità di accedere a opportunità di benessere, anche senza bisogno di pensare quegli scenari “apocalittici” della grande miseria di alcune genti che sopravvivono a stento all’ombra di immensi grattacieli che hanno rubato loro non solo terra ma anche cielo. Basti pensare, infatti, alle periferie delle miriadi di quartieri satelliti delle nostre medio-grandi città, agli spazi rifunzionalizzati dei centri di accoglienza per migranti, di notte nelle stazioni, ai vagoni dei treni parcheggiati su binari morti, ai parchi pubblici.

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, pp. 128-129]

 

Una scuola all’aria aperta, dunque, si fa promotrice di un approccio sistemico alle discipline, le quali vengono in luce a partire dalle loro intrinseche connessioni e non a partire dai lessici specialistici. Ogni disciplina scolastica ha ragion d’essere in quanto illumina, con un particolare e specifico punto di vista, la Casa comune in cui abitano tutte le specie viventi, inclusa la specie umana. In tal modo, il tutto (l’ambiente) diviene il punto di partenza per comprendere la parte (la disciplina specialistica), e con tale approccio è possibile insegnare che le singole parti hanno senso solo in relazione al tutto, e non di per se stesse. In tal modo diviene possibile formare ad un pensiero sistemico, che sappia operare quelle connessioni che consentono di vedere, oltre la siepe degli specialismi, come la singola parte si alimenta grazie alla connessione vitale con le altre.

Nella scuola all’aria aperta, la scoperta da parte degli alunni dei legami che, nel mondo naturale, collegano elementi diversi in sistemi reticolati orientati alla sopravvivenza, permette di intrecciare saperi diversi realizzando, nella concretezza dell’apprendimento in situazione, il superamento della frantumazione disciplinare. Gli alunni scoprono il significato dei saperi specialistici in quanto li ritrovano “tutti interi” nell’esperienza concreta. Qui, nella scuola della natura, si connettono transdisciplinarmente elementi di fisica, chimica, geometria, biologia, poesia, musica ecc., scoprendole nelle forme, nei colori, nei ritmi, nelle suggestioni della natura. Per fare un solo esempio, la molteplice coesistenza di forme presenti in un bosco se, da un lato, attiva tutti i potenziali disciplinari (linguistici, matematici, poetici, fisici, chimici), permette di comprendere come la complessa realtà del bosco possa essere solo transitoriamente ricondotta a una sola di tali discipline. Si tratta, così, di mostrare il carattere temporaneo delle semplificazioni disciplinari rispetto alla complessità della natura e della conoscenza.

 

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, p. 143]

 

Il pensiero sistemico consente di vedere l’ambiente come archivio di saperi. Quando, in generale, ci si reca in archivio non si può non considerare come ogni singolo documento non possa sussistere se non conservato adeguatamente in un luogo specifico che è il “suo” luogo, al di fuori dal quale il documento diventa irreperibile e perde la sua collocazione specifica.

 

In tal senso, l’ambiente si presenta come un grande ‘archivio’ di documenti in cui è scritta e conservata la storia biologico-evolutiva e la storia culturale dell’umanità. Un archivio di saperi in cui aver modo:

  • di conoscere e recuperare la varietà e la diversità delle forme, dei colori, delle trame e delle strutture materiche, dei percorsi evolutivi e dei tempi dell’ambiente naturale e antropico, ma anche la varietà e la diversità delle lingue, delle etnie, delle culture, delle aspirazioni e delle fedi della molteplicità dei suoi abitanti;
  • di avanzare ipotesi da attualizzare in idee progettuali per ripensare e ricomporre spazi e tempi slegati e monotoni, muti e oppressivi, ancor più spesso violenti, consapevoli della necessità di operare una lettura analitica che sappia tener conto del bisogno di una loro produttiva integrazione.

Sullo sfondo delineato appare evidente la necessità di partire dall’analisi dei rapporti conflittuali tra l’uomo (con la sua scienza, la sua tecnologia, la sua politica, la sua economia, i suoi modelli di educazione) e l’ambiente (il mondo in cui vive, il pianeta, il cosmo), alla ricerca delle origini di quella profonda ‘frattura’ che ha determinato la lunga storia di prevaricazioni e di violenze esercitate nei confronti delle risorse naturali e dei beni culturali. Tutto ciò per proporre interventi educativi volti a operare una profonda modificazione dell’atteggiamento di generale indifferenza nel modo di pensare il presente e il futuro dell’uomo come estranei a quelli della natura.

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, p. 147]

 

Si rende necessario, dunque, promuovere a partire dalla scuola, ma proiettandosi in tutti gli ambienti formativi informali che vanno dalle istituzioni del territorio all’associazionismo, al una formazione che abbandoni la logica dicotomica di carattere cartesiano, che vede l’uomo come una res cogitans – soggetto che si impone sulla res extensa – oggetto del Pianeta per proiettarvi i propri progetti come su una tabula rasa, per abbracciare, all’opposto, la logica integrata e sistemica che vede gli esseri umani come una specie strettamente legata a tutte le altre specie del Pianeta in una solidarietà che si fonda sul comune abitare la stessa Casa, rispetto alla quale ci si deve porre in un atteggiamento di custodia. Quelli che, in una logica di tipo cartesiano, non sono che meri oggetti estesi, da trattare a piacimento, in una logica sistemica divengono compagni di viaggio, da rispettare e conoscere nella loro inviolabile dignità.

Il pensiero ecologico è, dunque, fondato su un sistema che mette in relazione quantomeno tre fondamentali istanze dell’umano: l’istanza biologica, l’istanza cognitivo-emotiva, l’istanza etico-esistenziale. La pratica di tale modo di interpretare la relazione che ciascuno intrattiene con il mondo mette in luce il sistema dei molteplici vincoli che sottendono l’agire umano. In tale prospettiva, il pensiero ecologico è sistemico perché predispone alla lettura complessa delle circostanze di vita e di esperienza dell’unità uomo-natura.

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, p. 130]

 

Una lettura complessa dell’esperienza dell’unità uomo-natura non può non condurre ad affermare che la natura non rappresenta un fondo da cui estrarre i beni necessari o voluttuari che servono all’uomo, ma rappresenta una sinfonia di viventi e non viventi che può armonizzarsi vicendevolmente soltanto in una logica di convivialità (Illich, 2013). In tale quadro, non si tratta di assumere un atteggiamento irenistico rispetto alla natura, ma di comprendere che anche le “dure” leggi che regolano il regno animale, vegetale e minerale sono funzionali al mantenimento della vita in un sapiente equilibrio ciclico, che non deve essere turbato dall’invadenza di una specie che avoca a sé la signoria su tutto. Tale signoria, se mai possa darsi, non può essere interpretata nel senso della sapiente amministrazione degli equilibri tra gli abitatori della Casa comune, e non certo nel senso della dispotica pretesa di disporre capricciosamente di ogni essere quasi fosse un oggetto.

Il concetto di convivialità, così, si lega armoniosamente al concetto di indisponibilità: le alterità non-umane non sono a disposizione dell’uomo. La presa di coscienza di non poterne disporre chiude la pretesa dell’avere e apre la possibilità dell’essere-insieme. L’approccio ecologico, in un’ottica formativa, dunque, apre alla dimensione del thaumazein, della meraviglia di fronte ad alterità da conoscere in un atteggiamento di curiosità e di confronto scevro da precomprensioni.

 

A Illich si devono alcune puntuali precisazioni in merito alle cifre della convivialità, proposta come radicale alternativa alla produttività del sistema e della logica consumistica organizzata in funzione di una crescita indefinita e irresponsabile che non ammette limiti ‘all’industrializzazione dei valori’. Un processo di crescita ove, precisa Illich, mentre ‘la produttività si coniuga in termini di avere, la convivialità in termini di essere’. Parole, queste, che sottolineano l’urgenza di una azione volta a resistere ai rischi di riduzione della natura a oggetto disponibile ad ogni forma di sfruttamento e di mercificazione. Si tratta, come è evidente, di un invito rivolto al mondo dell’educazione al fine di salvaguardare la natura e, con essa, l’umanità dell’uomo, i legami sociali, l’ambiente di vita. All’educazione il compito di promuovere stili comunicativi improntati a un agire dialogico e responsabilmente solidale.

[Pinto Minerva F. in Frabboni F., Pinto Minerva F., Una scuola per il Duemila. L’avventura del conoscere tra banchi e mondi ecologici, Sellerio, Palermo 2014, pp. 136-137]

 

L’ecopedagogia, pertanto, non può che porre con forza l’istanza etica della indisponibilità degli inquilini della Casa comune planetaria ad essere utilizzati per meri fini consumistici, e della convivalità come atteggiamento di salvaguardia e promozione nel pieno rispetto delle differenze di ciascuno. Le differenze offrono all’uomo l’opportunità di compiere quel “viaggio” al di là di se stesso, in un’ottica di decentramento cognitivo e affettivo, che lo conduce a sentirsi parte di un tutto, partecipe della sorte comune, e impegnato nella custodia dei singoli abitatori della Casa comune e delle loro connessioni vitali. In tal senso è stato con grande appropriatezza assegnato alla nostra Casa comune l’antico nome mitologico di Gaia, che era per i Greci la progenitrice di tutti, nell’ambito della quale le interazioni sistemiche rendono possibile la vita in un equilibrio mirabile. Molto opportunamente, a tal proposito, Humberto Maturana ha osservato che

 

è la circolarità della sua organizzazione che rende un sistema vivente un’unità di interazioni, ed è questa circolarità che esso deve mantenere per rimanere un sistema vivente

[Maturana in Maturana H., Varela F., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia 1985. p. 55].

 

 


 

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