Bertin

a cura di Pasquale Renna

 

Giovanni Maria Bertin nacque il 7 settembre 1912 e morì il 15 novembre 2002. Conseguì la laurea in Filosofia presso l’Università statale di Milano (1935). Dopo aver ottenuto la libera docenza nel 1949, è stato insegnante di Storia e Filosofia nei Licei (1937-53), docente incaricato all’università statale di Milano (1945-53), professore di ruolo di Pedagogia all’università di Catania (1953-57) e di Bologna (dal 1957) e preside della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Bologna (1957-68).

Bertin fu uno dei più maturi e consapevoli promotori del problematicismo pedagogico italiano. Allievo di Antonio Banfi, fece sua la tesi banfiana per cui l’intera esperienza umana non consente la possibilità di raggiungere un sapere assoluto di tipo metafisico, da cui derivino leggi certe applicabili secondo una dogmatica inoppugnabile, che attinge a verità eterne e meta-storiche.

L’esperienza umana, in tale ottica, è problematica, nel senso che ogni teoria attinge alla prassi ed ogni pensiero prende forma a partire dalla realtà. La prassi e la realtà, quindi, si presentano come sistemi aperti nell’ambito dei quali le attività progettuali umane sono chiamate a ridefinirsi costantemente. Non bisogna pensare, in ogni caso, che la prassi e la realtà siano opache quidditates; all’opposto è il caso di dire che esse, illuminate da una ragione impostata in modo aperto e antidogmatico, rappresentano gli sterminati campi di gioco all’interno dei quali si sviluppano le infinite possibilità dell’esistere.

 

Definiamo ‘forte’ la ragione che si mantiene fedele all’istanza di una sistemazione dell’esperienza perennemente rinnovata e rinnovabile, protendendosi ad orizzonti che riluttano ad ogni limitazione e chiusura, e rifiutando di trincerarsi dietro costruzioni dogmatiche ed astratte, in funzione di aspetti e valori privilegiati (che possono dipendere anche dalla pressione di forze che gareggiano per il potere culturale o politico, o politico-culturale) a danno di prospettive più ampie e comprensive. È forte se assolve il suo compito teoretico con rigore critico: da non identificare col rigore deduttivo delle matematiche e col rigore sperimentale delle scienze deduttive, ma da specificare nei suoi criteri e nelle sue regole generali a seconda dei vari settori di ricerca e di attività che costituiscono problema. È forte se rifiuta costantemente l’unilateralità del settorialismo cui potrebbe indurla, ad esempio, il successo tecnologico che accompagna il progresso specialistico; se non si arrende di fronte al ‘plurale’ e al ‘diverso’ soccombendo ad essi o ricusandoli aprioristicamente come non suscettibili di indagine filosofica, ma esercita nei loro riguardi opera di comprensione e di analisi: cercando di utilizzarli provocandoli e  sfidandoli in tal senso, come stimoli di ampliamento e di approfondimento (per l’appunto, di ‘problematizzazione’ dei propri orizzonti; se non si limita a costruire sapere e a concludersi in esso, ma assicura l’unità del momento teoretico e del momento pragmatico secondo quanto sollecita la coscienza culturale e sociopolitica contemporanea nel richiedere l’unità tra ragione e storia, ragione e trasformazione sociale. Inversamente, potremmo dire che la ragione è debole (o piuttosto è resa debole) se manca alla richiesta di rigore nei vari campi cui si interessa; se si limita al “conoscere” ed esercita al suo interno una funzione riduttiva di dati e di esperienze; se assorbe il diverso e annulla il “plurale” a vantaggio di un’unità dogmaticamente intesa; se si lascia strumentalizzare e deformare da tentazioni irrazionali od extrarazionali.

[Bertin G. M., Costruire l’esistenza. Il riscatto della ragione educativa (con M. Contini), Armando, Roma 1983, pp. 42-43.]

 

Tale ragione consente, kantianamente, di sperimentare i limiti delle possibilità dell’intelletto in rapporto alla realtà. All’interno della verifica di tali limiti si svolge l’ampia e articolata riflessione pedagogica dell’Autore.

La pedagogia, nell’ottica di Giovanni Maria Bertin, è scienza nel senso che affonda le sue radici nel concetto di ragione-in-relazione-all’esperienza sopra menzionata, e si esplica, dunque, in quanto ricerca, intesa in senso fenomenologico, dei dati costitutivi dell’esperienza. Tali dati costitutivi, per Bertin, sono la relazionalità (essa definisce la struttura dell’esperienza, che si fonda sulla coappartenenza di soggetto e oggetto), l’antinomicità (essa esplica l’irriducibilità dei poli dialettici dell’esperienza, svelando come astratte tanto quelle posizioni che assolutizzavano il soggetto, come l’Idealismo, quanto quelle posizioni che assolutizzavano la Natura, come il Positivismo), la problematicità (essa esplica la natura dialettica tra io e mondo, nell’ambito della quale ogni esperienza è segnata dalla finitudine e dalla provvisorietà) e la razionalità (essa esplica l’istanza pedagogica dell’integrazione razionale dell’esperienza, all’interno della quale è presente, se pur espressa kantianamente come idea-limite, l’istanza dell’Assoluto).

La pedagogia bertiniana trova una mirabile sintesi nel concetto di “progettazione esistenziale”, che rende conto della concezione della soggettività dell’Autore, una soggettività che si costruisce proprio sulla base di una polarità dialettica tra razionalità e relazionalità.

 

Compito fondamentale della progettazione è […] far sì che il complesso dei condizionamenti che gravano sull’esistenza personale (di cui alcuni possono contare più di altri, che possono anche far scomparire) – di  carattere biogenetico (per cui “leggiamo” nei tratti di qualcuno i tratti di ascendenti che abbiamo conosciuto […]) – non abbiano un tale peso per cui essa risulti un semplice prodotto di tali condizionamenti. La progettazione deve contribuire a mantenere spazio, e ad allargarlo, ad un processo di autoformazione che riesca a controllare le influenze svariate di cui si è detto, ed anzi ad avere la meglio su di esse, in una prospettiva (etica) per cui il ‘non confondersi con gli altri’ significa costruire se stesso non contro gli altri, né separatamente da essi e senza il loro apporto, ma insieme agli altri. In ciò il ‘sii te stesso’ – forse più suggestivo dal punto di vista delle teorie della ‘creazione’, ma equivoco per il suo presupposto essenzialistico – è sostituito dall’imperativo ‘costruisci te stesso’ di netto carattere problematicista ed esistenziale (e pertanto sdogmatizzato dal riconoscimento della necessità psicologica e sociale ma anche etica ed educativa, del rapporto con gli altri).

[Bertin G. M., Costruire l’esistenza. Il riscatto della ragione educativa (con M. Contini), Armando, Roma 1983, p. 114.]

 

La metodologia di Giovanni Maria Bertin si esplica nella sua proposta di “educazione alla ragione”, che tiene conto del fatto che oggi “le forze dell’intelligenza e della tecnica, volute come dominanti, impediscono, con la loro tendenza all’astratto, al pianificato, la costituzione di un mondo in cui i valori emozionali ed esistenziali abbiano possibilità di vita e di sviluppo” (Bertin, L’ideale estetico, 1947), e si apre alla formazione di un’umanità vitale, creativa e criticamente problematica.

 

 


 


BIBLIOGRAFIA

 

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