a cura di Marco Rotondi
Sotto questa etichetta troviamo oggi tutta una serie di attività formative che vengono svolte all’aria aperta a fini didattici per sviluppare determinati comportamenti dei partecipanti sotto la conduzione di un trainer appositamente preparato.
Le attività possono essere:
- Outdoor Small Techniques: brevi e semplici esercitazioni all’aperto,
- Campi Outdoor Preimpostati: esercitazioni svolte in campi permanenti appositamente attrezzati ubicati presso alberghi o scuole di formazione,
- Outdoor Training: veri e propri percorsi formativi che si svolgono in sessioni prolungate nella natura.
- Outdoor Management Training: un’evoluzione dell’outdoor training, in cui è spinta al massimo la dimensione formativa e la finalizzazione dell’apprendimento, utilizzando strumenti caratteristici della formazione manageriale: videoregistrazioni dei comportamenti agiti, rielaborazioni approfondite sul “qui e ora”, feedback strutturato quantitativo fra i partecipanti, progettazione focalizzata su competenza target, confronto a 1-3 mesi in un workshop di follow up, centrature sull’individuo attraverso Piani Individuali di Sviluppo di una Competenza.
Le attività pratiche all’aperto mettono i partecipanti di fronte a problemi da risolvere attraverso una loro azione diretta, mirando ad un apprendimento che, attraverso una riflessione sui risultati e sulle modalità del loro agire, raggiunga l’obiettivo formativo prefissato, per esempio: consapevolezza del proprio livello di fiducia negli altri o maggiore flessibilità davanti ai cambiamenti.
La formazione outdoor non è quindi da confondere con situazioni estreme, che mettono in effettivo pericolo le persone e che sono tutte direttamente o indirettamente riconducibili allo spirito e alla pratica dei cosiddetti corsi di sopravvivenza, che utilizzano situazioni estreme “in se stesse”, guardando alle attività outdoor proposte come agli obiettivi da raggiungere.
Se, per esempio, i partecipanti vengono invitati a calarsi giù da un ponte con i piedi attaccati ad un elastico, l’unico obiettivo che vi si può intravedere è quello di vedere se superano questa specifica situazione (di pericolo senza senso) e riescono a sopravvivere.
In un’esperienza di formazione outdoor, invece, non interessa tanto il reale livello di difficoltà da affrontare, quanto la sua percezione soggettiva e il pieno coinvolgimento emotivo dei partecipanti che possono così essere in grado di mobilitare e mettere in gioco tutte le proprie energie disponibili.
Dall’altra parte non bisogna neanche confondere la formazione outdoor con le attività d’intrattenimento, animazione o incentive.
Se per esempio portiamo dei manager all’autodromo di Monza a pilotare un’auto o su una barca a vela a vedere l’America’s Cup, probabilmente non otteniamo alcun apprendimento aggiuntivo rispetto alla vita normale; al massimo i partecipanti avranno sentito qualche stimolo di socializzazione o la spinta agonistica propria di una prestazione sportiva.
Nella formazione outdoor invece, contrariamente a quello che succede nel survival o nell’animazione, le attività fisiche sono solo gli strumenti, i mezzi utili per rilevare e sviluppare le potenzialità personali e/o del gruppo. La loro importanza è secondaria; per esempio saper andare in barca a vela per l’outdoor training non è il fine (come avverrebbe se la stessa esperienza venisse svolta in una logica survival o di animazione) ma rappresenta solo un mezzo, attraverso il quale poter far sperimentare determinate situazioni e comportamenti ai partecipanti inducendo loro un forte ancoraggio, anche emotivo, per gli apprendimenti che rappresentano per il trainer l’unico vero obiettivo al quale riportare tutte le attività svolte.