A cura di Alessandra Pantaleone
Wilfred Ruprecht Bion (1897- 1979), psicoanalista britannico, figura di spicco della ricerca psicoanalitica, è artefice di importanti elaborazioni della teoria psicodinamica della personalità, tali da istituire un filone “bioniano” della moderna psicoanalisi. Nel 1933 entra nel Tavistock Institute dove inizia a studiare le cause dell’insorgenza della psicosi. Ciò lo conduce a studiare i primissimi stadi di vita e la nascita del pensiero, elaborando la sua teoria della mente (Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, 1967). Durante la seconda guerra mondiale organizza dei gruppi di riabilitazione occupazionale per militari. Questa esperienza gli consente di sviluppare la sua teoria dei gruppi (Esperienze nei gruppi, 1961). Bion elabora, inoltre, una critica del pensiero scientifico occidentale, accusato di togliere la componente emotiva ai fenomeni di cui si occupa (Apprendere dall’esperienza, 1962). L’autore cerca di superare all’interno del discorso psicoanalitico la frattura tra cultura occidentale e cultura orientale (Elementi della psicoanalisi, 1963). In riferimento alla teoria dei gruppi, il testo Esperienze nei gruppi rappresenta un’opera cardine per il tentativo di studio dei rapporti che si istituiscono in qualsiasi formazione sociale e gruppale. Osservando i gruppi con cui lavorava, Bion distingue tra aggregato e gruppo. Il primo è l’insieme di individui oggettivamente e direttamente osservabile, mentre il secondo è, invece, il prodotto di un’attività mentale, di un’elaborazione fantasmatica in gran parte illusoria, frutto di una regressione inconscia e automatica che si verifica in chiunque si confronti con gli altri nella vita sociale (Blandino, 2009; Kaneklin, 2010). L’uomo è un animale sociale e, nel confronto con gli altri, sperimenta un’apparente contraddizione: il confronto con il gruppo determina la perdita di individualità, frutto di una regressione inconscia. Per tale ragione, il gruppo è causa di grandi frustrazioni per i suoi membri. Allo stesso tempo, però, l’uomo è attratto verso la socializzazione poiché, grazie al gruppo, può sperimentare il senso di appartenenza e soddisfare parte dei propri bisogni materiali e psicologici. Nei gruppi gli individui sperimentano, quindi, due tipi di attività e di stati mentali: uno cosciente e razionale, l’altro incosciente e pulsionale. Il primo è definito “gruppo di lavoro” ed è legato al conseguimento di traguardi concreti, esplicitamente dichiarati in vista del raggiungimento di un determinato risultato. A questa attività cosciente si alterna costantemente una dinamica inconscia, derivante “dai contribuiti anonimi dei singoli membri che inconsciamente mettono in comune stati emotivi fortemente regressivi, a motivo dei quali essi perdono parte della loro individualità e acquistano il sentimento di appartenenza al gruppo, sentito come un’entità distinta dalla somma dei singoli membri” (Kaneklin, op. cit., p. 53). Nel gruppo emerge e si sviluppa un’esperienza sensoriale, affettiva, emotiva, inconscia, una “vita propria” definita come “mentalità di gruppo” o “gruppo di base”. I membri, in seguito ad una regressione inconscia, rinunciano a qualcosa di se stessi, nel momento in cui agiscono come parti del gruppo, da esso condizionati. È importante occuparsi delle dimensioni emotivo-affettive che appartengono al mondo inconscio del gruppo, poiché esse interferiscono continuamente sul gruppo di lavoro, cioè sull’esecuzione del compito. Bion individua tre modalità di funzionamento del gruppo, dette “assunti di base” (Bion, 1961; Vegetti Finzi, 1986), vere e proprie fantasie inconsce di tipo magico-onnipotente che il gruppo produce per raggiungere gli obiettivi e per risolvere i problemi. Esse rappresentano difese adottate dal gruppo nei confronti dello sviluppo-trattamento, con lo scopo di non far provare al gruppo la frustrazione legata all’apprendimento dall’esperienza, soggetta – per sua natura – a sforzo e a dolore. Essendo inconsce, sono al di fuori della consapevolezza dei membri ed ostacolano l’attività attraverso forti tendenze emotive (Galimberti, 2000). A questo proposito, Bion distingue tre assunti di base: assunto di base di dipendenza, di accoppiamento e di attacco-fuga. Il primo descrive la situazione secondo cui il gruppo si riunisce allo scopo di dipendere da qualcuno o da un capo, il quale può risolvere tutti i problemi e sul quale vengono proiettate molte aspettative. Il secondo si riferisce all’attesa o alla speranza di un evento o di un individuo, un Messia, che risolva tutti i problemi del gruppo. Il terzo assunto di base è caratterizzato da una convinzione globale secondo cui esiste un nemico esterno da cui difendersi o attraverso l’evitamento/fuga o tramite l’attacco e poi la fuga. L’oscillazione tra i due stati mentali – quello razionale consensuale e quello inconscio collusivo – dà origine alla “cultura di gruppo” (Bion, 1961), cioè alla sua struttura organizzativa vivente, alla sua attività reale, al suo sistema relazionale interno che, secondo Bion, è un tentativo di mediazione automatico e non cosciente tra il gruppo considerato come realtà autonoma e l’individuo. Per ulteriori approfondimenti della estesa, articolata e complessa opera bioniana, si rinvia ai testi dei commentatori più autorevoli (Blandino, 2009; Galimberti, 2000; Grinberg et al., 1983; Meltzer, 1982; Vegetti, Finzi, 1986) e ai testi dello stesso autore.
BIBLIOGRAFIA
Bion W.R., (1961), Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 2013.
Bion W.R., (1962), Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 1972.
Bion W.R., (1963), Elementi della Psicoanalisi, Armando, Roma, 1973.
Bion W.R., (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970.
Blandino G., Psicologia come funzione della mente. Paradigmi psicodinamici per le professioni di aiuto, UTET, Torino, 2009.
Galimberti F., Wilfred R. Bion, Mondadori, Milano, 2000.
Grinberg L., Sor D., Tabak De Bianchedi E., Introduzione al pensiero di Bion, trad.it. Armando, Roma, 1983.
Kaneklin C., Il gruppo in teoria e in pratica. L’intersoggettività come forza produttiva, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010.
Meltzer D., Lo sviluppo kleiniano. Vol. 3: Significato clinico dell’Opera di Bion, Borla, Roma, 1982.
Vegetti Finzi S., Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano, 1986.