Transgenerazionalità

A cura di Alessandra Pantaleone

Il termine si riferisce alle modalità secondo le quali avvengono i processi formativi tra le generazioni, specie quelli in ambito familiare. Secondo la prospettiva gruppoanalitica si può parlare di “fondazione relazionale della soggettività” (Lo Verso, 1994, p. 11), per indicare che l’individuo diviene “soggetto” solo all’interno della relazione e in particolare all’interno della dialettica individuo-gruppo-ambiente. La teoria neotenica mette in luce la contemporanea fondazione biologica e relazionale della specie umana. Il concetto nasce in ambito biologico ed indica “un processo evolutivo in cui l’individuo conserva a lungo i caratteri fisico-morfologici e psicologici della fanciullezza” (Idem, p. 94). Il neonato, essendo biologicamente mancante e ricettivo nei confronti dell’ambiente, si trova ad essere dipendente dal proprio nucleo antropologico familiare, al fine di garantire la propria sopravvivenza fisica e psichica. La famiglia rappresenta l’unità transpersonale elementare, poiché è capace di creare e di plasmare, all’interno della stabilità dei legami di attaccamento, le strutture mentali del bambino. Il campo mentale familiare è, a sua volta, iscritto e collegato con gli aspetti normativi, valoriali, relazionali, affettivi della propria cultura di appartenenza e ne veicola i temi culturali corrispondenti. Il soggetto è, pertanto, inserito all’interno di matrici di reti relazionali “transpersonali”, così chiamate poiché attraversano il singolo soggetto, connettendolo alle dimensioni collettive familiari, sociali e culturali. Durante le interazioni, attraverso un duplice processo di interiorizzazione e di identificazione successiva, l’essere umano assume in sé, in modo più o meno stabile nel tempo, i tratti mentali, affettivi e comportamentali che il suo ambiente originario gli in-segna considerandoli però, per lo più, come qualità nativamente proprie o geneticamente ereditate. Viene chiamata, dunque, trasmissione transgenerazionale il passaggio dai genitori al bambino di tematiche, di ideologie, di modalità di angoscia (modalità relazionali, comunicative, educative) che sono state ereditate in una discendenza familiare (Cramer, 1992). Tali trasmissioni consentono la continuità e l’inserimento dell’esperienza individuale nella “mitologia familiare”, sebbene a volte limitino il ventaglio di possibilità di scelta e chiudano la sua interpretazione in una storia già scritta. Prima della sua nascita e soprattutto quando il bambino viene al mondo, si trova circondato da fantasie, da “fate intorno alla culla” (Idem), da aspettative che i genitori riversano su di lui. Esse, solitamente, hanno un ruolo negativo, poiché intrappolano il soggetto dentro schemi di pensiero già predefiniti, lasciando poca possibilità di differenziazione se non a prezzo di una grande sofferenza. Le aspettative spesso vengono utilizzate dai genitori come ricatto affettivo. Il bambino, bisognoso delle cure fisiche, psicologiche ed emotive dei genitori, per non perdere il loro amore rinuncia ai propri bisogni e alla sofferenza che ne deriva, cercando di conformarsi il più possibile ai loro desideri (Miller, 1988; 1996; 2005). Quando la madre, fin dalla gravidanza, è occupata da fantasie e da esperienze angosciose non elaborate e quando, allo stesso tempo, il padre non è in grado di aiutare la madre a riconoscere, a contenere e ad elaborare i propri conflitti pregressi, non è possibile interrompere e trasformare la problematica transgenerazionale madrilineare. Il mondo fantasmatico materno può incidere e inficiare negativamente il rapporto instaurato con il bambino, in merito alla capacità di sintonizzarsi con i suoi bisogni e di somministrargli cure adeguate (Idem). Il bambino, in questo caso, è percepito come “un anello che deve assicurare una continuità […] è invaso da un progetto o da un’immagine che non riesce ad integrare” (Cramer, 2000, pp. 8-9). Egli si trova catturato all’interno di un sistema di significazione chiuso, saturo, poiché intriso di rappresentazioni e di aspettative che lasciano poco spazio ad una libertà personale di scoperta e di attribuzione soggettiva di significati. Questo atteggiamento viene interiorizzato a livello intrapsichico e i sentimenti provati, che non hanno avuto la possibilità di essere espressi, si rifugiano in un sé inaccessibile al bambino, non integrato nell’Io. Bollas (1989) parla a questo proposito di “conosciuto non pensato”, inteso come una parte della mente in cui risiedono tutte le esperienze affettivamente vissute, soprattutto quelle subite, che non sono state pensate e quindi elaborate. Ciò produce delle ripercussioni anche nello sviluppo successivo. Quando l’individuo diventa adulto, le relazioni familiari sono ancora presenti nella mente del soggetto, che si ritrova con una forte ambiguità, cioè con l’impossibilità di accettarle perché sono state frustranti e con l’impossibilità di liberarsene perché sono state interiorizzate. L’individuo rimane schiavo del proprio passato e tende a riproporre gli stessi stili cognitivi, comportamentali, relazionali, affettivi ed emotivi sperimentati. Cerca, inoltre, di colmare le proprie mancanze e di risolvere i propri conflitti originari attraverso i legami successivi, riproponendo – sebbene inconsciamente – i medesimi copioni relazionali ed affettivi sperimentati in passato. “L’impoverimento emotivo e l’investimento desertico nella relazione con i genitori crea le condizioni perché il processo secondario sia reso impotente a causa dell’irruzione del pensiero primario, della mente bambina che riversa nel complessivo spazio intrapsichico tutto il suo carico di disturbi ossessivi, immagini deliranti, aggressività e distruttività diffusa” (Riva, 1993, p. 148). La teoria transgenerazionale è stata comunque studiata da molti autori e correnti, a partire dall’interesse per le esperienze traumatiche dei sopravvissuti ai campi di sterminio e dei discendenti delle vittime delle atrocità collettive. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a testi che sviluppano ampiamente l’argomento (Cigoli, 2006; Faimberg, 2006; Baranes et al., 1995;  Schützenberger, 2004).

 


 

 

BIBLIOGRAFIA
Baranes J.J., Enriquez M., Faimberg H, Kaes R., Trasmissione della vita psichica tra generazioni, Borla, Roma, 1995.
Bollas C., L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, Borla, Roma, 1989.
Cigoli V., L’ albero della discendenza. Clinica dei corpi familiari, Franco Angeli, Milano, 2006.
Cramer B., Professione bebè, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
Cramer B., Cosa diventeranno i nostri bambini? Raffaello Cortina, Milano, 2000.
Faimberg H., Ascoltando tre generazioni. Legami narcisistici e identificazioni alienanti, Franco Angeli, Milano, 2006.
Lo Verso G., Le relazioni soggettuali, Bollati Boringhieri, Torino, 1994.
Miller A., La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1988.
Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1996.
Miller A., La rivolta del corpo. I danni di un’educazione violenta, Cortina, Milano, 2005.
Riva M.G., L’ abuso educativo: teoria del trauma e pedagogia, Unicopli, Milano, 1993.
Schützenberger A. A., La Sindrome degli Antenati. Psicoterapia transgenerazionale e i legami nascosti nell’albero geneageologico, Di Renzo Editore, Roma, 2004.