a cura di Elisabetta Musi
Welfare generativo: scommettere sulla reciprocità per rivitalizzare lo Stato sociale
Lo Stato svolge un ruolo chiave nell’azione di contrasto alle disuguaglianze sociali, nella tutela e nella promozione dello sviluppo economico e del benessere sociale dei suoi cittadini, prodigandosi per tutelare coloro che non possono avvalersi delle disposizioni minime per un buon tenore di vita (da qui il passaggio da Stato sociale “riparativo” a Welfare state).
Questo avviene attraverso politiche pubbliche orientate ad una collaborazione tra Stato, mercato, famiglia, associazioni intermedie: i quattro “grandi fornitori” di servizi che operano all’interno di un quadro complesso di aspetti legali e organizzativi, in base a differenti logiche di integrazione sociale.
Trasformazioni sociali e crisi del welfare
In seguito alle trasformazioni socio-economiche che determinano la fine del modello di sviluppo capitalistico di tipo industriale e la crisi della società salariale, si verifica il declino del welfare state, fondato su una concezione di economia in continua crescita. Accade infatti che dalla metà degli anni ’70 le economie occidentali entrano in crisi: aumentano il deficit e il debito pubblico degli stati nazionali, si afferma un’economia post-industriale e post-fordista, basata su nuovi modelli produttivi (decentramento produttivo, flessibilità dei rapporti di lavoro e consumi differenziati) e crescita dei servizi. Si modificano le strutture familiari, crescono i tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro. E mentre cala la fertilità e il numero dei nuovi nati, cresce la quota di popolazione anziana, aumenta consistentemente il peso delle dinamiche migratorie, che ridefiniscono la fisionomia della popolazione e comportano una revisione dei riferimenti di carattere socio culturale. L’alta differenziazione sociale, la crescente complessità e l’aumento di domande di supporto e di servizi determinano da un lato un incremento della spesa sociale, dall’altro un indebolimento dello Stato come istituzione governatrice e regolatrice. In risposta a questa situazione, il processo di riforma del welfare che prende corpo negli anni Novanta è essenzialmente di tipo finanziario, e si inasprisce col processo di unificazione europea. I principali cambiamenti riguardano il sistema pensionistico e il settore sanitario: si punta al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi pur dovendo attuare misure di contenimento dei costi e perciò chiamando i cittadini alla compartecipazione della spesa. Ma una crescente pressione sociale determina una diffusa resistenza al cambiamento e rende necessario un riequilibrio delle misure di protezione sociale[1]. Complessivamente, si constata un modello di welfare in cui le logiche universalistiche progressivamente si indeboliscono[2], mentre cresce l’insoddisfazione generale.
La generatività come motore di cambiamento
Il welfare tradizionale ha messo al centro le istituzioni, con il compito di raccogliere fondi e ridistribuirli sotto forma di tutele, sussidi e servizi utili a far fronte a situazioni di necessità o bisogno e a garantire equità di condizioni di vita. Ma oggi la semplice raccolta e redistribuzione non sono più sufficienti. Anzi, ostacolano gli investimenti sui servizi alle persone, alle famiglie e alle imprese. Quindi occorre destrutturare l’impianto di welfare tradizionale[3] per sperimentare un approccio ai bisogni di tipo preventivo. A questo proposito nel 2012 la Fondazione “E. Zancan”, per voce del suo direttore, il sociologo Tiziano Vecchiato, ha teorizzato un modello di welfare generativo, con l’obiettivo di “rigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività”[4]. Secondo questa concezione il primo cambiamento da realizzare è il passaggio dalla logica del costo a quella del rendimento, portando l’attenzione dal valore consumato al valore generato[5]. Viene superata così la logica dell’erogazione di prestazioni per puntare alla trasformazione professionale del bisogno e delle capacità in risorse, con un concorso dei “destinatari” degli aiuti nel perseguimento del risultato. In questa prospettiva una parte considerevole dei diritti individuali può diventare “a corrispettivo sociale”, laddove per corrispettivo si intende una “restituzione” di quanto ricevuto a vantaggio di tutti. I diritti sono pertanto condizionati non dai limiti delle risorse a disposizione, ma dalla capacità delle persone di rigenerare opportunità. Questo comporta che venga rimessa in discussione la natura prestazionale dei diritti e la funzione delle istituzioni, che dopo aver raccolto risorse con la solidarietà fiscale, devono evitare che siano consumante da “aventi diritti senza doveri” [6] . Secondo questa concezione il ruolo del welfare è quello di mettere in moto azioni che spingano i soggetti a essere moltiplicatori di valore.
Un’opportunità di rifondazione dello stato etico
Il welfare generativo chiede di compiere alcuni rovesciamenti di prospettiva: da una visione settoriale della protezione sociale ad un modo unitario e globale di pensare risposte per le persone (o meglio con le persone); dalla centratura sulle competenze degli enti erogatori a quella sui bisogni dei soggetti, dalla caratteristica dei problemi e dalle procedure ad una più attenta valutazione dei risultati degli investimenti[7]. Chiede cioè di partire dalle risorse personali invece che dalle possibilità dei servizi. In questo modo intende incrinare il rapporto tra soggetti impari e avvalorare la logica del rispetto individuale, della fiducia nelle potenzialità umane, della cura che permette alle persone di “rialzarsi da sole” nei momenti critici della propria esistenza; prefigurando una politica positiva, che ricordi ai cittadini il potere che essi incarnano come autori di democrazia[8]. È un’opzione etica, che riconosce anche ai “vulnerabili” il diritto di contribuire ad una reciprocità sociale e ad un rinnovamento solidale[9]. Ma affinché il welfare sia una forma di distribuzione equa della giustizia, occorre che tutti i cittadini se ne facciano carico scegliendo di contribuire al benessere sociale ogni qualvolta usufruiscano di trasferimenti e servizi erogati dallo Stato. Condividere responsabilità vuol dire coltivare un rapporto di corresponsabilità che collega i singoli componenti di una collettività, impegnarsi per la tutela dei diritti di tutti, affinché la garanzia dei propri non sia di ostacolo a quella degli altri.
Educare alla generatività sociale: un compito per la pedagogia
L’attuale welfare, ancora fortemente ispirato ad un modello di tipo assistenziale, non stimola l’autonomia e la partecipazione, ma crea dipendenza e disempowerment[10]. Una visione prestazionale di welfare non supporta lo sviluppo di dinamiche solidali e conferma l’ipotesi che lo Stato sociale sia un sistema di prestazioni a domanda individuale delegate a specialisti, il che ha come conseguenza la stigmatizzazione del disagio e la sua mancata integrazione nella vita quotidiana delle persone e delle comunità. Inoltre nell’attuale contesto sociale accanto a disagi cronici, affiorano “nuove fragilità: economiche, sociali, relazionali, esistenziali”, che costituiscono una particolare “sfida per coloro che collocano la propria concettualizzazione e operatività pedagogica soprattutto nelle aree della prevenzione e della riabilitazione del disagio”[11]. Se infatti, secondo il modello di welfare generativo, anche le persone che vivono un disagio sono portatrici di risorse, il lavoro delle istituzioni e dei professionisti che vi operano è quello di riconoscere, sostenere, valorizzare e possibilmente aumentare queste risorse. E le capacità delle persone si attivano se le persone possono contare sulle informazioni necessarie e su prese in carico appropriate; se le risorse disponibili non sono troppo frammentate, lontane, sconosciute, disorganizzate; se possono contare su un lavoro sinergico e integrato tra servizi (in dialogo con famiglie, vicinato, persone e gruppi di cittadinanza attiva, associazioni etc.). Perciò è indispensabile la mediazione professionale che implica un ripensamento delle competenze professionali degli operatori, affinché sappiano orientare, accompagnare e promuovere il capitale umano di chi chiede aiuto. In questo modo l’aiuto professionale dell’operatore genera altre possibilità. Il cambiamento in senso generativo sarà tanto più efficace quanto più la formazione degli operatori sarà finalizzata a questa nuova concezione di welfare. Perché ciò accada ci deve essere una precisa volontà politica e delle organizzazioni coinvolte. Necessaria inoltre è la capacità di fare rete, anche in considerazione del fatto che le risorse pubbliche destinate al welfare sono in diminuzione. Si tratta di migliorare l’assetto delle organizzazioni, di semplificare e rendere trasparenti le procedure, di modificare l’impostazione auto-centrata dei centri di offerta innescando processi di regia (governance) della collaborazione, per obiettivi e strategie comuni. Occorre cioè dotare i diversi centri di offerta, pur nell’autonomia di ciascuno, di strumenti comuni, nonché di analisi critica degli esiti. Azioni basilari sono infatti il monitoraggio e la valutazione degli investimenti, delle collaborazioni e dei guadagni prodotti (indice di generatività), andando oltre una semplice logica “lineare” (domanda-risposta). La crisi del welfare pone in sostanza di fronte a una sfida più grande rispetto a quanto non sia la già gravosa “ricalibratura” del sistema dei servizi e fiscale: quella di educare le persone ad una rinnovata percezione di sé e del modo di essere cittadini. E questo non a partire dalla logica irreprensibile dei principi del diritto, ma dalla concretezza imperfetta delle azioni educative quotidiane.
NOTE
[1] Ferrera M., Hemerijck A., Rhodes M., La rifusione europea. Welfare Uniti per il 21° secolo, in “Rivista Europea”, Vol. 8, Luglio 2000, pp. 427-446.
[2] Ascoli U. (a cura di), Il welfare in Italia, il Mulino, Bologna, 2011.
[3] Vi è infatti chi ritiene inefficace e culturalmente superata la stessa concezione di welfare in cui ci troviamo: “… è in crisi la stessa idea di welfare pubblico, poiché considerato incapace di affrontare i vecchi e nuovi bisogni sociali che si presentano nella contemporaneità, a prescindere dall’insufficiente disponibilità di risorse (le risorse del welfare per definizione non sono sufficienti a rispondere alle domande esplicite e latenti). Dalla crisi attuale non si uscirebbe quindi razionalizzando le risorse o agendo attraverso la leva fiscale per operare ulteriori ridistribuzioni del reddito, ma smantellando virtuosamente il welfare pubblico (S. Tramma, Pedagogia della contemporaneità. Educare al tempo della crisi, Carocci, Roma, 2015, pp. 49-50).
[4] http://www.welfaregenerativo.it/p/cose-il-welfare-generativo
[5] Vecchiato T., “Una soluzione per ogni bisogno”, in Fondazione Zancan (a cura di), Vincere la povertà con un welfare generativo, La lotta alla povertà, Rapporto 2012, il Mulino, Bologna, 2012.
[6] Rossi E., “Prestazioni sociali con corrispettivo?”, in Fondazione Zancan, a cura di, Vincere la povertà con un welfare generativo, cit.. Riguardo alla natura della prestazione corrispettiva che potrebbe essere richiesta, non ci si riferisce a prestazioni in denaro, quanto ad attività di vantaggio collettivo. In tal senso già vi sono, nell’ordinamento vigente, esempi di attività previste dalla legge cui poter fare riferimento, che riguardano perlopiù i lavori di pubblica utilità o che vengono svolti da alcune particolari categorie di persone (disabili, anziani, minori, ex detenuti, …) o lavori pubblici in alternativa ad una pena o ancora prestazioni di pubblica utilità in alternativa a pene per infrazioni del codice della strada ecc. Tuttavia questa è una visione ancora troppo parziale di quello che dovrebbe essere un welfare generativo, che corre il rischio di esaurirsi nella sfera del “restituivo” o, peggio ancora, “punitivo”. Il criterio generativo invece si può applicare a tutte le categorie, a tutti coloro che godono di servizi, soprattutto di contrasto alla povertà. Se il principio attivatore è: “non posso aiutarti senza di te” (Vecchiato), la conseguenza è: cosa puoi fare con l’aiuto ricevuto? Come puoi rigenerare risorse, mettendole a disposizione di altri che ne avranno bisogno dopo di te?
[7] Bezze M., Innocenti E., Sica M., “Orientarsi nei servizi per l’infanzia” in Tfiey – Italia ( a cura di), Il futuro è nelle nostre mani. Investire nell’infanzia per coltivare la vita. Il Mulino, Bologna, 2016.
[8] Vecchiato T., “Questioni di Welfare”, in Fondazione Zancan (a cura di), Cittadinanza Generativa. Lotta alla povertà. Rapporto 2015, il Mulino, Bologna, 2015, p. 76.
[9] “Senza le persone e le loro capacità non sarebbe possibile trasformare le risorse in risposte efficaci e far rendere il valore messo a disposizione dalla solidarietà fiscale, trasformandolo in rendimento sociale” (Vecchiato T., “Welfare generativo: da costo a investimento”, in Fondazione Zancan, a cura di, Vincere la povertà con un welfare generativo, cit., p.100).
[10] G. Chiari, Welfare generativo: lavorare con il non-lavoro, in “Studi Zancan”, 3, p. 76, 2015.
[11] S. Tramma, Pedagogia della contemporaneità. Educare al tempo della crisi, Carocci, Roma, 2015, p. 48.
Autore
Elisabetta Musi è ricercatrice di Pedagogia generale e sociale – Università Cattolica di Piacenza