di Laura Sara Agrati
Merleau-Ponty è tra gli esponenti principali della fenomenologia francese. Ha insegnato Psicologia dell’infanzia e Pedagogia alla Sorbona dal 1949 al 1953 e Filosofia al Collège de France fino alla sua prematura morte nel 1961.
Fenomenologia e corporeità
Le riflessioni fenomenologiche di Merleau-Ponty traggono spunto principalmente dai concetti di ‘mondo della vita’ (Lebenswelt) di Husserl e di ‘essere-nel-mondo’ (In der-Welt-sein) di Heidegger ma giungono ad esiti originali.
Nelle prime riflessioni fenomenologiche (anni ’30) Merleau-Ponty conduce un’analisi sul rapporto tra coscienza e natura (Struttura del comportamento, 1942) attraverso il confronto con il processo conoscitivo delle scienze positive. Scienze come la fisica, la biologia e la stessa psicologia intendono la conoscenza dal punto di vista oggettuale o delle rappresentazioni e ne escludono la componente dei ‘vissuti’ soggettivi e della coscienza. Merleau-Ponty ravvisava nel metodo fenomenologico la possibilità, invece, di indagare i fenomeni così come si presentano all’osservatore, senza ridurre la portata conoscitiva di quest’ultimo, e di aprire – in questo modo – una ‘terza’ via, alternativa al cartesiano dualismo idealismo/materialismo radicato nella filosofia occidentale.
Nel secondo approccio alla fenomenologia (anni ’40) – anche grazie agli studi sugli scritti inediti di Husserl – il filosofo estende le considerazioni sul rapporto uomo-mondo oltre il piano della conoscenza anche nei termini di sensibilità, corporeità e materialità (Fenomenologia della percezione, 1945).
La corporeità non è più vista come limite ma, al contrario, come vera – oltre che unica – possibilità per un rapporto originario con il mondo, proprio in ragione dei vincoli fisici, storici e intersoggettivi dell’uomo. La psicologia, secondo il filosofo, avrebbe frainteso la corporeità come ‘pensiero sul corpo’ – ovvero somma di immagini mentali o di ‘funzioni’ (es. rappresentazione, percezione, sessualità ecc.) – e, in questa maniera, avrebbe interposto una ‘terza persona’ tra uomo e mondo e inferito da essa surrettizi rapporti di causalità. Egli, invece, intendere la corporeità come ‘esperienza vissuta’ e ravvisa in essa la prova dell’originario – e ‘drammatico’ – legame indissolubile che l’uomo stabilisce con il mondo:
‘sia che si tratti di corpo altrui, sia che si tratti del mio, non ho altro modo di conoscere il corpo umano che viverlo, cioè assumere sul mio conto il dramma che mi attraversa e confondermi con esso’ (ibidem, p. 231).
L’esperienza vissuta del corpo viene allora assunta come ‘punto di vista sul mondo’, vero centro prospettico di significazione.
Questa nuova riflessione sulla corporeità permette al filosofo francese di superare la lettura meccanicistica, insita nell’approccio psicologistico alla conoscenza, e – attraverso la proposta di un originale idea di uomo come soggetto ‘incarnato’ – persino il residuo idealistico ancora presente nell’idea husserliana di Lebenswelt.
L’intera produzione a seguire di Merleau-Ponty sarà dedicata alla riflessione sullo iato/incontro, sulla reciproca implicazione tra coscienza e mondo e porta a nuove considerazioni sulla verità – intesa come espressione ‘tacita e nascosta’ tra le ‘pieghe’ dell’essere.
Per chiarire il rimando costitutivo dei due piani Merleau-Ponty utilizza la nozione di ‘chiasma’, al doppio movimento dell’essere che allo stesso tempo diventa visibile a sé stesso e si differenzia da sé stesso (Visibile e invisibile, 1964).
Attraverso l’istanza del ‘chiasma’ viene ridefinito anche lo stesso compito della filosofia: è necessario che essa si faccia ‘non-filosofia’, che abbandoni la tendenza al possesso intellettuale delle cose – che riduce la realtà a semplici ‘contenuti di conoscenza’ – per assumere, invece, la posizione dell’ascolto come fanno le ‘scienze silenziose’ (letteratura, e soprattutto, pittura) che offrono all’essere la possibilità di dischiudersi attraverso punti di vista singolari e sempre unici (Elogio della filosofia, 1953 b).
Pedagogia e relazione
Tra le riflessioni di Merleau-Ponty non mancano interessanti, sebbene poco conosciuti, spunti di carattere pedagogico.
Influenzato dalla lettura di Rousseau e dagli studi giovanili sulla percezione (La fenomenologia della percezione, 1945), il nostro autore riconosce al bambino una ‘tacita adesione’ al mondo, una capacità originaria di rapportarsi con le cose – la stessa insita in qualsiasi essere vivente (l’Ur-doxa) – la quale, sebbene di tipo precategoriale e inarticolata, si esprime sul piano percettivo, del linguaggio e intersoggettivo attraverso spontaneità e stupore.
A sostegno di questa posizione il filosofo utilizza il disegno infantile (L’espressione e il disegno infantile, 1950): esso non è appena l’anticamera della formalizzazione geometrica, un tipo di linguaggio ancora immaturo – l’attacco polemico è nei confronti di Luquet, padre della teoria stadiale del disegno – ma una modalità di espressione originaria, precategoriale dell’esperienza, al di qua delle forme canoniche e culturali.
L’infanzia e l’età adulta, in ragione di questo, vanno considerate non come fasi distinte e in successione lineare, ma come modulazioni di un’unica trama esistenziale contraddistinta da anticipazioni e regressioni: l’‘essere-bambino’ stabilisce una relazione diretta con le cose, l’essere-adulto invece una relazione mediata dalle categorie (La relazione del bambino con gli altri, 1953 a).
Simili considerazioni inducono a problematizzare non poco tutte le scienze umane tese alla conoscenza del bambino, in particolare, la psicologia: esse tendono a non riconoscere all’infanzia una specificità propria e ad assumerla sotto categorie estrinseche e ‘adulte’, ‘come il pianista esercitato che decifra una musica ignota’ (Senso e non-senso, 1948, p. 116)
Secondo il filosofo, invece, bisognerebbe ripensare le ‘scienze dell’infanzia’, soprattutto la pedagogia, su nuovi presupposti: un approccio esistenziale che aspira a ripercorrere la genesi dei vissuti e che, consapevole dell’impossibilità di un’oggettivazione definitiva, fonda la rigorosità del procedimento nel riconoscimento della specifica dinamica relazionale che il bambino stabilisce col mondo e con l’adulto.
BIBLIOGRAFIA
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Merleau-Ponty M. (1942). La structure du comportement. Paris: PUF.
Merleau-Ponty M. (1945). Phénoménologie de la perception. Paris: Gallimard.
Merleau-Ponty M. (1948). Sens et non-sens. Paris: Nagel.
Merleau-Ponty M. (1953 a). Les relations avec autrui chez l’enfant. Paris: Centre de documentation Universitaire.
Merleau-Ponty M. (1953 b). Éloge de la philosophie. Paris: Gallimard.
Merleau-Ponty M. (1964). Le visible et l’invisible. Paris: Gallimard.
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